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EUROPA

Non vogliamo vivere nel paese più misogino d’Europa: lo sciopero delle donne in Polonia

Da due mesi la Polonia è attraversata da una moltitudinaria protesta: la legge sull’aborto è stata la causa scatenante, Lo sciopero delle giovani e dei giovani produce ed esprime una visione del mondo che non è più compatibile con il sistema di valori e la visione del mondo rappresentati tanto dal partito di governo così come da altri partiti di centro basati su una morale tradizionalista e conservatrice

Stiamo assistendo alla a più grande ondata di proteste di massa in Polonia dall’agosto del 1988, epoca di scioperi legati a una crisi socio economica, politica e ideologica che ha preceduto la caduta del Blocco Sovietico (in Polonia le prime elezioni democratiche per il Parlamento si sono tenute nel 1989).

 

Da ormai due mesi, a partire dallo scorso 23 ottobre, la Polonia è attraversata dalla immensa mobilitazione dello Sciopero delle Donne come risposta a una crisi politica generata dalla proclamazione di incostituzionalità dell’aborto, da parte della presidente del Tribunale Costituzionale Julia Przyłębska, anche in caso di malformazione irreversibile del feto o di una malattia incurabile che metta in pericolo la sua stessa vita. Kaja Godek, nata nel 1982, attivista della destra conservatrice, rappresentante del Comitato di Iniziativa Legiglativa e madre di un bambino con sindrome di Down, è stata la promotrice del progetto civico per restringere ulteriormente il diritto all’aborto, quella proposta che è stata oggetto di dibattito nel Parlamento polacco prima nel 2017 e poi di nuovo lo scorso aprile.

Questa iniziativa, sostenuta e applaudita tanto dal PIS, partito di destra nazionalista e conservatore, come dalla Chiesa Cattolica Polacca, è considerata particolarmente sadica e crudele.

Proposta da due donne, la legge non solamente toglie a tutte le donne polacche la possibilità di scelta del proprio futuro ma le obbliga a portare avanti la gravidanza anche in caso di feto con malformazioni gravissime che non avranno alcuna possibilità di sopravvivere dopo il parto. Inoltre, l’interdizione di aborto non ha precedenti nella recente storia della Polonia.

 

Durante la metà dello scorso secolo, tanto in Polonia come negli altri paesi del blocco sovietico, avevamo leggi molto più avanzate rispetto al resto dei paesi europei.

 

Il decreto del mese di aprile del 1956 stabilì tre condizioni perché l’aborto fosse ammissibile: le indicazioni mediche relative alla salute del feto, il caso in cui la gravidanza fosse legata a uno stupro, ma anche nel caso in cui le condizioni di vita della gestante risultassero difficoltose.

Il cosiddetto “Accordo per l’aborto” del 1993, proclamato dopo la caduta del Blocco sovietico, con l’auspicio della Chiesa Cattolica, permetteva l’interruzione della gravidanza nel caso di rischio di vita o salute per la donna, in caso di evidenti analisi prenatali che indicano un alto rischio di sopravvivenza del feto, o per l’esistenza di sospetti rispetto a una causa violenta della gravidanza. Questa legge rappresentava già prima dello scorso 22 ottobre una tra le più conservatrici in Europa, ma le modifiche proposte da Godek e proclamate dal Tribunale trasformano definitivamente la Polonia in uno dei paesi più conservatori sul tema assieme al Vaticano, El Salvador e Malta.

 

 

La proclamazione della sentenza, che deve essere pubblicata per essere effettiva – e non lo è ancora – ha provocato una ondata di proteste che dura da settimane soprattutto nelle grandi città della Polonia, ma anche nei municipi più piccoli delle province dell’Est e del sud est del paese, la cui popolazione è fortemente cattolica e spesso vota a destra.

 

Ricostruendo una genealogia delle ultime manifestazioni di piazza, è importante ricordare lo sciopero nazionale delle donne, la cosiddetta Protesta Nera, o “lunedì nero”, lo sciopero di circa 200mila persone che sono scese in piazza in 147 città polacche il 3 ottobre del 2016 contro il progetto “Fermare l’aborto” proposto dal Parlamento. Tre giorni dopo lo stesso progetto fu bocciato a causa dell’enorme protesta.

Nonostante questo, le manifestazioni delle scorse settimane, di ottobre e novembre, nate per la stessa ragione, hanno assunto una caratteristica differente. Non solamente il governo ha scelto una fase di aumento dei contagi di Covid19 per promuovere il decreto, con la speranza di diminuire le proteste di piazza dato il timore crescente di rischio contagio, ma la proposta di restrizione dell’aborto è stata lanciata dal PiS proprio con l’obiettivo di eliminare dall’agenda pubblica il dibattito sull’assenza di misure preventive da parte del governo nei confronti della seconda ondata della pandemia.

 

 

Ma un ulteriore aspetto specifico di questa protesta è che per la prima volta da decenni i e le giovani ventenni sono scese in piazza in massa, non solamente per opporsi alle legge sull’aborto e difendere i diritti delle donne, ma anche per manifestare rabbia e sdegno nei confronti dell’establishment e complessivamente contro il progetto di trasformare la Polonia nel paese più misogino d’Europa.

Migliaia di cittadini e cittadine, in gran parte ventenni – e dunque meno a rischio per le conseguenze della pandemia – sono scese in piazza mostrando rabbia contro la classe politica, tanto nei confronti della maggioranza di governo come di quell’opposizione che non ha reagito in modo radicale di fronte a questa violazione dei diritti umani.

I manifestanti portano in piazza slogan in sostegno alla lotta delle donne “nigdy nie będziesz szła sama” (non sarai mai sola), messaggi di rabbia come “to jestwojna” – questa è una guerra – oppure “wypierdalać” e “jebać PIS!” (fuck PIS!) e immagini di Moomins, personaggi di una serie di libri e fumetti dell’illustratrice finlandesde di lingua svedese Tove Jansson, oltre a slogan e striscioni contro il vice premier Jarosław Kaczyński che ironizzano sul fatto che viva con un gatto “Il gatto può rimanere, Kaczyński vattene via”.

 

La protesta contro la Chiesa Cattolica, il cui ruolo è decisivo rispetto a questo progetto, ha portato a una serie di interuzioni di messe domenicali nella prima fase delle mobilitazioni e ad azioni proprio durante la messa con striscioni come “Preghiamo per la legalizzazione dell’aborto”.

 

Tanto sugli striscioni quanto sui cartelli, nei fumetti e nei disegni che accompagnano le manifestazioni, il governo viene paragonato a un regime e gli slogan degli anni Ottanta contro il regime sovietico sono stati ricodificati contro l’attuale governo: infatti dal “Precz z Komuną” (Basta con la Comune) si è passati al “Precz z Comunią” (Basta con la prima comunione). Questi paragoni sono stati provocati dallo stesso governo, con il discorso aggressivo di Jarosław Kaczyński trasmesso il 27 ottobre sul primo canale della televisione pubblica in difesa della Chiesa, considerato scandaloso, che ha riportato alla memoria l’intervento del generale Wojciech Jaruzelski e la sua proclamazione dello stato di emergenza marziale nel dicembre del 1981.

I media mainstream legati al governo stanno demonizzando le manifestazioni, definendole come «lo sciopero degli uteri» o come «bagni in una nube di Covid».

 

Gli scontri con la polizia e con l’estrema destra sono avvenuti, ma meno di quanto sperato dal governo. La maggioranza della società sostiene la protesta delle donne e dei giovani, molti altri sono indignati con il governo, con la Chiesa Cattolica eccessivamente presente nella vita politica del paese, con una visione della Polonia nazionalista e conservatrice proposta dal partito di governo.

Nonostante gli eventi di piazza in Polonia generino attenzione da parte dei partiti politici, lo Sciopero delle Donne non rientra esattamente nello schema comune della protesta sociale nello spazio pubblico polacco.

I politici dell’opposizione sono parte dell’organizzazione della protesta, in particolare le deputate dei partiti di sinistra si sentono coinvolte e difendono i diritti delle donne, mentre le attiviste anarchiche contestano questa appropriazione. Ma nonostante questo, si tratta forse della protesta in cui per la prima volta in Polonia emerge una dimensione moltitudinaria, come risveglio collettivo di una gioventù arrabbiata, al di fuori di qualsiasi identità partitica o identitaria. È una protesta contro il sistema.

 

La legge sull’aborto è stata la causa scatenante, che ha avuto la capacità di generare una protesta più ampia.

 

Lo sciopero delle giovani e dei giovani produce ed esprime una visione del mondo che non è più compatibile con il sistema di valori e la visione del mondo rappresentata tanto dal PIS come da altri partiti di centro basati su una morale tradizionalista e conservatrice.

È una protesta contro l’egemonia della Chiesa Cattolica, contro il suo ruolo nella cultura e nella vita publica, ma anche contro il biopotere che riguarda le sfere più intime della vita dei cittadini polacchi. È una interruzione impensabile per le precedenti generazioni, spesso molto attratte da certi tipi di rituali e costumi della Chiesa.

È il risveglio di una coscienza politica giovanile. Molti dei cartelli in piazza attaccano anche la destra nazionalista Konfederacja, che si è proposta come alternativa patriottica e antisistema ed è stata votata da molti giovani. Il sostegno unanime al progetto di restrizione dell’aborto gli costerà molti voti.  La gioventù è arrabbiata e appassionata – l’uso di certi slogan volgari è molto criticato dalla precenti generazioni, più attente alle parole e al tempo stesso rassegnate rispetto alla situazione politica.

 

Lo Sciopero delle Donne è diventato affermazione di una visione alternativa del mondo rispetto alla politica mainstream in Polonia. Le giovani generazioni non vogliono vivere nel paese più misogino d’Europa e vergognarsi per i discorsi retrogadi propri tanto della politica interna como di quella estera del governo polacco.

 

Organizzando manifestazioni in bicicletta, balli e proteste di strade, le giovani mostrano una apertura al mondo, all’Europa, un desiderio di vivere la contemporaneità e non un tempo sempre rivolto al passato storico e basato su martirio e sacrificio, come il discorso proposto dal PIS. Si aprono spazi di solidarietà con le lotte LBGQ+, e un sostegno mutuo testimoniato dallo slogan “Pedały z kobietami” (I froci e le donne assieme) che appare spesso durante le manifestazioni.

In queste mobilitazioni, donne e uomini rifiutano le autorità politiche tradizionali e rivendicano di poter decidere sulle proprie vite. La dimensione di massa e la passione che caratterizzano la protesta hanno sorpreso il PIS, generando una crisi identitaria e ideologica nella scena politica polacca.

Il mito di Kaczyński quale eccellente stratega sta crollando. Attualmente, solo la leader antiabortista Kaja Godek va avanti nella sua campagna, nonostante le proteste arrivate fino alla sua casa di Varsavia, Godek propone di definire il feto come vittima di stupro, per poter proibire l’aborto anche in caso di violenza, e ha presentato lo scorso 9 novembre un progetto di legge sostenuto da centomila firme per chiedere l’interdizione delle manifestazioni LGBTQ in Polonia.

Attualmente la pubblicazione del decreto, condizione necessaria per renderlo effettivo, è sospesa, ma questo non ha calmato l’ostilità contro il PIS e il governo, che sta sperando solo in un prossimo inevitabile aumento dei contagi per dichiarare il lockdown e fermare le proteste di piazza, mentre spera che la gioventù si stanchi e si calmi. Ma in questo momento, continuano le proteste cosi come le repressioni di piazza in questo inedito inverno di proteste moltitudinarie.

 

Disegni nell’articolo ed immagine di copertina a cura del disegnatore Max Skorwider per DINAMopress

Traduzione in italiano a cura di Alioscia Castronovo per DINAMOpress