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Nestor Makhno, uno spettro si aggira per l’Ucraina?

Quella del rivoluzionario anarchico ucraino è una figura spesso dimenticata, ma che già al tempo della Rivoluzione del 1917 poneva questioni irrisolte e ancora attuali. Una conversazione con il ricercatore Colin Darch

In seno alla Rivoluzione Russa del 1917, nella regione di Huliaipole in Ucraina (non distante da Mariupol), la “questione contadina” esplose in tutta la sua forza ed evidenza. Le masse che lavoravano i campi si rifiutarono di pagare le rendite ai grandi latifondisti della zona e si organizzarono in comuni e soviet, ispirati agli ideali dell’autogoverno e dell’anarco-sindacalismo. Una sorta di “rivoluzione dentro la Rivoluzione”, guidata principalmente dalla figura di Nestor Ivanovič Makhno, proletario anarchico che si metterà poi a capo di un esercito insurrezionale che combatterà contro l’invasione del paese da parte dell’impero Austro-Ungarico e della Germania con alterne fortune e all’interno di mutevoli alleanze con l’Armato Rossa.

Personalità controversa e discussa fino e oltre la sua morte, avvenuta in esilio a Parigi nel 1934 per tubercolosi, ma che ancora ispira alcuni attivisti e alcune attiviste che operano nella zona a cavallo fra Ucraina, Russia e Bielorussia (lo ricostruisce, per esempio, un recente articolo di Jean-Marc Raynaud su “Le Monde Libertaire”), Makhno è anche, in qualche modo, “simbolo” di questioni irrisolte che stanno riaffiorando a causa dell’invasione di Putin dello scorso febbraio: il ruolo delle identità nazionali e regionali nel contesto dell’Unione Sovietica, la strategia della collettivizzazione della terra e la repressione dei cosiddetti kulaki, il lascito delle correnti anarchiche e anarco-sindacaliste nella rivoluzione bolscevica. Ne abbiamo discusso con il ricercatore Colin Darch, professore all’Università di Cape Town (Sudafrica) e autore del libro Nestor Makhno and Rural Anarchism in Ukraine (Pluto Press, 2020).

Per riassumere brevemente, chi era Nestor Makhno?

L’affermazione di fondo che si suole fare rispetto alla figura di Nestor Makhno è che si trattasse di un rivoluzionario anarchico che è riuscito a mettere in pratica gli ideali in cui credeva e per cui combatteva. Stiamo parlando un periodo storico molto breve e preciso (fra il 1917 e il 1920) e di una zona molto specifica, che è quella della regione ucraina di Huliaipole da cui Makhno proveniva, in cui venne appunto sviluppato un modello di autorganizzazione del lavoro agricolo di stampo anarchico.

Il problema di questa affermazione è che ci sono davvero poche evidenze storiche del grado di successo di un tale esperimento politico, a parte quelle che lo stesso Makhno ha lasciato nei suoi scritti. Inoltre, l’altra grande questione è relativa al fatto che per la grande maggioranza del tempo in cui Makhno è stato influente e popolare in Ucraina si trovava a capo di un battaglione insurrezionale: un’organizzazione di stampo militare di natura gerarchica che, in quanto tale, è difficile da riconciliare con gli ideali anarchici che professava. Ma la sua figura è di estremo interesse: nato alla fine del 19esimo secolo, apparteneva a una sorta di gioventù semi-urbana e semi-istruita presente in quel periodo. Crebbe in condizione di forte privazione economica, nonostante frequentasse comunque la scuola. Molto giovane, iniziò a lavorare in un’azienda di tinture e successivamente in una fonderia, radicalizzandosi molto presto sul piano politico.

Da questo punto di vista, si impegnò con un gruppo anarchico impegnato in azioni dirette di carattere banditesco (rapine alle banche o ai terreni di proprietà della borghesia, ecc.). Nel mezzo di queste azioni, venne arrestato e condannato a morte ma sfuggì alla condanna per via della sua giovane età e venne pertanto trasferito a Mosca a scontare la sua pena. Qui si ritrovò in cella col militante anarchico Pëtr Aršinov, dal quale venne appunto “educato” (se così vogliamo dire) ai principi anarchici. Questo è, in breve, il suo retroterra esistenziale e politico.

Cosa successe una volta fatto ritorno in Ucraina?

Nel 1917, quando salì al potere il governo provvisorio di Kerenskij e venne dichiarata un’amnistia generale venne rilasciato dal carcere. Di ritorno a Huliaipole, Makhno venne accolto come un eroe, visti i sette anni spesi in prigione. Iniziò a lavorare per l’amministrazione locale e a diventare sempre più influente. Nel frattempo, l’impero Austro-Ungarico e la Germania invasero l’Ucraina, soprattutto per accaparrarsi le riserve di grano, e in questo contesto Makhno apprese diverse tattiche di guerriglia per opporsi all’invasione.

Ci furono una serie di complicate e mutevoli alleanze, fra Makhno e i bolscevichi e l’Armata Rossa, fino alla campagna di Crimea per sconfiggere i Bianchi e infine i bolscevichi si rivoltarono contro di lui costringendolo all’esilio (per farla molto in breve). Da qui iniziò una serie di peripezie sia esistenziali che politiche che lo portarono a Parigi, dove si impegnò nella controversa esperienza della Piattaforma di Organizzazione dei Comunisti Anarchici, che rimase dibattuta e in qualche modo influente anche dopo la morte di Makhno (avvenuta nel 1934).

Nella storiografia moderna, si fa sempre più strada l’idea che il termine “Rivoluzione Russa”, per nominare gli eventi del 1917, sia un termine in qualche modo improprio. Non si trattava infatti di una singola “rivoluzione” e non era solamente “russa” ma erano in atto una molteplicità di rivoluzioni inter-nazionali con dinamiche diverse che allo stesso tempo si intrecciavano all’interno dell’Impero Russo (una sorta di “processo caleidoscopico”). Alcune di queste rivoluzione erano, in un certo senso, lotte anti-coloniali e movimenti di liberazione nazionali. Dico questo perché è molto importante tener presente la dimensione “regionalistica” della lotta portata avanti da Makhno, una dimensione oltremodo significativa se pensiamo che ha riguardato il contesto ucraino.

È un elemento che, tra l’altro, solleva la questione di cosa significhino realmente i concetti di identità etniche o culturali. Makhno era russofono tanto per cominciare, ma – come affermano i documenti e le dichiarazioni di principio – lottava per una maggiore autonomia locale, che voleva organizzare a livello decisionale in tante piccole assemblee consiliari.

La parabola di Makhno solleva anche altre questioni interne al dibattito di sinistra, come la questione contadina per esempio…

Sono questioni che, se vogliamo, rimandano a un problema più generale che attraversa tutta la storia della sinistra, ma non solo, ed è un po’ la dialettica fra rivoluzioni guidate dall’alto e le sollevazioni popolari. In questo senso, potremmo leggere la parabola di Makhno e dei suoi compagni come un momento in cui le masse hanno messo in discussione e minacciato il compromesso vigente a livello governativo in quel momento.

Il suo movimento ottenne un grosso supporto popolare, appunto perché le masse contadine erano fortemente insoddisfatte dal comunismo di guerra e dalle politiche di espropriazione delle terre. Inoltre, in Ucraina erano presenti proprietà terriere molto estese (spesso possedute da mennoniti tedeschi) in cui vigeva una gerarchia di classe molto rigida (con kulaki, seredniaki e beredniaki) e le regioni in cui il movimento di Makhno era molto forte erano infatti quelle regioni che storicamente producevano grano d’esportazione soprattutto per la Germania e l’Impero Austro-Ungarico (motivo per cui, appunto, Germania e Austria decisero di invaderle dopo la pace di Brest-Litovsk).

Ora, Makhno si trovò di fronte alla contraddizione per cui le sollevazioni popolari come quella di cui lui si ritrovò a capo hanno spesso la debolezza di non essere disciplinate e di rischiare di disgregarsi e frammentarsi in tante piccole alleanze che non si fidano e non collaborano fra loro. Come era possibile mantenere questa forma democratica “dal basso”, se al tempo stesso era necessario opporsi all’invasione tedesca e austriaco nonché ai Bianchi russi, ecc.?

Insomma, per valutare la figura di Makhno bisogna sempre tener presente la complessità di questioni che erano contemporaneamente in gioco nel contesto in cui si muoveva, che erano questioni di classe, di strategia politica, di tattica militare, etniche e culturali… Nello stesso periodo, in Siberia o nel centro-Asia, altri gruppi di ispirazione anarchica mettevano in pratica lotte simili, che avevano appunto a che fare con dinamiche etnico-culturali di stampo regionale.

Su Makhno si è giocata anche un forte conflitto di memoria. Dopo l’esilio, la storia sovietica lo bollò quasi subito come un “contro-rivoluzionario”, poi si svilupparono nuove interpretazioni. Qual è la situazione ora?

Con la fine dell’Unione Sovietica sono stati aperti molti archivi e si è avuto accesso a tutta una serie di materiali storici che non erano in precedenza disponibili. Si è dischiusa dunque la possibilità per ricerche inedite sul movimento di Makhno. In più, c’è anche un clima di maggiore libertà nell’interpretare quanto è accaduto.

Nelle prime fasi della guerra in Ucraina, quando i bolscevichi cercavano di allearsi con l’esercito di Makhno, il comandante Antonov Ovseenko affermò del leader anarchico, dopo averlo incontrato, che «è chiaramente uno dei nostri», confermando la sua fedeltà agli ideali rivoluzionari. Questa posizione era meno vera per Trockij che, senza entrare troppo nei dettagli, non era per nulla propenso ad accettare ideali anarchici nella propria visione politica.

A ogni modo, nonostante appunto Makhno e i suoi uomini fossero diventati per breve tempo una brigata interna all’Armata Rossa, a partire dagli anni ’30 vennero considerati dalla storiografia sovietica sostanzialmente dei “controrivoluzionari”. Questo ha a che fare anche con l’introduzione dell’economia di guerra, che rigettava qualsiasi possibilità di appropriazione dei terreni, e con l’equazione che dunque veniva fatta fra tutta la classe contadina e i kulaki (da parte della storiografia sovietica, i makhnovisti vennero sostanzialmente assimilati a questi ultimi).

Solo negli anni ’60 appariva un articolo su “Voprosy Istorii” a firma di Sergei Semanov, in cui tra l’altro era intervistata la vedova di Makhno nel frattempo andata in esilio nel centro-Asia, che riapriva la questione e la rendeva più complessa di come era stata fino ad allora tramandata. Fino ad arrivare appunto agli anni ’90, in cui tanti archivi sono stati aperti, e piano piano sono iniziate a essere elaborate altre narrazioni che hanno provocato un grande cambio di paradigma storiografico sia in Occidente che in Russia e, infine, in Ucraina. Un processo “inaugurato”, se vogliamo, da un altro importante articolo apparso nel 1989 su “Literaturnaja Gazeta” e a firma del giornalista Yaroslav Golovanov, che faceva un uso estensivo e approfondito di fonti sino ad allora non utilizzate.

Forse oggi, con la guerra in corso, ci troviamo nel mezzo di un altro cambio di paradigma per cui si fa strada da alcune parti l’idea che ciò a cui stiamo assistendo potrebbe essere letto – chissà – dentro un’ottica più “regionalista”, dalla prospettiva appunto di una liberazione nazionale che avviene nel contesto del collasso di un grande impero. Non dobbiamo infatti dimenticarci che con la Prima Guerra Mondiale sono praticamente scomparsi tutti i grandi imperi (l’impero Austro-Ungarico è scomparso completamente, quello Ottomano si è trasformato nella Turchia secolarizzata di Atatürk mentre quello tedesco si è ristretto), a eccezione dell’Impero Russo che, in qualche modo, è sopravvissuto mutando forma. Io penso che quello che sta accadendo possa essere letto come l’onda lunga di questo processo, una sorta di movimento tettonico e di raggiustamento di quell’ordine regionale che, chissà, potrebbe avere ripercussioni anche nel centro-Asia e altrove. A ogni modo, per interpretare la guerra in Ucraina, credo sia utile ritornare a leggere gli eventi della Rivoluzione Russa e in questo senso la figura di Makhno rappresenta un “microcosmo” che, però, ci permette di illuminare retrospettivamente dettagli dimenticati che oggi riemergono.

Dall’altra parte, la figura di Makhno sembra oggi essere stata dimenticata anche in Ucraina se non per gruppi marginali di persone…

È interessante menzionare il fatto che c’è stato un tentativo di appropriazione della sua figura in ottica nazionalista: nel 2019, per esempio, l’amministrazione comunale della sua città natale sembrava intenzionata a richiedere il trasferimento delle ceneri da Parigi e di farne una sorta di “eroe dell’Ucraina”. C’è da dire, infatti, che fin dagli anni ’90 lo stato ucraino è sempre stato in un modo o nell’altro in cerca di figure simboliche da poter utilizzare in chiave patriottica, come “fondatori” della nazione.

E, a dire il vero, si tratta di una scelta molto ristretta: Pavlo Skoropads’kyy, generale aristocratico che fu a capo dell’Etmanato; oppure Taras Ševčenko, poeta che può essere visto come fondatore della lingua nazionale a livello letterario; il controverso Stepan Bandera, che ha combattuto assieme ai nazisti contro l’Unione Sovietica; oppure Simon Petljura, assolutamente antisemita e dunque del tutto inappropriato a fungere da modello per la nuova nazione; e, infine, appunto Makhno. Il quale, però, se fosse al corrente dell’ottica nazionalista in cui talvolta viene utilizzata la sua figura, si rivolterebbe nella tomba. Diventare simbolo dello stato-nazione ucraino per un anarchico come lui è chiaramente un controsenso (c’è un’enorme statua dorata dedicata a lui in questo senso).

D’altra parte è difficile dire quale sia il valore e il significato che la sua figura assume per la comunità anarchica contemporanea in Ucraina. Alcuni storici hanno indagato la sua figura sotto una nuova luce, ci sono alcune comunità marginali che si rifanno alla sua memoria. Ma, detto questo, non mi sembra che ci sia un grosso dibattito o un forte recupero, se non forse a livello accademico.

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