ITALIA

Natale in famiglia, tra panettone e patriarcato

L’Italia impoverita si avvicina a pranzi e cene di Natale facendo finta che sia sempre tutto uguale, mentre molto è cambiato ma si stenta ad ammetterlo

C’è qualcosa che mi lascia intimamente a disagio del Natale. Sarà la ritualità degli eventi, le stesse tovaglie rosse stese sul tavolo, le conversazioni stantie con persone che vedi una volta l’anno. Saranno i problemi familiari che riemergono dietro gli occhi tristi di qualche parente, o il consumismo esagerato di pranzi e cene, che nessuno può nemmeno più permettersi. Saranno le domande asfissianti sulla mia vita personale che nessuno cerca di comprendere, tanto più se io provo a rispondere facendo leva su convinzioni politiche. E quindi come resistere a questo senso di disagio natalizio?

 

Le famiglie italiane sono sempre più povere ma non lo vogliono ammettere

Il rapporto Istat da dieci anni a questa parte ci spiega come in Italia sia aumentata sia la povertà assoluta che quella relativa. Il rapporto Eures ci racconta una società sempre più violenta, in particolare contro le donne e le minoranze. E il Censis ci dice che viviamo nell’ansia costante di diventare più poveri. Ecco i miei pranzi di Natale sono un tuffo nella realtà di questi dati, nella vita vissuta in provincia o in periferia, nella paure, nei silenzi e nei non detti delle nostre relazioni familiari.

Le famiglie italiane sono sempre più povere, sono più povere perché i salari sono stagnanti, perché devono pagare per servizi che in passato erano pubblici e gratuiti, perché le diseguaglianze sono sempre maggiori. Eppure stentano a riconoscerlo a se stesse. E quindi non si rinuncia a cene e pranzi luculliani dove l’abbondanza, il consumo e lo spreco sono all’ordine del giorno. Non si rinuncia ai regali, molte volte inutili, comprati a basso costo, di produzione cinese, che fanno male al pianeta, a chi li produce, a chi li trasporta e che probabilmente rimarranno in qualche cassettone inutilizzati. Per essere al massimo riciclati l’anno seguente.

Soprattutto le famiglie italiane sono preoccupate per il futuro dei propri figli 30/40enni non in grado di stabilizzarsi né da un punto di vista economico né relazionale. E sono preoccupate per i propri nipoti, figli di questi 30/40enni un po’ incoscienti, che data la loro instabilità economica assomigliano più ai propri nonni che ai propri genitori.

C’è un’enorme frustrazione perché le sicurezze borghesi sono crollate una dopo l’altra. Non basta l’università pubblica per fare carriera, la scuola pubblica non prepara, la sanità pubblica non copre le spese, il riscaldamento costa sempre di più. Tutta la famiglia si mobilita con il suo capitale sociale e relazionale per la vita e la carriera dei propri cari, diventando una legame sempre più stretto e soffocante. Tanto più se poi quel capitale sociale e relazionale non è sufficiente e le persone non ce la fanno.

Le famiglie diventate borghesi negli anni 70/80 si ritrovano in termini di reddito a fare conti con le proprie radici operaie, ma in totale crisi di identità perché quelle radici le avevano rifiutate decenni fa. Così si nutre il rancore per chi ce l’ha fatta e sono soprattutto gli uomini a nutrire questo sentimento, un misto di risentimento, rabbia e frustrazione. Quello che vediamo nei commenti Facebook, o nelle liti natalizie di fronte ai fornelli perché le mogli hanno sbagliato la cottura di non si sa bene quale cibo tradizionale.

 

La famiglia italiana si è trasformata ma non abbandona la sua immagine tradizionale

Intorno alle nostre tavole imbandite ci sono i figli che non hanno un lavoro stabile e nemmeno una relazione stabile. I cugini che dopo aver provato di tutto in Italia se ne sono andati, sono forse quelli più realizzati da un punto di vista economico, ma con un immenso vuoto dentro. Ci sono le zie ormai zitelle che nessuno ha mai capito e che tutti ti indicano come esempio negativo. Ci sono i genitori sposati, divorziati e risposati, figli di primo e secondo matrimonio. Nipoti senza padre e coppie stabili con le corna infiocchettate da bravi borghesi. Ci sono anziani di cui nessuno vuole prendersi carico e adolescenti impaurite dal mondo degli adulti.

Però a Natale tutto questo si copre sotto una bella tovaglia rossa ricamata d’oro, con i bambini vestiti a festa e il servizio di piatti del matrimonio. E il paese si veste di tutta l’ipocrisia borghese, tradizionalista e cattolica che riesce a indossare. Nessuno ammette che sono cambiate le nostre famiglie, che i matrimoni si sono sfasciati uno dopo l’altro e che nuove relazioni si sono formate. Non si riconoscono gli amori gay, le persone single, figuriamoci se qualcuno accennasse l’idea di una coppia poliamorosa.

Inoltre ogni pranzo e cena natalizia continua a reggersi sul lavoro non riconosciuto delle donne. Quelle che hanno fatto la spesa, pensato agli inviti, organizzato i regali, comprato la tovaglia, cucinato i dolci a tempo debito, spedito i biglietti di auguri, vestito i bambini, fatto e disfatto le valigie. E poi quelle che hanno cucinato per anni, mentre abbiamo sempre ringraziato gli uomini che per un giorno l’anno si sono messi dietro i fornelli. E quanto sono stati bravi.

Quanto sarebbe più liberatorio rompere questo cliché consumista a cui nessuno può più adeguarsi e dirsi con molta più chiarezza che non ce lo possiamo più permettere? E quanto sarebbe più bello trovare delle alternative gioiose e attraversabili per tutte e tutti? Ma anche quest’anno sarà più semplice mettersi dietro lo schermo del cellulare, parlare con i propri simili, evitare il confronto sincero e svincolare la polemica politica. Perché come tutti i rapporti sociologici e politici ci spiegano, l’Italia si fonda sulla famiglia e cambiare le tradizioni familiari individualmente e di fronte a una tavola imbandita è forse un’impresa impossibile. Ma riflettere sui limiti di questa costruzione che è la famiglia patriarcale fondata sulla coppia eterosessuale non solo è un dovere ma una necessità per la nostra liberazione. Economica, sessuale, relazionale e di vita.

 

 

E adesso?

Adesso abbonati, genera indipendenza