ITALIA

Meloni non è certo TRANSfemminista

In queste settimane di campagna elettorale è stato scritto molto su Meloni e quanto il suo essere biologicamente donna la avvicini al movimento femminista. Spoiler: assolutamente niente

A pochi giorni dal voto, che potrebbe presentarci il governo più a destra della storia della Repubblica italiana, con la possibilità di avere Giorgia Meloni Presidente del Consiglio dei Ministri, ha rimbombato una domanda perversa nel dibattito pubblico: non sarebbe una vittoria per tutte le donne quella di avere la prima Presidente del Consiglio donna?

Un dibattito simile si era affrontato durante le elezione del Presidente della Repubblica quando diverse donne del mondo della cultura e dello spettacolo firmarono un appello “una donna al Quirinale” senza far riferimento a nessun nome, ma scrivendo che «Non è questa la sede per fare un elenco di nomi ma molte donne hanno ottenuto stima, fiducia, ammirazione in tanti incarichi pubblici ricevuti, e ci rifiutiamo di pensare che queste donne non abbiano il carisma, le competenze, le capacità e l’autorevolezza per esprimere la più alta forma di rappresentanza e di riconoscimento».

Appello ripreso e rilanciato dall’associazione italiana che valorizza e sostiene l’imprenditoria al femminile, dove si elencano una serie di virtù presidenziali femminili – tra cui ascolto, naturale empatia e attenzione primaria ai concetti di cura relativa alle persone – doti considerate intrinseche all’essere donna e quindi alla leadership femminile.

Questo è oggi un discorso molto in voga negli studi manageriali, la leadership femminile in sé migliora le relazioni aziendali aprendo a una cultura più empatica e di cura nei luoghi di lavoro.

Possiamo tracciare uno dei punti di inizio di questo discorso sulla leadership femminile durante la crisi finanziaria del 2008, quando nel mondo anglofono in molte e molti si chiesero: cosa sarebbe accaduto se Lehman Brothers fosse stato Lehman sisters? O meglio, la crisi sarebbe stata evitabile se nei posti di potere della finanza fossero state presenti più donne? Così la narrazione della donna leader prudente e operosa capace di pensare oltre sé e per il bene comune offriva un meccanismo correttivo alla crisi finanziaria senza affrontare i problemi strutturali del sistema economico, ma semplicemente auspicando una maggiore diversità di genere nella finanza.

Questo femminismo è incentrato solo sulla rottura del cosiddetto soffitto di cristallo, cioè quella barriera che impedisce alle donne di arrivare alle posizioni di comando. In un certo senso potremmo dire che questa è la torsione neoliberale del femminismo della parità che trova le sue fondamenta nella lotta che le donne occidentali bianche iniziarono a cavallo tra ‘800 e ‘900 per diritto di voto, per poi svilupparsi in un femminismo emancipazionista per le uguali opportunità.

Sulla base di questa prima torsione ne avviene un’altra che essenzializza la differenza dell’essere donna, e la fa tornare alla sua pura essenza biologica, la capacità di generare vita ed essere madre, così come vuole Terragni che nel suo appello verso le elezioni apre implicitamente alla possibilità di votare per Meloni.

Del resto, lo scivolamento verso destra di Terragni, e delle posizioni transescludenti di un certo femminismo essenzialista, era già stato evidente durante il dibattito per il voto su DdL Zan. Un appello che però, nonostante tutto la sua visibilità, conta solo 661 firme, come fa ben notare Porpora Marcasciano, una posizione più forte nei salotti buoni che nelle piazze del paese.

Molte altre, pur non aprendo al voto a Meloni, si domando, però, se non sia comunque una vittoria per le donne avere la prima Presidente del Consiglio donna nel nostro paese. Per lo meno per una questione di rappresentazione simbolica e di esempio per le generazioni future, in un paese in cui le donne occupano un terzo delle cariche politiche nazionali e meno di un quinto di quelle locali, e la rappresentanza parlamentare femminile ha raggiunto solo il 36%, nonostante la presenza delle quote di genere alle scorse elezioni.

Eppure il ruolo di Presidente del Consiglio non è semplicemente simbolico, è tra le più alte cariche dello stato, e di crescente importanza per la sempre maggiore centralità dell’esecutivo nella nostra forma di governo. Allora bisognerebbe domandarsi che tipo di leadership femminile si auspica se l’esempio per le nuove generazioni sarà una donna che diffonde un discorso di odio, razzista e omolesbobistransfobico, a copertura di politiche neoliberiste, competitive e individualiste?

Oggi, che siamo immersi in quella che è stata definita la quarta ondata di femminismo, è in corso una battaglia semantica per la risignificazione di cosa sia il femminismo. Quindi invece di chiedersi se Meloni sia femminista a sua insaputa bisognerebbe ribaltare la questione.

È possibile – purtroppo – che Meloni diventi Presidente del Consiglio perché ci sono state donne che hanno lottato per questo. Un po’ come spiegavano i manifesti di School of feminism affissi da Cheap «ringrazia una femminista se oggi puoi votare», se oggi ti puoi candidare, se oggi puoi essere eletta. Sono state le lotte femministe che lo hanno permesso.

E anche per rispondere alla domanda sul perché non sia il centro-sinistra ad esprimere delle leader donna, basterebbe guardare al di fuori dei confini nazionali – come in Finlandia o Nuova Zelanda – per comprendere che questo non è un problema generale del campo progressista, senza dimenticare che anche il Partito Comunista e la Resistenza hanno avuto una grande partecipazione femminile, e che, allora, forse, il problema è tutto interno agli odierni partiti italiani.

Perché mentre qualcuna cerca di tenersi e affibbiare l’etichetta femminista, ci sono lotte nelle strade, nelle scuole, e nei luoghi di lavoro che hanno già risignificato la parola femminismo in transfemminismo: un movimento intersezionale, antirazzista, che si batte per l’autodeterminazione dei propri corpi, in cui le donne trans, non binarie, e di qualsiasi orientamento sessuale, così come le donne razzializate, sono parte centrale.

E saranno ancora queste lotte transfemministe a opporsi alle politiche razziste, nazionaliste, omolesbobistransfobiche del prossimo possibile governo di (estrema)destra, che la Presidente del Consiglio sia Meloni, o meno.

Immagine di copertina di Wikimedia Commons