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LGBTQIAP+Ψ. Una psicoanalista risponde all’appello di Paul B. Preciado

La mutazione della psicoanalisi che il filosofo Paul B. Preciado invoca nel suo saggio «Je suis un monstre qui vous parle», uscito recentemente in Francia per Grasset, ha trovato ascolto in alcuni praticanti della psicoanalisi che hanno colto l’occasione per ripensare la propria disciplina: partendo innanzitutto dall’idea che il binarismo sessuale non possa costituire un fondamento essenziale della clinica psicoanalitica

Caro Paul B. Preciado,

Le scrivo perché, leggendo il Suo ultimo libro, Je suis un monstre qui vous parle, mi sono sentita nell’obbligo di risponderLe.

Il suo libro è stato letto da molti come un ennesimo attacco alla psicoanalisi: se la psicoanalisi si è allontanata dalle coppie dello stesso sesso, dalle famiglie omoparentali, dalle persone nate attraverso procreazione artificiale, ultimamente si è alienata anche dalle persone trans. E ogni volta ha perso: la società si è schierata con quelle e quelli che la psicoanalisi richiamava all’ordine. Un tempo espressione di una forte radicalità teorica, la psicoanalisi è oggi diventata obsoleta, sorda alle invenzioni del desiderio e dei corpi che la circondano, capace unicamente di fare appello alle grandi leggi dell’Edipo, della castrazione, dell’ordine simbolico o, più recentemente, del reale della sessuazione.

Eppure, leggendoLa, ho sentito l’esatto opposto: invece di affermare che la psicoanalisi, per qualche vizio di fabbrica fondamentale, è necessariamente votata a partecipare alla secolare violenza sociale e sessuale, Lei scrive: «Psicoanalisti per la transizione epistemica, unitevi a noi! Costruiamo assieme una via d’uscita! Faccio qui appello a una mutazione della psicoanalisi, all’emergenza di una psicoanalisi mutante, all’altezza della mutazione di paradigma che stiamo vivendo» (P. B. Preciado, Je suis un monstre qui vous parle, Grasset, 2020, p. 125, trad. nostra).

Questo Suo appello mi rallegra. Non perché, in quanto psicoanalista, avrei interesse a non vedermi cancellata dalla rete di tutti quei discorsi interessanti della modernità che Lei rappresenta così bene, ma solo perché, in quanto psicoanalista, so che sempre più persone cercano – e trovano – in questa pratica un aiuto: le “evoluzioni” della società e dei costumi non hanno cambiato la sostanza. Né posso accontentarmi di pensare che vi sia un mondo che ha bisogno della psicoanalisi ma che non voglia saperne il perché. Deve per forza esserci qualcosa, in questa maledetta psicoanalisi, che non sia del tutto contraria alle invenzioni militanti, sociali e tecniche che conosciamo.

Voglio dire che siamo già in molti a cercare questa “mutazione” della psicoanalisi a cui lei si appella. E questo non per essere alla moda, ma solo per essere dei/lle migliori psicoanalisti/e, pensando che una tale mutazione, lungi dal costringerci a gettare alle ortiche i fondamenti della nostra pratica, ci riconduca ad essi.

Già leggendo uno dei Suoi precedenti libri, Testo Junkie, ero stata colpita dalla descrizione della Sua transizione, che mi ha aiutato a pensare con esattezza il genere di “transizione” in cui consiste per me una cura psicoanalitica. Allo stesso modo, credo che nel Suo rifiuto del “binarismo” sessuale – di questo presupposto apparentemente insuperabile che impone a ognuno di noi di essere, in materia di sesso, o maschio o femmina – si ritrovi qualcosa di essenziale per la psicoanalisi.

Credo d’altra parte che la psicoanalisi possa aiutare a chiarificare questi fenomeni – non nel senso che saprebbe dirne la verità, ma semplicemente per contribuire ad elaborarli, a prolungarli, a intensificarli. Nello stesso modo penso che il concetto di sintomo (nel suo senso psicoanalitico, che come Lei verrà è all’esatto opposto del suo senso medicale e patologizzante) possa aiutare a comprendere questa esperienza della transizione di cui Lei parla e che secondo me costituisce un modello della cura. E ancora, credo che il concetto di fantasma[1] permetta di comprendere quello che si gioca per tante persone che restano aggrappate al binarismo sessuale.

Sono queste le tesi che vorrei proporle in questo breve testo, come introduzione a quella che potremmo chiamare, forse, una proposta di alleanza.

 

 

CORPI SINTOMATICI E INTOSSICATI

Invece di cercare rifugio nelle teorie dei padri della psicoanalisi, Lei ci incita ad «ascoltare le voci dei corpi esclusi dal regime patriarco-coloniale» (Je suis un monstre qui vous parle, p. 125).

Lei ha ragione: quando si legge ciò che molti/e psicoanalisti/e dicono o scrivono a proposito delle esperienze LGBTQIAP+[2], si rimane esterrefatti dalla loro sordità. Queste sarebbero infatti vittime di un’ingenua passione per l’identità. Tuttavia, ciò che è in gioco in nelle loro esperienze non è sicuramente l’identità intesa come categoria fissa d’appartenenza: basta una rapida lettura di Judith Butler per rendersene conto[3]. Così come non si tratta di supporre una determinata infelicità anatomica alle persone LGBTQIAP+: il soggetto trans, ad esempio, non si espone a una ricerca chimerica del vero sesso, come se questi fosse nato in un corpo “sbagliato” che non riuscirebbe a riconoscere – ciò è ampiamente dimostrato dalla Sua stessa testimonianza[4]. La persona trans non intende conformarsi al desiderio del genitore che desiderava un figlio di sesso diverso dal proprio[5]. Il desiderio di mutazione del trans non è neppure un delirio, una credenza, una fuga immaginaria o un disturbo della personalità che deve necessariamente condurre all’operazione chirurgica.

Lei dice al contrario: il corpo trans è un corpo escluso e rivoluzionario, che si oppone all’universalismo che caratterizza il discorso etero-patriarco-coloniale. Questa raffigurazione, che potrebbe sembrare estranea al quadro concettuale psicoanalitico, mi pare, in realtà, molto più vicina ad esso rispetto a tutte le altre finora esposte.

L’accento posto sulla tensione tra corpo e discorso evoca altre formulazioni: per Lacan, anche il corpo dello schizofrenico è al di fuori di ogni discorso[6]; se seguiamo Deleuze e Guattari, bisogna aggiungere il corpo ipocondriaco, isterico, tossicomane, masochista, innamorato e artista[7]. Ma ancora prima di questi autori, le prime voci dei corpi esclusi si sono espresse grazie ai soggetti isterici: in maggioranza donne, esse hanno scombussolato il discorso grazie al sintomo, di ordine sessuale ed espresso attraverso le modificazioni corporee (somatizzazioni) o allora attraverso un’altra pratica che in psicoanalisi chiamiamo “mascherata”. La psicoanalisi deve a loro la propria invenzione e la scoperta dell’inconscio. L’inconscio è necessariamente in relazione con quei corpi ribelli, appartenenti al regime della particolarità. Particolarità che, in psicoanalisi, si chiama per l’appunto “sintomo”.

Il concetto di sintomo è uno dei più bei lasciti teorici di Lacan alla cultura intellettuale e alla cultura tout court. Tentare di restituirlo non vuol dire rimuginare i testi dei padri della teoria psicoanalitica. Al contrario, bisogna servirsi di essi come di un’arma, per ravvicinarci ancora di più a ciò che vediamo, a ciò che sentiamo, a ciò che facciamo.

Diciamo le cose nella maniera più semplice possibile. Il sintomo, dal punto di vista della psicoanalisi, anche se genera sofferenza, non è un segno della malattia; non deve essere estirpato o corretto (come fa la medicina). Il sintomo, effetto après-coup del traumatismo, tradisce sempre l’insistenza di una certa “modalità di godimento”[8]. Da quest’ultima nessun soggetto, qualsiasi cosa faccia, può sfuggire. Inoltre, non può neanche veramente riconoscerla, identificarla, dargli un nome e un posto nell’ordine delle cose, in altre parole, accomodarla. Il sintomo designa così qualcosa di totalmente singolare, qualcosa che fa eccezione. È sempre la traccia di una resistenza alla colonizzazione del corpo: la divisione soggettiva tra l’ideale e la pulsione non consente di conformarsi alle prescrizioni di ciò che chiamiamo il discorso dell’Altro (sociale o famigliare).

Il godimento è fisso; viceversa, il sintomo si forma e si trasforma. Ora, se è vero che in psicoanalisi si parla spesso di “formazione del sintomo”, non si parla mai abbastanza della “trasformazione del sintomo”, che è invece essenziale. Se il sintomo si iscrive nel corpo come una necessità – il soggetto non riesce a rinunciare al proprio modo di godere –, la sua incidenza è sempre contingente: può verificarsi o meno, prendere una forma o un’altra, in un qualsiasi momento. E ogni volta un nuovo corpo si fabbrica, corpo che non si riduce ai suoi organi ma che eventualmente li include. Il sintomo è «mutante», si sposta e si tra(n)s-forma (trans-forme). Per meglio dire, è ciò che fa del corpo, di ogni corpo, un corpo mutante, un corpo trans.

Il fine di una psicoanalisi è precisamente la tra(n)s-formazione del sintomo. Essa fa ricorso a quella mutevolezza [mutantité] del corpo, solitamente temuta dal soggetto, permettendogli di giungere ad un sintomo tra(n)s(formato), che faccia assumere al soggetto la necessità di inventarlo.

Si può dire che la cura va da uno o più sintomi di ingresso a uno ed un solo sintomo di uscita. Questo sintomo finale, fondamentale – “felice” – si presenta come una soluzione accettabile, se non addirittura come una risoluzione o via d’uscita. Se la maniera di godere resta la stessa, il sintomo, ormai tra(n)s-formato, smette di restituirci un godimento insopportabile.

Affermare che questo sintomo è “felice” non equivale a dire che fa sparire tutti i problemi, ma che calza bene, abbastanza bene perché il godimento di un soggetto possa funzionare all’interno del mondo in cui si trova. Vi è un che di casuale, dunque di inventivo, di furbo, di astuto. Il soggetto si dedica al bricolage – nel senso lévi-straussiano del termine –, si inventa una pratica del corpo che corrisponda alla sua modalità singolare di godere.

Ma l’osservazione mostra che questa invenzione è possibile grazie all’incontro con un elemento – un oggetto – esteriore: una sorpresa, una deviazione o, come direbbe Lucrezio, un clinamen[9]. Se gli oggetti ordinari rappresentano una protesi egoico-etero-patriarcale che consente al soggetto di difendersi contro la mutevolezza inscritta nel corpo, l’oggetto-clinamen si costituisce come una protesi del corpo, che gode della propria trasformazione grazie a un incontro inatteso: la contingenza dell’oggetto-clinamen ha la forza di spostare il sintomo intensificando, allo stesso tempo, il godimento, che resta determinante e necessario.

Il soggetto non si lamenta più e, soprattutto non soffre più a causa del suo sintomo – nel senso che non tenta più di sottrarsi a esso… perché ora vi si identifica! Adesso il soggetto vuole essere il suo sintomo! Ha compreso che il sintomo non è semplicemente qualcosa che subisce, ma qualcosa che egli/essa stesso/a fa (un po’ come Deleuze e Guattari dicevano che «il molteplice bisogna farlo»), che fa facendosi, facendosi per l’appunto “trans”, e non certo conquistandosi un’identità fissa. Lo scopo di un’analisi non è l’inclusione sociale, né la riconciliazione con mamma e papà, né l’accettazione rassegnata della castrazione. Il fine di un’analisi è questa “identificazione al sintomo”[10], cioè al godimento del proprio corpo attraverso la tra(n)s-formazione del sintomo. Evidentemente, l’identificazione al sintomo non ha nulla a che vedere con l’identità normativa che si stabilisce a partire della persona (l’io, o ahimè il nome di famiglia, il nome proprio).

L’esperienza che Lei descrive nel suo libro mi pare una formidabile dimostrazione di cosa voglia dire «fabbricare [bricoler] un sintomo felice». Lei scrive:

«Fare una transizione di genere è inventare un concatenamento macchinale con l’ormone o con un altro codice vivente – il codice può essere una lingua, una musica, una forma, una pianta, un animale o un altro essere vivente. Fare una transizione di genere è stabilire una comunicazione trasversale con l’ormone, che cancella, o meglio, eclissa ciò che voi chiamate il fenotipo femminile e che permette di illuminare una nuova genealogia. Questa illuminazione è una rivoluzione. Una sommossa molecolare, un assalto al potere dell’ego patriarcale, all’identità e al nome. È un processo di decolonizzazione del corpo» (Je suis un monstre qui vous parle, p. 125).

Il godimento del corpo in mutazione, tramite il testosterone (l’oggetto-clinamen), veicola la costituzione di un sintomo tra(n)s-formato. La mutazione trans è, per usare le sue parole, una via d’uscita: «Io cercavo solo una via d’uscita, una qualsiasi. Per avanzare, per sfuggire alla parodia della differenza sessuale» (Je suis un monstre qui vous parle, p. 199). La mutazione è un sintomo felice, quando riesce a schivare la colonizzazione del discorso etero-patriarco-coloniale, per forza binario, nella misura in cui classifica, ordina, governa.

Penso a un paziente che, influenzato dal discorso medico e sociale, viveva il suo desiderio di mutazione come una disforia. Ho dovuto aiutarlo a disalienarsi da quel discorso, perché potesse cominciare il percorso di transizione senza vergogna né senso di colpa, assumendo il proprio desiderio di mutazione sessuale come sintomo di “uscita”. Esigere che la transizione sia fondata su un regime di verità non ha alcun senso. L’identificazione, per quell’analizzante, non era diretta al suo esser-donna in divenire, né a ciò che restava del suo esser-uomo, ma al suo godimento della mutazione vissuta come decolonizzazione del corpo. La vera questione non è sapere se la persona è un/a vero/a trans o no, ma se la transizione è riuscita o no a “fare sintomo”.

Il testosterone, come ogni oggetto-clinamen, crea dipendenza[11]: una dipendenza (addiction) non può che essere singolare, dunque necessariamente auto-gestita; non può che venire da sé, e più precisamente da quella parte di sé che non è identica a se stessa. L’ormone è la protesi di godimento del corpo, non può quindi essere amministrato dall’Altro, né essere trasformato in uno strumento medico atto a normalizzare il godimento a partire dal binarismo sessuale: «Io non voglio cambiare sesso, io non voglio dichiararmi in alcun modo disforico, io non voglio che un medico decida la dose mensile di testosterone che fa per me» (Je suis un monstre qui vous parle, p. 199).

Non si può prescrivere l’assunzione di testosterone per la stessa ragione per cui non si può prescrivere una psicoanalisi. Lei mostra molto bene che il transfert opera come una sostanza chimica, tossica[12] – quindi come un oggetto-clinamen – che favorisce, tramite una dipendenza (amorosa), la tra(n)s-formazione del sintomo. Dicendo ciò, Lei inventa una della più forti epistemologie della psicoanalisi che sono in circolazione.

Non c’è niente che chiarisca il processo di identificazione al sintomo meglio del fenomeno trans per come lei lo descrive. I/le trans sono corpi sintomatici (come il corpo isterico, schizofrenico, ipocondriaco, masochista, innamorato, artista): decolonizzando il proprio corpo, lo sottraggono alla razionalizzazione della vita, al controllo, alla profittabilità, alla misura, per restituirlo all’irriducibile godimento. Il corpo decolonizzato attraverso il sintomo è un corpo rigorosamente ingovernabile (perciò, sì, “rivoluzionario”): senza tra(n)s-formazione, il corpo rimane una colonia perduta in un mondo igienizzato e normalizzato. Per questo la mutazione trans non è un disturbo, ma (almeno nel migliore dei casi) una soluzione: la felice identificazione al sintomo dimostra che la sola soluzione possibile è quella inventata dal soggetto stesso. Soluzione la cui unica legge porta un nome: godimento (e non di certo verità).

Lei avrà senza dubbio inteso che asserire che la transizione, per come lei la descrive, e che corrisponde alla logica del sintomo, non è affatto patologizzarne l’esperienza. Ciò equivale, al contrario, a depatologizzare ogni genere di esperienza. Comprendere che ciò che la psicoanalisi chiama “sintomo” corrisponde alla potenzialità trans che lei rileva, vuol dire da un lato approfondire il concetto di sintomo (per meglio comprendere la cura psicoanalitica) e dall’altro, forse, dare ai suoi concetti una dimensione più generale ancora, su un terreno ben preciso: quello delle alterazioni del nostro corpo che noi tutti e tutte produciamo, alterazioni che eccedono l’alternativa tra ciò che si sceglie e ciò che si subisce. Trovare il proprio sintomo, trovare la propria sostanza tossica: ecco la legge e i profeti!

 

LA DIFFERENZA DEI SESSI COME FANTASMA

A questo punto, Lei potrebbe pensare: «è proprio quello che La invitavo a non fare. Lei mi legge restituendomi una teoria psicoanalitica già costituita, per di più formulata nel lessico astruso di uno dei suoi padri severi, lo strano dottor Lacan». In verità, io credo di aver fatto un po’ meglio: credo di aver trovato nell’esperienza trans un modo per approfondire dei concetti di cui mi servo nella mia pratica. Ma poco importa. A ogni modo, Lei converrà con me che non si possono invitare gli/le psicoanalisti/e a trasformare la propria disciplina semplicemente rinunciandovi, rinunciando ai loro concetti, alle loro pratiche, alle loro esperienze fondamentali. Il punto, piuttosto, è fare la prova interna delle loro capacità di mutare.

Eppure, a volte bisogna rinunciare a qualcosa. Nella fattispecie, la nozione di “differenza sessuale” è un esempio di un frammento della teoria lacaniana per cui non mi sembra ci sia altra opzione possibile se non la rinuncia – non già, ancora una volta, per seguirLa, ma per fare della buona psicoanalisi, nella pratica come nella teoria[13].

È piuttosto strano che Lacan, nel momento stesso in cui elaborava il suo straordinario concetto di sintomo, si imbarcasse nell’impresa, non poco scabrosa, di porre la differenza sessuale al centro dei fenomeni con cui, noi psicoanalisti/e, abbiamo a che fare. Una tale impresa ha fatto sufficientemente breccia negli spiriti più sottili, tanto che alcuni pensatori associati alla psicoanalisi lo hanno seguito su questo punto – penso a Jean-Claude Milner, Slavoj Žižek, Alenka Zupancic, Alain Badiou[14] e tanti altri.

A grandi linee, possiamo ricostruire questa tesi nella maniera seguente: se il corpo e il discorso non coincidono (detto altrimenti, se ci sono corpi isterici, trans, ecc. insomma, corpi sintomatici), è perché i corpi sono sessuati; e poiché la sessuazione prende qui la forma di una differenza binaria che attraversa quei corpi, senza ripartirli in maniera univoca da un lato o dall’altro, allora ogni identificazione fallisce, lasciando il corpo in preda al panico. Da questo punto di vista, allora, l’errore trans sarebbe quello di sperare di poter aderire a un sesso univoco, un sesso a cui potersi pienamente identificare. Lacan condensa l’impossibilità dell’incontro, con sé e con l’altro, in una formula celebre: «non c’è rapporto sessuale». Tale non-rapporto, a cui siamo condannati, è fondato sulla logica binaria della differenza sessuale, logica che Lacan espone attraverso le famose «formule della sessuazione»[15]. Poco importano i dettagli. Ciò che conta tenere a mente è il tentativo lacaniano di mostrare il fondamento logico dell’inconsistenza di ogni sessuazione e che questa logica è necessariamente binaria.

È però possibile un’altra interpretazione del “non c’è rapporto sessuale”: dal punto di vista della teoria freudiana delle pulsioni[16], il suo senso è facile da decifrare. Non c’è rapporto poiché, sessualmente, non ci sono individualità (degli Uni) che si incontrino facendo Due (o Uno), ma solo parti feticizzate del corpo (e non solo del proprio corpo [17]) che si raccordano fra loro secondo una grammatica specifica. Ciò che è determinante, e che inscrive il non-rapporto sessuale a livello dell’inconscio, è il godimento parziale e sintomatico, e non il fantasma dell’esistenza di corpi unificati individualmente come corpi-uomo o corpi-donna mal funzionanti. Il fantasma del binarismo, che coincide col fantasma dell’individualismo (ancorché traballante), o del monismo, diventa lo schermo al reale[18] di un corpo catturato nell’ambito sessuale o, detto altrimenti, parzializzato dal godimento delle zone erogene. Questo corpo sintomatico – corpo mutante, come Lei dice – mostra che c’è qualcosa a livello sessuale che resiste, nella misura in cui il corpo sfugge a ogni possibile unificazione. E in questo contesto, “uomo” e “donna” non sono altro che unificazioni immaginarie, che esistono solo sul piano del fantasma.

Se ci teniamo alla teoria del sintomo, vi è un’impossibilità legata alla sessualità che non dipende dalla sessuazione. In altri termini, il non-rapporto non si spiega a partire dalla logica binaria della sessuazione, ma a partire dall’esperienza del corpo sintomato (symptômé), del corpo mutante, del corpo trans, del corpo attraversato da un godimento che lo tra(n)s-forma a sua insaputa, indipendentemente dal binarismo sessuale (pensato come costitutivamente in scacco o come potenzialmente realizzato).

Certo, Lei potrebbe sospettare che dicendo ciò io releghi la problematica del rapporto genere/sessuazione a una semplice operazione fantasmatica. Non è ciò che intendo dire. Al contrario, penso che uno dei Suoi apporti maggiori alla psicoanalisi sia proprio quello di mostrarci che non si può capire nulla delle esperienze trans se ci si accontenta di abbordarle partendo dal problema dell’identità e della differenza. Viceversa, la forza di quelle esperienze si impone quando queste sono restituite a livello della fabbricazione del sintomo. Bi-genere, Cross-genere, Drag Queen, Drag King, Donna Queen, FTM (Femmina-tendenza-Maschio), Travestito/a (Gender Bender), Queer, MTD (Maschio-tendenza-Femmina), Non-Operato, Hijira (terzo genere), Pangenere, Transessuale/Trans-sessuale, Transgenere, Persona Trans, Femmina, Maschio, Maschietta, Berdache (bi-spirituale), Trans, Agenere, Terzo sesso, Genere-Fluido, Transgenere non-binario/a, Androgino, Non-binario (Gender Gifted), Genere Misto (Gender Blender), Donna, Persona d’experienza, non sono delle identità, ma piuttosto delle posizioni sessuali, cioè dei bricolage che danno forma a delle modalità singolari di godimento, che non negano il non-rapporto ma favoriscono l’invenzione di supplenze al non-rapporto, cioè dei sintomi, che non danno né più né meno garanzie dei corpi cis-gender. Questi ultimi diventano, nelle diverse figure storiche e individuali, dei casi particolari tra tanti altri.

Sono tutti corpi inventati, che si avvalgono di innumerevoli artefatti – travestimenti, gesti, performance, attitudini, sentimenti: sono questi gli elementi con cui il corpo-sintomo si fa. Come ce l’ha mostrato Freud attraverso le cure delle isteriche e, come ce lo ricorda Lei con le sue descrizioni degli atelier di sessuazione transgender, la sola verità del corpo è la mascherata.

Su questo punto Judith Butler è insuperabile: in ogni mascherata – transgender, lesbica, gay, isterica, fallica, etc. – non c’è nulla che preceda la suddetta performance[19]. L’isterica che fa l’uomo non sta cercando di raggiungere l’essenza fantasmatica dell’Uomo, ma si sta fabbricando un corpo à seconda del suo modo di godere. L’effetto mascolino che questa performance produce può essere compreso solo se lo pensiamo a partire dai suoi meccanismi di godimento. L’importante non è sapere se un tale effetto sia la sola verità del genere maschile (come sostiene il costruttivismo ingenuo) o se esistano degli intrattabili punti di arresto obbligati (come lo pensano certi/e psicoanalisti/e lacaniani/e, omofobi/e e transfobici/che), ma di chiedersi quale sia il concatenamento attraverso cui un tale effetto si rivela efficace.

Allo stesso modo, il/la trans che intraprende un processo di mutazione, si inventa un corpo tale per cui gli effetti di mascolinità, femminilità o altro, contano solo per la loro capacità di produrre un godimento “felice”. La performance non è un gioco di immagini e somiglianze; è ciò attraverso cui un sintomo si fabbrica, secondo questa combinazione sconcertante di necessità e contingenza (sulla quale d’altronde la stessa Judith Butler ha molto scritto). Quanto al corpo, si vede bene che è sempre qualcosa in più di un uomo o di una donna e persino più d’ogni genere e sesso. È in questo senso che la sessuazione – il binarismo – non può rendere conto della produttività del corpo sessuale. Questo supplemento è ciò con cui hanno a che fare gli/le psicoanalisti/e, cioè l’inconscio.

Così, caro Paul B. Preciado, il Suo progetto presenta una posta in gioco che mi pare molto semplice: aiutarci a restituire le esigenze e il senso di questa parola, inconscio, che è anche l’elemento fondamentale della nostra pratica quotidiana.

Per questo, volevo ringraziarLa.

 

Testo apparso il 24/09/2020 con il titolo di « LGBTQIAP+Ψ : réponse d’une psychanalyste à l’appel de Paul B. Preciado », in AOC: Analyse, Opinion, Critique. Traduzione di Andrea Palumbo

 

[1] Costruito a partire da processi difensivi, il fantasma è un canovaccio che mette in scena la realizzazione di un desiderio inconscio.

[2] L’acronimo LGBTQIAP+ sta per Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender, Queer, Intersessuali, Asessuali, Pansessuali, mentre il segno “+” è stato aggiunto per segnalare il carattere non restrittivo di tali denominazioni. Sotto questo acronimo si raggruppano persone, azioni o organizzazioni che si sentono solidali nello scontro (subito o volontario) con un certo ordine dei corpi. Uso i termini “esperienza” o “pratiche LGBTQIAP+” per indicare un continuum che include persone individuali e organizzazioni, pratiche e sentimenti d’identità, forme e concetti.

[3]  “Sono sempre turbata dalle categorie identitarie, che per me sono sempre punti di arresto che comprendo, e di cui persino mi servo come necessari elementi di disordine. Anzi, se questa categoria non suscitasse più alcun turbamento, non mi interesserebbe più: è precisamente il piacere legato all’instabilità di una categoria che ricopre delle pratiche erotiche variegate, ciò che mi spinge ad occuparmene”. J. Butler, « Imitation et insubordination du genre », in G. S. Rubin, J. Butler, Marché au sexe, Epel, 2001, p. 144 (trad. nostra).

[4] Solo leggendo con i paraocchi si può affermare, come fa Elisabeth Roudinesco, che Lei possa sentirsi “vittima” di quell’odiato ordine biologico che L’ha fatta nascere donna. E. Roudinesco, « “Je suis un monstre qui vous parle” : la “psychanalyse mutante” de Paul B. Preciado », Le Monde, 12 giugno 2020.

[5] R. J. Stroller, Sex and Gender: The Development of Masculinity and Femininity, Routledge, 1994.

[6] J. Lacan, « Lo Stordito », in Altri Scritti, Einaudi 2013, p. 472. Lacan fa qui riferimento alla sua teoria dei quattro discorsi: il discorso del padrone, il discorso dell’università, il discorso dell’isterica e il discorso dell’analista, ai quali ne aggiungerà un quinto, il discorso del capitalista.

[7] Questa differenza nel discorso deve essere pensata, per Deleuze e Guattari, a partire dal corpo: l’organismo, che segue il discorso dominante, di oppone al corpo senza organi. Cfr. G. Deleuze, F. Guattari, L’anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, Einaudi 2002.

[8] Il termine “godimento”, introdotto da Lacan, indica la sofferenza mista a piacere, o viceversa. Questa esperienza è propria della sessualità, ma si estende anche ad altre situazioni. Il godimento è legato alla struttura traumatica del desiderio: è proprio il godimento/sofferenza del trauma che il soggetto cerca di ripetere attraverso il sintomo.

[9] Il clinamen, che possiamo tradurre con “declinazione”, è per Lucrezio una minima deviazione degli atomi (declinare) dal loro percorso verticale, deviazione che permette loro di produrre un cambiamento. Il clinamen è insieme una deviazione spaziale e una necessità logica, nel campo della fisica come della morale. Cfr. Lucrezio, La natura delle cose, Bur, Milano 1994.

[10] Il sintagma “identificazione al sintomo” è un hapax di Lacan che nomina la sua ultima concezione del fine analisi. Cfr. J. Lacan, « Ouverture de la section clinique », in Ornicar?, n. 9, 1977, pp. 7-14. Per una presentazione ben articolata – ma, ahimè, riservata agli iniziati – di ciò che difendo qui, cfr. C. Soler, « L’identification au symptôme » https://www.lemonde.fr/livres/article/2020/06/12/je-suis-un-monstre-qui-vous-parle-la-psychanalyse-mutante-de-paul-b-preciado_6042598_3260.html . L’espressione “sintomo felice” è infatti di Colette Soler.

[11] Cfr. in particolare il capitolo «Testogel» in P. B. Preciado, Texto Junkie. Sexe, drogue et biopolitique, Grasset 2008, pp. 51-62.

[12] «La teoria dell’interpretazione dei sogni e la cura con la parola si devono intendere come metodi di intossicazione per mezzo delle immagini e del linguaggio, tenendo conto del loro carattere chimico-materiale. È solo dopo aver ammesso che il ricorso diretto all’ingestione di sostanze chimiche avrà degli effetti secondari disastrosi (dipendenza, bisogno di aumentare la dose, degenerazione cellulare) che Freud torna alla parola, all’interpretazione dei sogni, alla narrazione dell’allucinazione, come maniere di produrre tossicità neurale: di indurre, attraverso il ricordo della narrazione di ciò che è accaduto o è stato immaginato, un impatto psichico comparabile all’ingestione di veleni chimici in piccole quantità. L’inconscio è un terreno ad alta sensibilità chimica». Ibid., p. 309. Trad. nostra.

[13] Ovviamente non si tratta di rinnegare l’importanza di movimenti come quello italiano, per l’appunto, del “femminismo della differenza”, che si batte per la difesa dei diritti della “minorità” femminile rispetto alla “maggioranza” maschile. Vedi su questo soggetto, Gilles Deleuze, Feliz Guattari, Mille piani, Orthodes, Napoli 2017. Sopprimere l’idea della differenza fra uomo e donna, non significa affatto negare l’esistenza delle minorità, ma al contrario moltiplicarle, e moltiplicare le possibilità di fabbricazione del proprio sintomo, non per forza limitato alla binarità sessuale.

[14] Cfr. In particolare J.-C. Milner, S. Zizek, J. P. Luchelli, Sexualité en travaux, Michèle 2018; A. Zupancic, Che cosa è il sesso?, Ponte delle Grazie 2018; A. Badiou, « Che cosa deve significare ‘rapporto sessuale’ per poter affermare che non c’è? », in S. Lippi, F. Leoni, Il sesso, l’amore. Conferenza di Milano. Con un saggio di Alain Badiou, Mimesis 2019.

[15] J. Lacan, Il seminario. Libro XX. Ancora, 1972-1973, Einaudi 2011, p. 73.

[16] Nel 1915, Freud definiva la pulsione in questi termini: “La pulsione ci appare come un concetto limite tra lo psichico e il somatico”. Sigmund Freud, Tre saggi sulla teoria sessuale, in Opere complete, vol. IV, Bollati Boringhieri, Torino 1977, p. 482.

[17] Ne Il disagio della civiltà, Freud evoca l’indifferenziazione dell’individuo e del mondo all’origine della vita. Sigmund Freud, Il disagio della civiltà, in Opere complete, vol. X, Bollati Boringhieri, Torino 1978, p. 558. Nulla cambia dal punto di vista del godimento: non c’è frontiera tra il corpo e il mondo, non ci sono oggetti interiori ed esteriori, la macchina del godimento è un immenso nastro di Moebius! Pellicce, scarpe, vibratori, dildo, ma anche droghe e sostanze tossiche, sono dei prolungamenti esterni del corpo che gode.

[18] Il reale è, nell’accezione lacaniana, ciò che resiste alla comprensione come all’immaginazione. Si distingue dalla realtà (la rappresentazione del mondo esteriore) disposta secondo il simbolico e l’immaginario. Ogni traumatismo è per Lacan un’esperienza dell’ordine del reale.

[19] J. Butler, « Imitation et insubordination du genre », op. cit., p. 158 (trad. nostra).