editoriale

Le acque agitate del governo e la nave dei movimenti

Dietro le fiamme di Notre-Dame continua a bruciare la Libia e si intravede il fumo nero del collasso economico italiano: su entrambe le cose il governo si spacca e balbetta

Malgrado la provvidenziale distrazione dell’incendio di Notre Dame, i fatti reali e le loro conseguenze politiche lavorano in profondità: parliamo della crisi economica e della guerra libica. Forse non succederà niente a breve, è il solito gioco pre-elettorale di strapparsi pezzi di consenso fingendo di differenziarsi dal partner, ma stavolta i giocatori si stanno incartando di brutto.

Mentre incombe il buco nero di un deficit stellare e la concretissima prospettiva terrestre dell’aumento dell’Iva e di tagli alla spesa sociale, i miseri strumenti messi a punto dal governo per rilanciare l’economia – i decreti legge “sblocca-cantieri e “crescita” approvati “salvo intesa” – sono stati in pratica rimandati da un irritato Mattarella a una nuova deliberazione del CdM per fissare gli articoli controversi, su cui appunto manca l’intesa. Senza di essa non potranno entrare in vigore. Mentre il Def può restare un paio di mesi in sospeso, cioè manifestare i suoi effetti devastanti a elezioni europee avvenute, i DL devono essere concreti e soprattutto controfirmati dal Presidente della Repubblica.

L’altra grana, più congiunturale e incontrollabile, è il disastro diplomatico e geopolitico della guerra in Libia, in cui l’isolamento internazionale dell’Italia (responsabilità del governo) si intreccia con eventi che non dipendono dal governo (che pure ha commesso tutti gli errori possibili) ma dal contesto globale e dagli scontri feroci all’interno del campo islamico sunnita, fra sostenitori (Serraj, Turchia, Qatar) e nemici (Haftar, Egitto, Arabia saudita, Emirati) dei Fratelli Musulmani. Con aggiunti gli interessi anti-italiani della Francia (Total vs Eni, e non solo).

La guerra esterna ha scatenato però una guerra interna al governo, fra un Salvini che cerca di approfittarne per estendere il proprio potere sulla politica estera e militare e il M5S che, in ritardo e in ordine sparso, cerca di arrestare la propria frana elettorale tenendo duro sulle competenze di un governo intestato nominalmente a Conte. Entrambi sono legati mani e piedi al partito perdente di Serraj, che ricatta l’Italia con lo spauracchio degli 800mila migranti pronti a salpare e dei 500 terroristi e foreign fighters pronti a evadere dal carcere, non mancando di ricordare che già 400 soldati italiani, un ospedale e una nave sono entro i confini libici (alleati? ostaggi?). Salvini vuole lucrare sui porti chiusi e sul terrore dell’inesistente invasione di migranti neri e arabi terroristi, Di Maio diventa inaspettato difensore dello Stato di diritto, del buonismo solidale e dell’assistenza ai poveri e disoccupati.

Mentre le due fazioni governative si sbranano per frazioni di punti nei sondaggi, la contesa ha compiuto un salto di qualità perché ha coinvolto le istituzioni. I poteri del Parlamento e del Presidente esautorati da decreti leggi al buio e i poteri e il prestigio dei vertici militari, che non accettano la subordinazione al ministro di polizia. Lo scontro da epidermico ed elettorale diventa strutturale e coinvolge i poteri forti: non dimentichiamo neppure la Banca d’Italia e gli organi della Ue, a cominciare dalla Bce e dalla riserva della Repubblica, Draghi.

Salvini stavolta ha pisciato fuori dal vaso e le sue farneticazioni nei talk show e nella stesura delle direttive si fanno palesi e controproducenti. I suoi avversari politici sono però sempre fragili e autoreferenziali, quando non autolesionisti come il Pd in Umbria.

Questo rende ancora più preziosa l’iniziativa pratica di quanti operano fattivamente in mare e in terra per contrastare l’ignobile razzismo e lo stolto cattivismo. Non bisogna infatti dimenticare che la direttiva che ha scatenato ieri la reazione dei vertici militari italiani aveva per oggetto prioritario la limitazione delle azioni di salvataggio della Mare Jonio, l’imbarcazione della piattaforma Mediterranea che nello scorso marzo aveva messo in scacco la famigerata politica dei “porti chiusi” e mostrato il carattere fondamentalmente extralegale e retorico del dispositivo salviniano: contro quell’azione, il Ministero degli Interni è costretto a fare ricorso ad una formula improntata alla più assoluta eccezionalità, suscitando la risposta del Capo di Stato Maggiore che è arrivato a considerare la direttiva ad navem come l’espressione degna di uno Stato di Polizia di tipo autoritario.

Solo poche settimane prima, l’oceanica manifestazione di NonUnaDiMeno contro il Congresso della Famiglia a Verona aveva messo in imbarazzo l’intera compagine governativa spingendo Di Maio a ripescare dal baule di scena la sua maschera da radicale: quella mobilitazione, ha avuto l’effetto di mostrare che dietro l’espressione bonaria e paternalistica degli esponenti del governo gialloverde, si nasconde il progetto di trasformazione – in senso reazionario – dell’intera società.

Questi movimenti, assieme alle mobilitazioni nei quartieri popolari, nelle scuole, nelle piazze e nei luoghi di lavoro, assieme all’incipiente ondata ecologista, sono la vera Grande Politica, non le manovre elettorali e para-elettorali del pollaio rappresentativo e della nuova kasta populista in competizione con il ritorno vendicativo delle vecchie élites.

Sapevamo che il ciclo reazionario, in Italia e in Europa, avrebbe suscitato reazioni e momenti di resistenza. Ora sappiamo che queste nuove forme politiche possono inserirsi con efficacia dentro questa tendenza gettando le basi per farla saltare in aria. La svolta autoritaria ha prodotto i suoi nuovi e autentici nemici. Sta a noi essere all’altezza dello scontro.