EUROPA

La Repubblica dei nostri sogni

Un racconto in soggettiva delle mobilitazioni che hanno scosso la Spagna in questi ultimi mesi. E un primo bilancio sulla sfida politica dell’indipendentismo catalano

Dal referendum del 1 ottobre sono passati più di due mesi.

Il mese di ottobre ha visto imponenti mobilitazioni indipendentiste in tutta la Catalogna, ma anche enormi manifestazioni unioniste/spagnoliste in tutto lo stato spagnolo. Nella stessa Barcellona si sono infatti visti due cortei davvero inediti: l’8O e il 29O sono scese in piazza centinaia di migliaia di persone, sostenute da un inquietante arco di forze politiche che va dai socialisti (e persino Francisco Frutos, un ex leader comunista in cerca di tardiva notorietà) alle peggiori organizzazioni fasciste, passando per PP e Ciudadanos. Se le risorse economiche dei partiti di governo hanno certo pesato nell’incentivare la partecipazione con molti bus da fuori, non si può negare la presenza di una parte di popolazione che non si riconosce nel progetto catalanista, soprattutto dalle periferie dell’area metropolitana di Barcellona, dove non si parla catalano.

Un primo dato da registrare è che in questi giornate non sono mancati terribili episodi di violenza fascista da parte di gruppi di estrema destra, che negli ultimi anni non avevano mai avuto – al contrario di molti altri paesi europei – alcuna legittimazione sociale, alcuna capacità di azione, e non avevano ovviamente mai trovato alcun tipo di spazio nelle numerosissime piazze spagnole dal 15M in poi. Il micro-fascismo che osserviamo montare in tutta Europa sul tema delle migrazioni, spunta in Spagna con tinte nazionaliste, unioniste, realiste.

Le mobilitazioni davvero oceaniche sono state però certamente quelle dell’1 e il 3 ottobre. Il referendum è stato un’incredibile mobilitazione popolare diffusa in tutta la regione, dove persone di ogni età, sesso ed estrazione sociale (ma non razza) scendevano in strada e si dirigevano ai seggi occupati per votare.

Contro tutti i richiami del governo di Madrid e con i volti disegnati da preoccupata determinazione, milioni di persone si dirigevano al voto “sfidando” insieme le violenze poliziesche, le cui immagini circolavano ovunque già dal primo mattino.

Quella stessa sera accadevano altri eventi importanti ed inediti: Puerta del Sol a Madrid e le principali piazze di Siviglia, Bilbao, Valencia ed altre città spagnole venivano letteralmente invase da manifestanti in solidarietà con il diritto dei catalani a decidere del proprio futuro e contro le violenze poliziesche. Questo dato è stato presto fatto passare in secondo piano e superato dal nervoso incedere degli eventi, ma chi conosce un minimo la Spagna e la Catalogna non può trascurare il valore storico di quelle piazze. In solidarietà con il popolo catalano ed in difesa del diritto a decidere, molte migliaia di persone si mobilitavano nella “odiata” Capitale e nei territori (soprattutto andalusi) da cui proviene la storica immigrazione lavorativa catalana.

La stessa sera, più tardi, in una gremita e festosa Placa Catalunya – una piazza già di governo e non di movimento – Puidgemont appare ai maxischermi insieme all’intero Govern e si esibisce nella prima delle misuratissime e decisive dichiarazioni del mese: nomina soltanto la Repubblica Catalana, verso cui si sta inesorabilmente andando, dice, a fronte dei risultati del referendum. La folla nella piazza centrale è in tripudio, mentre sui maxischermi segue la TV catalana e non si accenna alle piazze solidali, nessuna immagine delle maree, ma solo politici e giornalisti che si schierano. Ecco l’incedere della campagna elettorale.

Nonostante la repressione spagnola i catalani hanno scelto – dice il President – è il momento che la Spagna smetta di mettersi in mezzo scandalizzando l’opinione pubblica europea e globale. I catalani sono gente tranquilla e operosa, che vuole una Repubblica indipendente.

Personalmente, non ho e non avevo un’idea chiara, una posizione sul tema “indipendenza”, per quanto provi a studiare da anni questo contesto politico. Ma in quel momento in Placa Catalunya, mi è crollata di colpo l’illusione rispetto ad una delle più strane e forti giornate di mobilitazione che ho vissuto.

Con molti altri italiani (la prima comunità di stranieri a Barcellona) mi trovavo per le strade ad appoggiare, difendere, un referendum illegale ma legittimo, per l’indipendenza di una regione che non è la mia da uno Stato di cui non ho la cittadinanza.

Eppure la presa di posizione diretta in quel contesto sembrava così normale e chiara. Non solo a noi, ma alla marea umana che avevamo intorno. O, per lo meno, di questo mi ero convinto in quel momento immergendomi in quell’ambiente di resistenza.
Il “bajon” (il calo dell’entusiasmo, la delusione) della sera dell’1 ottobre di fronte al discorso di Puidgemont è stato, per me, il primo dei moltissimi sbalzi emotivi dovuti allo sviluppo della vicenda catalana. Un risveglio brusco, da un sogno gravido di possibilità, che per quanto deboli o ambigue possano giustamente apparire, ho continuato “a voler credere”.

Terminando questa noiosa introspezione, devo segnalarne la ragione: da un lato mi sono trovato molto in difficoltà ad esprimermi finora sul tema a causa della paradossale sicurezza con cui questo è stato trattato da lontano da molti “militanti”. Dall’altro però, il fastidio provato la sera dell’1-O è legato alla oggettiva riduzione politica, in una rappresentazione chiara ed univoca che Puidgemont ha operato in quel frangente sulle tantissime persone scese in strada per affermare un’istanza democratica coi propri corpi.
I catalani come popolo lavoratore, civile, moderno, ed in questo cupo senso europeo – più pienamente degli spagnoli stessi! – mi pare la narrazione di Puidgemont e del suo partito, finora “egemonica”.

L’identità anti-fascista vi si affianca di certo, ma in buona parte travalica il campo indipendentista in Catalunya. L’immagine è stata comunque giocata e contesa dalle sinistre catalaniste in questa fase. Non solo la CUP, con il suo movimentismo vecinale di indubbio interesse, ma soprattutto la storica Esquerra Republicana Catalana (ERC) che, attraverso un radicalismo parlamentare di maniera e pronta alla sinistra retorica del traditore e della rottura, si trova a beneficiare elettoralmente della congiuntura.

In tempi in cui l’esposizione delle “forze di occupazione” inviate dal Governo centrale arriva ad abituare Barcellona al costante brusio degli elicotteri e a scandalizzare l’opinione pubblica globale con i pestaggi al voto e l’arresto di un intera amministrazione eletta, un partito come ERC, che ha partecipato direttamente alle misure liberiste di questi anni, può candidarsi a vincere le prossime elezioni sfoggiando la sua storica identità antifascista e di sinistra, all’occorrenza sempre rispolverata.

Proprio tutto, appare rappresentato. Persino la paura, che ha avuto il suo posto d’onore nelle sostanziose “piazze del dialogo”. Piazze senza bandiere nazionali, si diceva, e per questo di possibile interesse. Tuttavia, la bandiera bianca che esse issavano conserva un significato chiaro, ben più delle stesse bandiere nazionali.

A entrare in queste “terze” piazze si respirava la paura, l’agitazione per quell’ingiustificato clima di piccola guerra fomentato dai due governi. Per quanto potesse essere diffuso questo sentimento, non è sulla paura diffusa che si costruiscono ipotesi politiche alternative, e forti. I conservatori si nutrono di paura, mentre nessuno ha davvero messo loro paura.

Questo lo sa il fascista Rajoy, che ha utilizzato al meglio questa situazione per blindare il suo consenso e ridicolizzare ciò che restava del “cambio politico spagnolo”, come lo dovrebbe sapere Pablo Iglesias. Le basi della sua organizzazione hanno, più o meno direttamente, messo su la campagna “Parlem/Hablemos”, costruendo queste piazze bianche, già sconfitte, e dando così corpo alla risicata e impotente opzione – troppo ragionevole e debole al tempo stesso – proposta da Podemos.

In questi mesi vi sono state dunque a Barcellona almeno una decina di giornate di enorme mobilitazione, di vario colore. Ma ad ognuna di queste piazze ha corrisposto, di fatto e tristemente, un attore, un terminale politico univoco in grado di nutrirsi direttamente delle forze dal basso per le proprie tattiche mediatico/politiche.

La situazione di iper-rappresentazione politica di enormi affollamenti sociali è ovviamente insolita in un’Europa vecchia, stanca e che appare ferma. Ma è ancor più sorprendente in un paese dove, se molte piazze si sono riempite in questi 6 anni, tutto cominciò con lo slogan “non ci rappresentano” che si concretizzava in un movimento moltitudinario e affermava un’altra idea di democrazia, conquistando le piazze e le reti di tutto il territorio spagnolo.

È passato più di un mese dalla stessa dichiarazione unilaterale di indipendenza (DUI), tanto agognata fino ad allora, ed arrivata all’ultimo a causa di un mancato accordo tra il Governo centrale e quello catalano.

Dicevo che ho creduto, e vorrei credere ancora, a questo movimento che, come altri hanno giustamente sottolineato, non è semplicemente nazionalista. Dovrei dunque credere a questa DUI? Dovremmo credere di vivere in questa Repubblica immaginata? La Repubblica dovremmo cercarla dentro noi stessi?

Anche a novembre, nuovi enormi cortei sono scesi in strada per chiedere la libertà dei prigionieri politici, mentre nello sciopero dell’8N abbiamo potuto assistere finalmente ad una forte eccedenza autonoma (rispetto ai politicismi catalani) che i CDR hanno portato in piazza con l’occupazione della stazione di Sants, in tilt per diverse ore.

Ancora in queste occasioni vi era, sempre più debole, l’affermazione della Repubblica.

In più, nel frattempo, gli sfacciati ripensamenti dei politici del fronte indipendentista facevano sprofondare il tutto nel ridicolo, meritando discussioni animate da un mix di rabbia, sconforto ed ironia.

È interessante l’analisi di Fabio Mengali dell’indipendentismo come fenomeno populista non vincolato ad un leader quanto all’idea di Repubblica. A mio avviso, però, da questa prospettiva il significante “Repubblica” risulta ancor più vuoto di quanto non lo sia un leader in carne ed ossa.

La Repubblica era la cosa importante da affermare per l’aspettativa indipendentista, ed è ormai stata dichiarata! Non importa che cosa sia, perchè chiunque dovrebbe ormai ammettere che non è niente, di fatto. Perchè dunque specificare di che cosa si tratti?

In questo modo, come significante vuoto assoluto, la Repubblica è divenuta per ognuno ciò che più lo aggrada. La Repubblica catalana diventa uno “Stato mentale democratico”. Per questa ragione deve aver appassionato, tra gli altri, alcuni tra i compagni più annoiati ben oltre i confini catalani. Per qualcuno è la rottura dell’Unione Europea, per altri chissà.

La Repubblica dei miei sogni, ad esempio, avrebbe parlato il linguaggio del confederalismo più che quello dello Stato. Forse per mia mancanza di immaginazione (o di altre cause certo più interessanti da approfondire), non ho ritrovato questa Repubblica nelle parole di nessun attore politico catalano.

Per quanto voglia credere in questo movimento di massa visto da una delle metropoli europee più attive e ricche di autonomia sociale, e per quanto la parola Repubblica non mi lasci indifferente, preferisco il buffo mondo immaginato nel romanzo, già noto, Impero del Sogno di Vanni Santoni.

Intanto la solita, dura e incessante, campagna elettorale ci risveglia e ci riporta alla “realtà”… ed è tutto dire.