Intervista con Zied, il fotografo di Amina Tyler

La storia della “femen” tunisina raccontata da chi ha collaborato all’azione dimostrativa.

*Carlotta Macera e Vanessa Bilancetti da Tunisi

Incontriamo Zied in un bar di Tunisi centro, ci racconta la sua storia tra amici che lo abbracciano e telefonate di giornalisti che lo vogliono intervistare. Il bar è pieno, il ragazzo è spaventato, teme per la sua incolumità e quella di Amina. Zied l’ha conosciuta un anno fa, mentre stava facendo il giro della Tunisia a piedi, e la ragazza gli chiese di collaborare con lui. Quando Zied è tornato a Tunisi Amina gli ha spiegato di voler riprendere le azioni delle Femen. In verità lei già aveva postato una sua prima foto su Facebook, ma la cosa non aveva avuto alcuna risonanza. Dopo due mesi di discussione hanno deciso di organizzare l’azione insieme. La ragazza si e’ fatta fotografare nuda con scritto su di sè un messaggio : “Il mio corpo mi appartiene, non e’ l’onore di nessuno”. Hanno fatto tutte le foto nel giro di un week-end, prima che Amina dovesse tornare a scuola, un collegio dove studiava e viveva a tempo pieno.

La foto inizialmente è stata pubblicata sulla pagina Facebook di Zied e non di Amina, anche perché – ci dice Zied – era un’azione di cui entrambi volevano assumere la responsabilità.

Da qui in poi il resto è storia. Le foto della ragazza hanno fatto il giro del mondo, giornali e televisioni la cercano per intervistarla, si raccontano storie, che la ragazza sia in un ospedale psichiatrico o che sia stata rapita da un gruppo di religiosi fondamentalisti. Per questo, essendo riuscite ad intervistare il fotografo, ci è sembrato giusto raccontare la versione di chi questa storia l’ha vissuta e la vive in prima persona.

Dopo qualche giorno dall’azione, i ragazzi si sono rivisti, erano già iniziate le prime minacce di morte. Amina cominciava ad avere paura per sé e per la propria famiglia. È riuscita a nascondersi per due settimane, finché, mentre prendeva un caffè al centro, è stata arrestata dalla polizia, a seguito della denuncia della famiglia per scomparsa.

Da quel giorno Zied non ha più notizie certe su di lei, ma è sicuro che la ragazza si trovi in casa rinchiusa dai suoi genitori. Secondo Zied, la famiglia di Amina considera il suo gesto frutto di una malattia mentale, come molti in Tunisia, per questo la tengono in casa costringendola ad assumere tranquillanti o altri psicofarmaci. Zied pensa che la famiglia e l’avvocato che la assiste vogliano convincerla a ritrattare, a chiedere scusa per le foto, facendole dire che è stata manipolata e raggirata.

Dopo le prime settimane in cui è apparsa in televisione e ha rilasciato delle interviste, ora Amina non può più parlare al telefono e non può usare internet se non sotto il controllo della sua famiglia. Quello di cui si dispiace Zied è che lei possa pensare che sia stato lui a tradirla e teme per la sua situazione mentale e fisica.

Queste notizie sono confermate da un articolo di Martine Gozlan, giornalista del Magazine Marianne, l’ultima che è riuscita a intervistare la ragazza.

Chiediamo allora a Zied che cosa volevano dire con quelle foto, che messaggio volevano trasmettere. Lui ci guarda dritto negli occhi e ci risponde che la Tunisia non ha avuto una vera rivoluzione: “Una rivoluzione è quando un paese può ricominciare da zero, cambiare anche la propria bandiera, ma qui invece non è cambiato niente. Non è cambiato nulla dal lato economico, anzi abbiamo ancora più disoccupazione. Non è cambiato nulla a livello politico, anzi la situazione è peggiorata, ora ci troviamo un governo che non ha alcuna progetto per il nostro Paese. Ci dicono che oggi c’è la libertà di espressione: ma la realtà è che non ci sono i mezzi per utilizzarla questa libertà”.

Zied, oltre le foto di Amina, ha anche realizzato il video clip del rapper Klay BBJ, appena condannato a due anni di carcere per vilipendio contro il governo. Nella canzone incriminata sono presenti accuse dirette al partito Ennahda e al Primo Ministro, per questo è stata ritenuta così offensiva. Una condanna degna di un qualsiasi stato autoritario.

Zied è convinto che per cambiare qualcosa bisogna dare dei messaggi chiari e semplici, non legati ad alcun partito politico. Bisogna scioccare per convincere. “Non mi scuso per quello che ho fatto, il messaggio che abbiamo lanciato io e Amina è vero. Lo rifarei. Ho anche delle foto peggiori di quelle che sono uscite. Nessuna minaccia ci fermerà”.

Il caso è complesso. Il sito delle Femen è stato piratato e anche qui sono comparsi messaggi e minacce di morte. Le Femen dicono di voler sostenere Amina, anche se non riescono più a contattarla. É stata organizzata un’azione per il 4 aprile ed è stata firmata una petizione da più di 94.000 persone contro le minacce di morte per la ragazza. Solo pochi giorni fa Nawaat, piattaforma di blogger tunisini, ha affrontato per la prima volta il caso di Amina.

Ciò che però ci spiega Zied, è che le azioni di solidarietà internazionali non servono a molto. L’unica soluzione sarebbe fare un’azione legale contro la famiglia della ragazza e trovare una rete di sostegno in Tunisia. Purtroppo, causa le prossime elezioni, che si terranno probabilmente per la fine dell’anno, nessun partito o grande associazione vuole appoggiare Amina.

“Siamo una carta bruciata. Nessuno ha capito che questa non è un’azione diretta contro l’Islam o la religione ma contro la tradizione culturale di una società retrograda. La Tunisia non è pronta ad affrontare determinati discorsi, è difficile accettare la libertà individuale della donna o comprendere cosa significa realmente la libertà di espressione”.

Zied è un ragazzo di 20 anni, sta pensando di andarsene e continuare a sostenere la causa di Amina dall’estero. Amina, invece, di anni ne ha 19, e per ora è rinchiusa in casa dalla famiglia. Si possono accusare i ragazzi di aver agito con troppa leggerezza, senza tener conto delle differenze e delle complessità della società in cui vivono. Di certo, questo è un grido di coraggio, che però è rimasto profondamente isolato nella società tunisina. Tutti gli attivisti o politici di sinistra interrogati sul caso di Amina si affrettano a dire che la Tunisia non è matura per gesti di questo tipo, che la loro azione è solo una brutta copia di cose già fatte nelle società occidentali, ma che qui non funzionano. Di sicuro Amina e Zied hanno toccato un nervo scoperto della società tunisina: i diritti delle donne, la libertà di espressione e la sua relazione con la religione e la tradizione. Purtroppo la loro azione invece di stimolare un dibattito sui nuovi diritti da costruire per questa società in transizione, ha creato solo più paura e chiusura.

Alcuni degli scatti incesurati messi in rete da Amina: