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In scena il mondo GLBTQIA+ al 36° Lovers Film Festival di Torino

È andata in scena a Torino tra il 17 e il 20 giugno la 36esima edizione del Lovers Film Festival, il più antico festival sui temi GLBTQIA+ d’Europa: un’occasione di dibattito ed esplorazione di tutto ciò che si muova nell’universo cinematografico GLBTQIA+ e non solo

Si è svolto dal 17 al 20 giugno il 36° Lovers Film Festival di Torino. Nato nel 1986 da un’idea di Ottavio Mai e Giovanni Minerba, il Lovers (che forse qualcuno ricorderà con il nome pre-2017 di Torino GLBT Film Festival – Da Sodoma a Hollywood) è stato il primo festival a tematica in Europa. Negli ultimi anni – già con la precedente direzione di Irene Dionisio e ora con quella di Vladimir Luxuria – ha saputo reinventarsi completamente: superando i confini del classico festival cinematografico, il Lovers è oggi uno spazio di dibattito sul ed esplorazione del mondo GLBTQIA+ di importanza nazionale e non solo, come testimoniano le numerose collaborazioni con altri festival – primo fra tutti il MIX di Milano, poi il Polychromes di Nizza e Torino Spiritualità. Molti gli incontri con ospiti di assoluto rilievo, tra cui Alessandro Zan e Anna Rossomando, Josephine Yole Signorelli (in arte Fumettibrutti, autrice della bellissima locandina), Federica Sciarelli, Dori Ghezzi e non ultima la madrina del festival, una incontenibile Sandra Milo che ha regalato momenti unici durante la serata d’apertura: tutte testimonianze preziose che rendono il Festival un evento culturale a tutto tondo.

La selezione di quest’anno, divisa in tre sezioni principali – All the lovers (lungometraggi), Real lovers (documentari) e Future lovers (cortometraggi) – è di livello decisamente elevato (nonostante le problematiche legate al COVID), con ben 32 anteprime nazionali in programma.

A risultare vincitore del concorso lungometraggi, aggiudicandosi così il premio Ottavio Mai, è Swan Song di Todd Stephens, una sorta di road-trip movie in cui l’anziano parrucchiere Pat Pitsenbarger (interpretato da Udo Kier) si trova a scappare dalla casa di riposo in cui è ricoverato da tempo per ripercorrere a piedi le strade della città con lo scopo di acconciare per l’ultima volta i capelli di una vecchia cliente deceduta (Linda Evans). Kier, da anni lontano da ruoli cinematografici di vero rilievo, sorprende per la capacità di reggere praticamente tutto il film sulle sue spalle senza che lo sguardo della telecamera lo abbandoni per nemmeno un istante, in una prova attoriale tanto poliedrica quanto disinvolta. Attraversando i luoghi del suo passato – nodi di storia al tempo stesso personale e collettiva, della comunità queer di Pat se non completamente scomparsa, radicalmente cambiata – la dimensione del ricordo funge da elemento diegetico per la risoluzione dei vari incontri di Pat lungo il suo cammino. Un invito alla memoria a tratti decisamente commovente, ma mascherato sotto uno spesso strato di commedia che, grazie anche all’alternarsi sullo schermo di vecchie glorie camp (oltre a Linda Evans, Jennifer Coolidge), diventa quasi un discorso meta-cinematografico nel suo ricercare quello che il cinema e la comunità queer sono stati per portarli a confronto con cosa sono diventati oggi.

Menzione speciale per Dramarama di Jonathan Wysecki, un ritratto coinvolgente di un gruppo di cinque amici nella California del 1994 in procinto di dividersi per proseguire ciascuno nei propri percorsi di studi, con il desiderio di fare coming out da parte di Gene (senza sapere da che parte incominciare) a fare da motore narrativo a una tempesta di piccoli drammi tipicamente tardoadolescenziali che si abbattono a turno sui protagonisti durante la loro ultima festa d’addio. Costruito attorno a una struttura corale ben bilanciata, Dramarama si chiude in una celebrazione dell’amicizia e del disagio adolescenziale.

Il concorso documentari è vinto da Limiar di Coraci Ruiz, un racconto intergenerazionale in chiave matrilineare in cui la regista accompagna lǝ figliǝ alla scoperta di una concezione fluida e intrinsecamente rivoluzionaria dell’identità di genere, costruendo un parallelo con le battaglie e rivendicazioni sociali recenti (della regista stessa) e passate (di sua madre). Limiar riesce a costruire un senso ideologico di continuità tra le lotte per la liberazione sessuale e dai ruoli di genere a partire dagli anni ‘60-‘70 passando ai movimenti femministi degli anni 2000, idealmente preparatori alla rivoluzione queer contemporanea. Un tema che ritroviamo affrontato da una prospettiva molto diversa in Petit Fille di Sébastien Lifshitz, documentario fuori concorso che prosegue l’esplorazione del tema della transizione già caro al regista tramite la storia di Sasha, bambinǝ transgender, e della sua famiglia. Usando il forte contrasto tra i pregiudizi della società ed il ritratto intimo della vita Sasha, Lifshitz riesce a prendere le distanze dal classico cinema del reale regalando un’opera allegorica e poetica di enorme potenza.

La selezione dei cortometraggi non ha niente da invidiare alle altre sezioni in termini di qualità: vincitore è Snake di Andrey Volkashi, in cui si contrappone l’innocenza dell’infanzia all’ottusità della società tradizionalista nell’amicizia tra un bambino piuttosto agitato e un eccentrico ragazzo gay nella Macedonia rurale.

Ancora da segnalare sicuramente Jump, Darling, esordio al lungometraggio per Phil Connell. Pur raccontando una storia non particolarmente originale nella sua prevedibilità – una drag queen trentenne senza prospettive che trova temporaneamente rifugio a casa della nonna (canto del cigno per l’attrice di culto Loris Leachman, mancata a inizio anno) afflitta da galoppante demenza senile –, la tensione emotiva costruita su un rapporto intergenerazionale non privo di conflitto si risolve nella riscoperta e realizzazione personale da parte di entrambi i protagonisti. Merita di essere recuperato anche il greco O Anthropos me tis Apantiseis (The Man with the Answers) di Stelios Kammitsis, un road-trip movie che vede il giovane Victor abbandonare la Grecia dopo la morte della nonna per raggiungere la madre in Baviera. Ad accompagnarlo in questo lungo viaggio in macchina ci sarà Matthias, incontrato per caso sul traghetto per la Puglia. Il non immediato gioco di allegorie su cui si costruisce il film (tra scoperta del Sé, dramma familiare e Storia nazionale) lo rendono particolarmente memorabile.

In sostanza, non possiamo che continuare a tenere d’occhio questo vivissimo festival, nella speranza che la prossima edizione non sia segnata da entrate contingentate e dagli altri disagi causati dall’emergenza sanitaria.