EUROPA

Idomeni, piovono moniti (e lacrimogeni)

I moniti dell’Europa piovono come i lacrimogeni che domenica scorsa hanno solcato il cielo di Idomeni , alla frontiera tra la Grecia e la Fyrom, l’ex Repubblica Jugoslava di Macedonia candidata a entrare nell’Unione. Sono accompagnati da proiettili di gomma – 200 intossicati, 50 feriti tra cui tre minori – e da un’azione di sconfino della polizia della Fyrom che nessuno ha censurato.

Piovono sull’Austria oggi che, alla vigilia di una consultazione elettorale tra i cui protagonisti svetta il partito dell’ultradestra, Fpö, si accinge a erigere il suo «muro preventivo» alla frontiera con il Brennero con buona pace di Schengen, e sono piovuti ieri su Idomeni il cui nome, dopo settimane di colpevole rimozione, è tornato a scorrere nei titoli dei tg di prima serata.

Il villaggio di Idomeni, quattro case 60 chilometri a nord di Salonicco, è il luogo in prossimità del quale sorge il campo di confine. È il più grande, vi si contano oltre 11mila persone, ma solo uno dei tanti che si sono formati nell’area di servizio di un benzinaio, a ridosso di edifici abbandonati e occupati, e ai quali si stanno sommando quelli nel frattempo approntati dal governo greco per «sistemare» le migliaia di genti in fuga dai conflitti che, a partire dalla Siria, infiammano l’area mediorientale.

Siti cosiddetti «informali» i primi e «formali» i secondi: in questi ultimi, tutti i profughi presenti sono schedati e la loro entrata e uscita dal campo viene ogni volta registrata. Dall’esterno l’ingresso è consentito solo su permesso dei ministeri dell’Interno e della difesa greci.

Tende su tende su tende, piantate nell’asfalto, nel fango, sui binari, popolate da famiglie intere, moltissimi bambini, donne sole con figli i cui mariti sono riusciti a giungere alla meta (per la maggior parte è la Germania) prima che i 30 chilometri di filo spinato sorvegliati dai carri armati della Fyrom decretassero la fine.

A occuparsi dei bisogni di queste persone, nei campi arrivano le organizzazioni internazionali (Intersos è l’unica italiana presente nel nord della Grecia intersos.org/mobilitazionegrecia): portano cibo e assistenza medica ma le file sono infinite e le necessità troppe per essere evase. Manca l’assistenza legale, manca quella psicologica, mancano i mezzi e le risorse.

L’Unione Europea ha consegnato miliardi di euro alla Turchia di Erdogan da dove continuano a arrivare più profughi di quanti riesca a mandarne via il piano di rimpatri forzati concordato con il Consiglio europeo. Questo accade mentre, fuori dai palazzi di governo, il popolo greco, messo in ginocchio dalla Troika, offre la sua più straordinaria prova di solidarietà.

«Do they open the border?», è la domanda più insistente che rimbalza fra le tende: «No, they don’t».

Quando la risposta arriva e ha il suono della conferma, le labbra si stirano e lo sguardo si abbassa lievemente. Avanti non si può andare, meno che mai indietro. Però si può resistere. Anzi, si deve.

I campi a ridosso del filo spinato sono bombe a orologeria piazzate al centro dell’Europa. Luoghi in cui la tensione aumenta di giorno in giorno e gli scontri con la polizia di Fyrom diventano palestra di sfogo e insieme avvertimento bilaterale.

Un anno fa, giusto di questi tempi, i greci erano disposti a morire pur di opporre il loro «OXI» all’austerity imposta dall’Ue – quella su cui oggi anche l’FMI fa mea culpa – ma nessuno dei paesi membri, ha voluto cogliere quell’opportunità per ridiscutere i termini e gli equilibri di un’Unione che dietro l’inconsistenza ipocrita dei suoi moniti, sta pericolosissimamente andando alla deriva, smentita da muri pronti a essere eretti sulle sue stesse frontiere.

Idomeni è come il Brennero. Rappresentano tragicamente la nuova opportunità di opposizione alle nefaste politiche che da Bruxellles e Strasburgo, via Whashington, hanno portato alla morte della social democrazia europea e all’avvento di xenofobici partiti di estrema destra addestrati dalla storia a piazzare filo spinato e a negare diritti umani. In queste condizioni diventiamo tutti profughi potenziali di odi e guerre sempre più vicini e Idomeni come il Brennero diventano il «qui e ora» della resistenza.