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Hasta siempre Galeano, memoria de fuego

Alla fine di tutto, siamo ciò che facciamo, ma soprattutto siamo quel che facciamo per cambiare ciò che siamo. Ci ha lasciato ieri Eduardo Galeano. Un giornalista appassionato, un militante, uno straordinario e curioso narratore, un cercatore di storie, una voce acuta, critica, dolce, rabbiosa e poetica.

Capace di parlare al mondo e ai suoi popoli dell’America Latina da cui proveniva, che aveva attraversato in lungo e in largo, sfuggendo alle dittature militari, prima in Uruguay, poi in Argentina. Prima di diventare giornalista, per anni redattore di Marcha, una rivista indipendente di fondamentale importanza nella storia latinoamericana, a cui hanno collaborato, tra gli altri, Ángel Rama, Mario Benedetti, Alfredo Zitarrosa y Salvador Puig, e ancora prima di diventare scrittore, Galeano è stato operaio di fabbrica, pittore, commesso, tra le tante cose.

 

Ha ascoltato la voce degli indigeni, narrato il saccheggio di un continente, la memoria e le resistenze millenarie, ci ha raccontato la vita, denunciando le violenze di quella “tortura che non era un mezzo per estorcere informazioni, ma una cresima del potere. Nel corso di un lungo e solenne rituale, si tagliava la lingua agli indios ribelli, che poi venivano torturati perché parlassero.”

 

Ha camminato con gli indios e i guerriglieri, è stato capace di comprenderne le voci, raccontando e accompagnandosi agli umili della terra, le cui parole e i cui dolori, diceva Galeano “non possono essere negoziati né rappresentati”, ma con i quali può essere condiviso un percorso di liberazione ed emancipazione politica e sociale. Ci ha raccontato le violenze, le rivolte, gli amori, le lotte, le memorie, le passioni. Una vita alla ricerca della libertà, dai campi di calcio alla musica, dai sentieri della guerriglia ai quartieri periferici abitati dai subalterni nelle metropoli globali.

 

Da buon sudamericano, si è appassionato di calcio, ha tifato il Nacional sugli spalti degli stadi di Montevideo, pregando il miracolo laico di una giocata magica, mendicando un gol spettacolare negli stadi di tutto il mondo.

 

Galeano ci ha regalato le pagine più belle sul calcio, raccontando la passione e la poesia, denunciando le corruzione, il suo implacabile divenire industria multinazionale, raccontando i Mondiali di calcio ricercandone le radici fin dentro le villas di Montevideo o le favelas di Rio, denunciando quello che ha chiamato il triste viaggio dal piacere al dovere.

A mano a mano che lo sport si è fatto industria, è andato perdendo la bellezza che nasce dall’allegria di giocare per giocare. In questo mondo di fine secolo, il calcio professionistico condanna ciò che è inutile, ed è inutile ciò che non rende. E a nessuno porta guadagno quella follia che rende l’uomo bambino per un attimo, lo fa giocare come gioca il bambino con il palloncino o come gioca il gatto col gomitolo di lana“.

 

Ma ci ricorda quanto, nel calcio come nella politica, chi preannuncia la fine della storia, l’impossibilità di una trasformazione radicale, di un imprevisto, di una rottura, verrà ancora una volta smentito dalla storia stessa, quella fatta da uomini e donne in carne ed ossa, dai subalterni di un mondo ingiusto.

 

Perché per “ quanto i tecnocrati lo programmino perfino nei minimi dettagli, per quanto i potenti lo manipolino, il calcio continua a voler essere l’arte dell’imprevisto. Per fortuna appare ancora sui campi di gioco, sia pure molto di rado, qualche sfacciato con la faccia sporca che esce dallo spartito e commette lo sproposito di mettere a sedere tutta la squadra avversaria, l’arbitro e il pubblico delle tribune, per il puro piacere del corpo che si lancia nell’avventura proibita della libertà».

 

L’avventura proibita della libertà che Galeano ha contribuito a costruire con i suoi reportage giornalistici, con i suoi libri, i suoi racconti, le sue parole, nate dalle esperienze in comune con tanti altri, dai viaggi, dalla condivisione, da un ‘adesione alle lotte per l’emancipazione che nasce dalla ricerca della libertà.

 

Nascono così i suoi libri, “Le memorie del fuoco” per ricordare le tante storie, memorie, leggende delle Americhe che la Grande Storia vuole cancellare, e “Le vene aperte dell’America Latina” – ovvero la storia dell’America Latina è la storia del saccheggio delle sue risorse naturali e delle sue culture – opera che ha segnato un’epoca, che ha narrato l’espropriazione capitalistica e la violenza coloniale, opera che lo stesso Galeano ha definito poi superata ma che ha contribuito a disegnare le traiettorie di una critica radicale al modello di sviluppo capitalistico e al racconto di storie altre dell’America Latina.

Galeano e la sua passione travolgente nel sostenere, senza mai rinunciare alla libertà della critica, la Cuba socialista e la rivoluzione bolivariana in Venezuela, la Bolivia di Morales fino alle rivolte indigene, l’autonomia zapatista, le lotte contro le miniere, le piantagioni di soia transgenica e le devastazioni ambientali, attraversando, raccontando ed imparando senza sosta dalle lotte dei movimenti sociali globali contro il neoliberismo.

 

Ognuno, oggi lo ricorda per quel che ha conosciuto, letto, ascoltato raccontare. Per le emozioni che ad ognuno ricorda un incontro, un libro, un racconto, una voce critica, un giornalista poeta che ha accompagnato la vita e le speranze, le lotte e le notti insonni di tanti e tante.

 

Da quell’Europa che con dignità giorno dopo giorno lotta per cambiare il mondo, vogliamo ricordarlo sorridente nella piazza degli indignados a Barcellona. “Siamo tutti uguali nella lotta per cambiare questo mondo, mi piace discutere, tra uguali, tra compagni che oggi condividiamo un presente di lotta, fatto di quei tanti piccoli atti che assieme a tanti altri piccoli atti trasformano il mondo.”

 

 

E’ l’entusiasmo delle piazze che stavano risvegliando e trasformando la Spagna che lo attraversa perchè come dice lui “El código moral del fin del milenio no condena la injusticia, sino el fracaso“. E questi eventi segnano la rottura con quel paradigma culturale che condanna l’insuccesso (individuale, collettivo) e non l’ingiustizia.

“Queste esperienze dimostrano che vivere vale la pena e non chiedetemi previsioni da intellettuale, io non so cosa succederà, mi importa cosa sta succedendo adesso, il tempo che rendiamo infinito mentre dura” per trasformare questo mondo “infame, un mondo al contrario, una democrazia manipolata, in cui si arricchiscono sempre i soliti” ma non è l’unico mondo possibile, e quello che mi interessa è il pensiero che combina ragione e passione, corpi che si incontrano”, che si accendono, che sperimentano le energie pronte ad incendiare il mondo.

 

Come i fuochi del suo racconto che apre lo splendido Libro de los abrazos, anche il suo fuoco, quello delle sue parole, brilla ancora tra i tanti fuochi che continueranno, con lui al fianco, a lottare per trasformare il mondo.

 

«Il mondo è fatto così», rivelò. «Un mucchio di gente, un mare di fuocherelli.» Ogni persona brilla di luce propria in mezzo a tutte le altre. Non esistono due fuochi uguali. Ci sono fuochi grandi e fuochi piccoli e fuochi di tutti i colori. C’è gente di fuoco sereno, che non si cura del vento, e gente di fuoco pazzo, che riempie l’aria di faville. Certi fuochi, fuochi sciocchi, non fanno lume né bruciano. Ma altri ardono la vita con tanta passione che non si può guardarli senza strizzare gli occhi; e chi si avvicina va in fiamme.