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Il golpe “legale” in Brasile: “O processo”

Il documentario di Maria Augusta Ramos ricostruisce le vicende della destituzione “legale” di Dilma Rousseff e del drammatico scontro di potere tuttora in atto in Brasile davanti a un’offensiva neoliberale dai tratti quasi feudali

Per colpo di stato s’intende una modificazione eccezionale dell’ordinamento vigente da parte di una minoranza esterna al governo legittimo in carica oppure a opera di un certo organo costituzionale o partito anche interno al governo. Alla chiarezza della definizione di colpo di stato, coup d’état, golpe, non sempre corrisponde un’immediata comprensibilità della situazione politica in atto. Così è stato per il caso del Brasile del 2016, quando attraverso i mezzi formalmente legali dell’impeachment è stata destituita la presidentessa Dilma Rousseff e non subito è stata riconosciuta, almeno in Europa, la natura particolare di quel golpe – interno e non esterno alla costituzione e allo stesso governo e che non si è avvalso di mezzi militari –, secondo un metodo ormai invalso in molti paesi del Sud America (Honduras, Paraguay, Guatemala, Argentina). Questo sostiene Maria Augusta Ramos nel suo ultimo documentario presentato nella sezione Panorama della Berlinale mentre riporta le dichiarazioni a caldo di una deputata francese («il nostro paese non riconosce il colpo di stato in Brasile»).

La regista, che ha già firmato due film di gran successo a carattere processuale, Justiça nel 2004 e Juízo nel 2007, sceglie di guardare la vicenda solo nell’interno claustrofobico del Congresso Nacional a Brazilia, seguendo dal 19 aprile al 31 agosto la vicenda giuridica, la costruzione della difesa e il dibattimento in Senato. Il risultato è un film sicuramente partigiano e per certi versi ultraelogiativo della presidentessa donna del Brasile, ma dal valore documentario indiscutibile, come ha dimostrato l’accoglienza molto calorosa in sala, sia durante la prima che la seconda visione.

Dilma Rousseff è stata accusata sostanzialmente di due reati: di aver falsificato i bilanci, quando ha emesso sei decreti di gestione dei fondi per i programmi sociali, apparentemente senza l’autorizzazione del Congresso e di aver utilizzato in modo “creativo” i prestiti provenienti da banche governative. Nel ricostruire l’intera difesa, Maria Augusta Ramos riesce a mostrare la natura dei protagonisti in gioco: la presidentessa con il suo passato militante (fu incarcerata per tre anni e torturata durante la dittatura militare degli anni Sessanta-Settanta), il suo avvocato Cardozo e gli altri senatori del PT (Partido dos Trabalhadores) che difendono con intelligenza la causa, la giurista vicina al PMDB (Partido do movimento democrático brasileiro), retorica e cattolica, e la figura di Cunha, tra i principali promotori dell’impeachment, arrestato poco dopo nell’ottobre del 2016 nell’operazione Java Lato (autolavaggio), che ha coinvolto anche il presidente precedente Lula da Silva e, a partire dall’autunno del 2017, la stessa Rousseff. Appena accennato, invece, il flusso di tangenti legate all’azienda nazionale del petrolio Petrobras, il pretesto in sede  parlamentare, così come appena riprese sono le manifestazioni pro e contro la presidente Rousseff che hanno agitato in quei giorni in Brasile fino ad arrivare alle contestazioni più massicce durante le Olimpiadi di quella stessa estate.

In questo senso O processo, nel ricostruire le figure e la vicenda, si presenta come un vero e proprio film che tanto è importante per la documentazione che offre (450 ore di riprese effettive, montate in poco più di due ore), quanto rischia di restare incastrato nel genere d’appartenenza,  il legal thriller. Operazione di certo interessante, perché se la gestione delle accuse di corruzione in Brasile è avvenuta più o meno come Mani Pulite  in Italia, ovvero telecamere alla mano dentro i tribunali,  il film di Ramos prova con quegli stessi mezzi a offrire un’altra verità. Tuttavia questa verità rimane impigliata nella logica a volte asfittica dell’argomentazione giuridica e della politica parlamentare.

Viene così ricostruita la genesi della devastante e illegittima presidenza di Temer (tuttora in carica), che ha distrutto lo statuto dei lavoratori e dato il via libera a una liberalizzazione selvaggia, trivellazioni in Amazzonia comprese, ma con difficoltà si intravede la complicata genealogia della crisi dell’esperienza carismatica e riformatrice del lulismo, che investe anche la problematica storia del PT e dei movimenti degli ultimi vent’anni in Brasile. Sono gli stessi componenti del PT nel film a individuare le cause della loro della loro sconfitta: da una parte nella gestione da parte dell’”oligarchia mediatica” e dall’altra nello scollamento progressivo del partito dalla sua base sociale e di movimento, specialmente nel 2013, quando le manifestazioni furono represse invece che appoggiate. Le immagini impressionanti delle proteste (ambigue) tra l’aprile e l’agosto del 2016, inquadrate di sfuggita negli esterni del Palazzo del Congresso, alludono alla possibilità che altre forze si esprimano nelle strade, al di là della contestazione mediatica e giudiziaria. Tocca a quelle forze offrire materia ad altri documentari e ad altri racconti, producendo resistenza e ristrutturando l’opposizione. In tutta l’America Latina, infatti, la lotta rimane aperta.