editoriale

Al Golden Globe va in scena il femminismo (neo)liberal?

Quest’anno le premiazioni dei Golden Globe sono state diverse, e forse vale la pena capire perché. Dal discorso di Oprah a Time’s Up, cosa succede ad Hollywood, e oltre

Alle premiazioni dei Golden Globe, quest’anno, tutte le celebrities si sono vestite di nero in segno di lutto per tutto ciò che è successo ad Hollywood, dal caso Weinstein in poi. Meravigliosi vestiti neri, Swarovski, paillettes e lustrini. E si sa, nulla risalta come i diamanti sul nero.

Le attrici di Hollywood giocano con i simboli, e forse, per questo vale la pena comprendere cosa stiano facendo. Del resto Hollywood e dintorni non sono luoghi che frequentiamo molto spesso.

Cominciamo dall’inizio. Premessa: Ni Una Menos invade le strade argentine e di tutto il Sud America. Le donne polacche si vestono di nero e lottano per il diritto all’aborto. Vince Trump. Le donne americane scendono in strada e danno vita ad una delle più grande manifestazione della storia americana: è la #WomensMarch. Molte attrici di Hollywood partecipano attivamente e parlano nel comizio finale. Ed è subito 8 marzo: sciopero globale delle donne. La forza del movimento delle donne cresce, la senti addosso, è potente.

A ottobre, alcune attrici – tra cui Asia Argento – denunciano il produttore Weinstein per violenze e molestie. Queste denunce hanno creato una reazione a catena, che forse non avevamo mai visto prima. Le prime denunce danno forza ad altre attrici, e altre attrici ancora. Giornali e opinionisti di destra, e non solo, si scagliano contro queste donne accusandole di aver “beneficiato” delle molestie di Weinstein, e del suo sistema di potere. Queste accuse rafforzano la reazione a catena, nasce così #MeToo, un hashtag tramite il quale le donne hanno iniziato a raccontare le molestie che vivono tutti i giorni. Milioni di tweet hanno raccontato come le violenze e le molestie sono un’esperienza quotidiana per tutte le donne del mondo, molto oltre la ricca industria dello show biz.

Negli Stati Uniti, e non solo, il #MeToo ha aperto uno spazio dove esperienze individuali di molestie e sopraffazione si sono potute incrociare con uno slancio verso l’organizzazione collettiva.

Così, ad esempio, il sindacato Alianza Nacional de Campesinas, composto principalmente da donne migranti che lavorano nei campi degli USA, ha scritto alle attrici: «condividiamo un’esperienza comune di essere preda di individui che hanno il potere di assumere, licenziare, o metterci nella lista nera e così minacciare la nostra sicurezza economica, fisica ed emotiva». Lo stesso ha provato a fare in Italia il movimento Non Una Di Meno, scendendo in piazza il 26 novembre – giornata mondiale contro la violenza sulle donne – con lo slogan #WeTOOgether.

Le donne che hanno denunciato diventano le persone dell’anno per il Time, settimanale americano. E arriviamo ai Golden Globe. Pochi giorni prima della cerimonia 300 attrici di Hollywood lanciano l’iniziativa Time’s Up, un fondo per la difesa legale delle donne che denunciano violenze e molestie. Nella lettera di lancio di Time’s Up (il tempo è finito), le attrici si richiamano direttamente all’Alianza de Campesinas, e riconoscono la propria posizione di privilegio, che le permette di essere ascoltate, e per questo, dichiarano, di metterla, a servizio di tutte coloro che non hanno questa posizione di privilegio.

A partire da Time’s Up, parte l’idea di vestirsi tutte di nero per la serata dei Golden Globe, e venire accompagnate con delle madrine, attiviste e fondatrice di associazioni e sindacati in difesa delle donne. Corollario della serata è il discorso di Oprah Winfrey. «Quindi voglio che tutte le ragazze che stanno guardando qui e ora sappiano che un nuovo giorno è all’orizzonte! E quando quel nuovo giorno finalmente arriverà, sarà grazie ad un sacco di donne magnifiche, molte delle quali sono proprio qui in questa stanza stanotte, e alcuni uomini piuttosto fenomenali, che lottano duramente per assicurarsi di essere i leader che ci porteranno al momento in cui nessuno dovrà più dire #MeToo». Applausi, applausi, applausi. Perline, lustrini, champagne!

Ci sono, quindi, diverse cose che non mi quadrano di questa serata. Le madrine-attiviste che accompagnano le attrici, tutte vestite meravigliosamente di nero. La lettera di Time’s Up tutta incentrata sull’aiuto, anziché sull’organizzazione, e poi la figura di Oprah, esaltata come simbolo del femminismo intersezionale. Ecco, Oprah, che ha ricevuto il Golden Globe alla carriera, è sicuramente una delle figure più controverse di tutta questa storia. La sua carriera si è basata su talk-show e libri volti a promuovere il self-help, cioè un approccio positivo alla vita. Una guru della soluzione individuale per problemi collettivi. Al contrario, il femminismo intersezionale è un disvelatore di problemi strutturali da approcciare collettivamente, e non da derubricare come “i 10 consigli per migliorare la tua vita”.

La cerimonia dei Golden Globe in nero, e l’appello di Time’s Up che parte dalla presa di coscienza del privilegio delle donne bianche e cisgender, è stato celebrato come un grande momento delle e per le donne. I Golden Globe vengono visti da milioni di persone, così come Time’s Up ha raccolto fondi per milioni di dollari. In un certo qual modo, le celebreties non potevano non farlo. Ma i Golden Globe tinti di neri e Time’s Up hanno una grande capacità: quella di de-potenziare le prese di parole di migliaia di donne, e il movimento femminista globale, rendendo tutto una magica notte di cerimonia. Nonostante ciò i simboli sono importanti.

Ma la sfida è quella lanciata dal movimento Non Una Di Meno: come arriviamo dal #MeToo, urlo e riconoscimento delle molestie vissute nella nostra vita individuale e quotidiana, al #WeTOOgether, spazio possibile dell’organizzazione collettiva?

Cioè come il #MeToo diventa critica complessiva al sistema di potere e approccia le questioni economiche e sociali che generano asimmetrie, sfruttamento, e violenza, e quindi #WeTOOgether?

Che ci si vesta di nero, fuxia, o paillettes, ma verso l’8 marzo, per il secondo sciopero globale delle donne. E che sia champagne, ma champagne per tutte!

 

PS: tutto questo ci racconta quanto il femminismo liberale americano sia all’ascolto pronto a catturare le spinte dal basso. Mentre nella vecchia Europa, Cathrine Deneuve ci spiega l’importanza del corteggiamento non voluto.

Su entrambe le coste dell’Atlantico, e oltre, si è alzato, però, un grido più forte. Sta a noi dargli corpo.