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EUROPA

Germania, la rabbia dell’est

Nonostante la tenuta dei partiti al governo, l’ultima tornata elettorale nelle regioni della Germania dell’Est conferma la crescita e il consolidamento della destra nazionalista e identitaria di Alternative für Deutschland. Per comprenderne le ragioni, bisogna ritornare all’eredità della ex-DDR e agli esiti di una riunificazione incompleta

Nelle elezioni di domenica in Sassonia e Brandeburgo i partiti di governo ce l’hanno fatta, nonostante perdite consistenti di voti rispetto al passato. In Sassonia i cristiano-democratici della CDU sono rimasti il primo partito (32,1%), con la destra identitaria e nazionalista di AfD-Alternative für Deutschland subito dietro (27,5%). In Brandeburgo i socialdemocratici di SPD si sono confermati prima forza (26,2%), seguiti anche qui da AfD (23,5%). Un mese fa si era ipotizzato che la destra populista potesse diventare il partito più forte nei due stati della Germania est. Ma nelle ultime settimane i rispettivi presidenti in carica in Sassonia e Brandeburgo, Michael Kretschmer (CDU) e Dietmar Woidke (SPD), sono riusciti a recuperare punti percentuali decisivi.

L’esito delle elezioni rafforza ugualmente il quadro di una AfD capace di consolidarsi sempre di più nei 5 Länder della ex DDR come partito quasi regionalista, che punta a sfruttare le rivendicazioni territoriali e identitarie della parte più arrabbiata dell’est tedesco. Ritornano così al centro del dibattito temi sempre più scottanti come le spinose specificità della Germania orientale e la questione della Riunificazione incompleta. Il tutto a soli due mesi dal trentennale della caduta del Muro, il prossimo 9 novembre.

 

Helmut! Helmut!

Proprio a Dresda, capitale della Sassonia, il 19 dicembre 1989 l’allora Cancelliere Helmut Kohl promise una nazione completamente e concretamente riunita. Quella sera la folla lo omaggiò intonando “Helmut! Helmut!” e sventolando con entusiasmo le bandiere tedesche senza più compasso e martello. La promessa di Kohl è oggi tornata al centro del dibattito politico. Se una parte dei tedeschi dell’est si è quasi dimenticata della vecchia Germania divisa in due, un’altra parte è invece sempre più rabbiosamente convinta che la scissione di un tempo sia più viva che mai.

Per capire da dove arrivi la rabbia degli “Ossis” (come vengono chiamati, talvolta anche spregiativamente, i tedeschi orientali) bisogna partire dall’economia sociale del passato e del presente, passare dalle specificità della cultura tedesca della DDR e arrivare fino all’attuale presa della destra identitaria nell’Europa centro-orientale.

 

 

Smantellamento 

Nonostante centinaia di miliardi di investimenti, l’economia degli stati dell’ex DDR rimane ancora oggi indietro rispetto a quella dell’ovest. I grandi centri orientali come Lipsia e Potsdam stanno crescendo velocemente, ma le aree più provinciali vivono una sostanziale depressione economica e sociale. Si tratta di un problema strutturale, frutto anche dello smantellamento quasi completo delle obsolete industrie della vecchia Germania socialista, avvenuto nei primi anni ‘90. Smantellamento a cui sarebbe dovuta seguire una riqualificazione ragionata. Riqualificazione che, invece, è stata messa in atto solo parzialmente, malgrado l’arrivo a est di piccoli eserciti di impiegati del governo federale e vere e proprie missioni di investitori occidentali. Ancora oggi, quegli stessi investitori, funzionari e manager vengono talvolta indicati come emblematici dell’arroganza di un ovest che dopo la Riunificazione sarebbe stato solo interessato alla trasformazione accelerata di un’economia socialista in un tassello periferico del mercantilismo capitalista tedesco. Trasformazione epocale che si sviluppò quindi a macchia di leopardo, creando profonde disomogeneità sul territorio, valorizzando selettivamente quanto fosse necessario alla razionalità produttiva dell’ovest e tamponando i vari danni collaterali con massicce iniezioni di welfare-sedativo nel tessuto sociale. Un processo che secondo i più critici avrebbe addirittura assunto modalità coloniali.

Sul piano pratico, oggi, i segni dell’incompleta riqualificazione restano evidenti: nella Germania orientale permangono notevoli ritardi e disfunzioni infrastrutturali nei trasporti, nella sanità, nell’istruzione e nella digitalizzazione. Mentre non c’è una sola delle aziende del segmento DAX30 (i 30 titoli a maggiore capitalizzazione della Borsa di Francoforte) che abbia sede al di là della vecchia cortina di ferro.

 

Emigrazione e Crisi della Mascolinità

La disoccupazione ufficiale nella Ostdeutschland non è molto più alta della già bassa media tedesca (ad esempio è poco più del 5% in Sassonia e Brandeburgo), ma la qualità del lavoro in Germania dell’est resta peggiore che all’ovest e il lavoro è meno retribuito. Spesso, chi vuole fare carriera, emigra, seguendo così le orme di quei 3 milioni di tedeschi orientali che, negli ultimi 30 anni, sono già andati verso ovest. Un fenomeno di emigrazione interna che ha ormai svuotato intere aree della Germania dell’est. Flussi di emigrazione che, secondo diversi studi, sono stati in maggioranza femminili, tanto che oggi ci sono territori orientali e località dove vivono da tempo più uomini che donne, soprattutto nelle aree rurali. Aree a maggioranza maschile in cui la rabbia, la voglia di rivalsa identitaria e anche il supporto per AfD sembrano essere più pronunciati. Quello della crisi della mascolinità nell’ex DDR, del resto, è uno dei tanti aspetti della storia di una parte di popolazione orientale passata dal mito dell’Held der Arbeit (l’eroe socialista del lavoro) all’impossibilità di poter puntare a nuovi ruoli che garantissero forme di riconoscimento sociale.

Negli anni dopo la Riunificazione, tanti cittadini dell’est hanno anche trovata sbarrata la strada verso le cabine di comando del loro nuovo mondo, a causa di una specie di contro-immigrazione elitaria da ovest verso est di pezzi di ceto dirigente. Ancora adesso (malgrado l’eccezione della Cancelliera di origine tedesco-orientale Angela Merkel) i dati sulle posizioni di dirigenza nei media, nelle università, nella pubblica amministrazione, nella politica e nelle aziende dimostrano quanto i cittadini degli stati dell’est rimangano proporzionalmente sottorappresentati, non solo a livello nazionale, ma anche nelle stesse regioni orientali.

 

Generazioni interrotte

Se è vero che la rabbia identitaria dell’est è soprattutto maschile (ma non mancano ugualmente le donne), sarebbe invece un errore credere che tra gli arrabbiati di oggi ci siano solo anziani ultrasessantenni ammalati di Ostalgie per i tempi andati. La rabbia dell’est è presente in senso neo-identitario in una parte degli elettori più giovani ed emerge forse ancora di più dalla generazione di quanti erano bambini o giovani quando crollò il Muro. Una generazione che ha dovuto reinventare la propria identità in un ambiente in piena mutazione, trovandosi a dover agire in un’economia di competizione individuale senza averne mai realmente appreso gli strumenti. Se una parte di questa generazione ce l’ha fatta secondo i crismi del nuovo mondo, un’altra ha invece vissuto drammatiche e irrecuperabili interruzioni biografiche. Questa parte di sconfitti della Riunificazione tira oggi le somme della propria vita e lamenta l’ingiustizia di non aver potuto godere dell’uguaglianza delle possibilità, vale a dire di quel presupposto teoricamente decisivo in un’economia capitalista sociale di mercato come quella tedesca. Non può essere una coincidenza che proprio AfD abbia anche uno zoccolo duro di elettori tedesco-orientali, maschi, tra i 30 e i 50 anni.

 

 

Sporco Carbone

Una delle poche grandi industrie che abbiano davvero resistito dai tempi della ex DDR in Germania dell’est è quella dell’estrazione del carbone. Il carbone copre ancora oggi il 40% della produzione energetica tedesca. Ma la Germania, che è in prima fila nella lotta contro il cambiamento climatico, ha già deciso che l’industria del carbone debba scomparire entro il 2038. Le miniere devono essere chiuse e fare completamente spazio alle fonti rinnovabili, che garantiscono a loro volta già un altro 40% della produzione energetica.

Le popolazioni delle aree della Germania dell’est più legate al carbone sono al momento scisse tra chi aspetta con ansia la svolta energetica e chi, invece, rifiuta la fine dell’industria che ha strutturato socialmente e culturalmente i territori per decenni e decenni.

AfD si è schierata con chi si oppone alla chiusura delle miniere, giungendo a negare la scientificità dell’origine antropica del cambiamento climatico e posizionandosi così frontalmente contro la propria assoluta nemesi politica: i Grünen, i Verdi. In diverse aree della Germania dell’est, AfD sta tatticamente cercando di farsi portavoce di chi teme che lo smantellamento dell’economia del carbone ricalchi le grandi dismissioni produttive della Riunificazione e che, anche questa volta, non ci saranno riqualificazioni che abbiano modalità e tempistiche capaci di migliorare concretamente i vissuti individuali e delle varie comunità.

In verità, molto è già stato fatto e moltissimo è stato promesso ai territori delle miniere di carbone, a partire da miliardi di investimenti. Ma per diversi tedeschi orientali rimane lo scetticismo di fronte a ulteriori mutazioni produttive. Una sfiducia che sembra destinata a rafforzarsi ora che in Germania si avvicina lo spettro della recessione, che potrebbe eventualmente colpire più duramente proprio le aree orientali già svantaggiate.

 

Immigrazione e Rancore

Lo strappo est-ovest va ancora più in profondità quando tocca la psicologia collettiva e l’immaginario sociale dell’identità etnica. Non è una coincidenza che la questione Ostdeutschland sia letteralmente esplosa con la cosiddetta crisi migratoria. Nel momento in cui, a partire dal 2015, il governo tedesco ha dichiarato che l’accoglienza di oltre 1 milione di rifugiati e richiedenti asilo fosse un dovere morale di solidarietà, una parte della Germania dell’est è insorta, portando a galla tutti i traumi della Riunificazione. Durante le proteste contro le politiche migratorie, tra slogan razzisti e un’inedita convivenza tra cittadini comuni e neonazisti, si è sentito spesso chiedere: “Prima per noi non bastavano mai i soldi, ma ora ci sono soldi per gli stranieri?” e ancora “Perché non integrate prima noi?”

AfD, più di tutti, ha capito che niente potesse essere più efficace di far esprimere lo scontento andando a contestare i valori tedesco-occidentali per eccellenza come l’apertura culturale, la tolleranza e il multiculturalismo. La Willkommenspolitik è stata rigettata a est anche in quanto caposaldo valoriale della Germania liberal e occidentale. L’offerta di AfD nella Germania dell’est non è stata così solo sposata da chi fosse svantaggiato economicamente, ma da tutti quei settori della società che covavano e covano rancore o insoddisfazione per il loro status di tedeschi orientali non valorizzati. Una svalutazione non unicamente percepita a causa di mancate ascese sociali, ma anche in conseguenza di esistenze vissute come periferiche o emarginate rispetto alla narrazione politica e alla Weltanschauung principale della Repubblica Federale.

A ovest ci si chiede da tempo perché l’est, che ha percentuali ridotte di immigrati, si sia infiammato così tanto sulla questione migratoria, andando a nutrire posizioni sempre più xenofobe. Un interrogativo più che comprensibile, che però non tiene talvolta conto delle specificità storiche della Germania orientale. Poco importa, infatti, che in Germania dell’est ci siano meno stranieri che a ovest. Quello che conta è che in Baviera e in Nord-Reno Westfalia l’integrazione degli stranieri sia stata e rimanga frutto di un percorso culturale, sociale e politico di 70 anni, mentre in alcune aree dell’ex DDR i nuovi arrivati sono invece giunti dopo secoli di quasi totale chiusura etnica di fronte alla diversità. Malgrado il cosiddetto internazionalismo dell’ex DDR e il fenomeno dei lavoratori stranieri che raggiungevano la Germania comunista, a est non c’è mai stato alcun laboratorio sociale di concreta integrazione e l’antirazzismo non è mai stato sviluppato e vissuto praticamente. Questo si vede soprattutto ora, con l’arrivo a est di alterità culturalmente molto distanti come nel caso dell’immigrazione mediorientale e africana. In questo senso la Germania dell’est è più una regione del gruppo Visegrád che della vecchia Europa e come tale andrebbe analizzata.

 

 

Nazione e Anti-Liberalismo

Il confine tra Europa occidentale ed Europa orientale non è probabilmente quello ufficiale tra Germania e Polonia o tra Germania e Repubblica Ceca, ma attraversa da qualche parte la Germania dell’est. La attraversa come una ferita che non riesce a chiudersi.

Una ferita che è tutta tedesca quando si guarda al rapporto della Germania dell’est con il nazionalismo, altro paradigma decisivo con cui AfD è penetrata nel corpo sociale dell’ex DDR e con cui ne ha incanalato la rabbia. Sulla scia della colpa ineliminabile della Seconda Guerra mondiale, nella Germania occidentale il discorso nazionale è stato decostruito per 45 anni come in nessun altro paese al mondo. Nella ex DDR questo processo non è mai avvenuto. Nella Germania socialista il patriottismo è stato immediatamente riciclato nel dopoguerra, è stato quindi subito declinato in senso socialista e depurato tramite l’antifaschismus, ma è stato poi anche agganciato alle tradizioni del nazionalismo romantico tedesco d’ispirazione anti-liberale, allo scopo di compattare la comunità popolare della DDR intorno a tradizioni e ritualità già radicate e condivise.

AfD è riuscita a sfruttare ambiguamente l’eredità patriottica dell’ex DDR. Da una parte ne utilizza oggi proprio i paradigmi di rivendicazione dell’identità nazionale, trovando a est quell’apertura al discorso nazionalista, revisionista e potenzialmente anti-democratico che a ovest non riesce a trovare. Dall’altra parte AfD utilizza la narrazione dell’opposizione al regime socialista della DDR degli ultimi anni per attaccare i partiti tradizionali tedeschi di oggi, denunciando i media nazionali (che “mentono come mentivano quelli della DDR”) e presentando la propria rincorsa al primato in Germania dell’est come una Wende 2.0, cioè come una nuova rivolta anti-sistema. Una tattica di cui è più che emblematica la scelta della destra estrema di riutilizzare lo slogan “Wir sind das Volk” (“Noi siamo il popolo”), che nell’89 venne usato per far crollare il regime socialista e che ora viene invece intonato da movimenti come Pegida per contestare Angela Merkel, il multiculturalismo e l’intero assetto liberal-democratico della Berliner Republik.

 

Rabbia e Uova

La rabbia dell’est ha quindi radici antiche, a lungo ignorate nella Germania riunita e ora utilizzate politicamente dalla destra populista. Forse la rabbia dell’est si scioglierà nello scontro con il nuovo internazionalismo liberal-green, forse verrà riassorbita o integrata da un nuovo conservatorismo CDU, forse si solidificherà definitivamente in un autoritarismo anti-liberale di stampo euroasiatico, forse verrà addirittura ribaltata da nuovi anticapitalismi post-marxisti. Ma una cosa è certa: dopo queste ultime elezioni, nessuno in Germania potrà più ignorare i messaggi lanciati dai tedeschi orientali più arrabbiati.

Trent’anni dopo la caduta del Muro, la Germania deve ancora trovare un modo per superare il celebre 10 maggio 1991. Quel giorno il Cancelliere Helmut Kohl andò ad Halle, in Sassonia Anhalt, ex DDR. Era passato solo un anno e mezzo dal trionfale bagno di folla di Helmut a Dresda. Questa volta, però, Kohl venne accolto da un gruppo di manifestanti molto agitati che urlavano “Bugiardo, Bugiardo” e iniziarono a colpirlo con lanci di verdure e uova. Allora, davanti alle telecamere di mezzo mondo, il padre della Riunificazione tedesca si svincolò dagli uomini della sua sicurezza e si gettò letteralmente addosso ai contestatori.

La faccia di Kohl era quella di chi non capiva cosa stesse accadendo.

 

 

Articolo ripreso dal sito Yanezmagazine