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Freaks Out, ovvero quando il fascismo è l’Altro

Il nuovo film di Mainetti assolve la popolazione italiana, ponendo il nazismo, e non il freak, nel ruolo dell’Altro. Una lettura tra storia e videogames

Freaks Out è il nuovo film diretto da Gabriele Mainetti e scritto da Nicola Guaglianone, la squadra che ha lavorato a Lo chiamavano Jeeg Robot (dove però aveva contribuito alla sceneggiatura anche Roberto “Menotti” Marchionni). Ed è l’ennesimo tentativo di assolvere la popolazione italiana dalle sue responsabilità nella Seconda guerra mondiale e nell’ascesa dei regimi nazifascisti del Novecento.

Rapido riassunto: un gruppo di quattro freak (fenomeni da baraccone) di un circo, dotatǝ di vari poteri, si trova a combattere contro l’occupazione nazista durante la Seconda guerra mondiale. Pur essendo ambientato nell’Italia del 1943, il film non mostra mai personaggi che siano identificati come fascisti: lo scontro è sempre tra persone italiane, buone e spesso antifasciste, e i cattivi soldati nazisti. Concentrarsi sulle forze naziste può forse dare una rappresentazione storicamente adeguata della Roma della fine del 1943, subito dopo l’armistizio di settembre e la formazione della Repubblica Sociale Italiana. Ma decidere di rappresentare la Seconda guerra mondiale in Italia senza mostrare persone esplicitamente identificate come fasciste o repubblichine è comunque una decisione piuttosto forte, anche quando si può giustificare con un’attenta scelta di luogo e tempo, perché proietta ogni colpa sull’esercito tedesco e sul nazismo.

Simili obiezioni sono state mosse anche a Roma città aperta (1945) di Roberto Rossellini, che dopo anni di fedeltà al fascismo si reinventò dopo la guerra come regista antifascista glissando sulla complicità della popolazione italiana nel regime (e quindi anche sulla sua complicità).

Poi, in Freaks Out il nazismo viene descritto principalmente come odio contro il diverso e il film sembra voler narrare la lotta del “diverso,” impersonato dallǝ freak del titolo, contro il nazismo. Ma in realtà non viene mostrato alcun odio nazista contro lǝ freak. Lǝ freak sono considerate genericamente “diversǝ” da tutta la popolazione, ma non sono mai presentatǝ come parte di una categoria specificatamente oppressa dal regime nazista. Per esempio, l’unica persona tra i personaggi principali a rischiare la deportazione a causa della sua appartenenza a una qualche minoranza è il proprietario del circo, perché è ebreo.

E, anzi, il principale antagonista è un freak nazista, un pianista con sei dita che vuole fare il soldato ma che il regime vorrebbe come musicista a Berlino e che dirige un circo tedesco pieno di altrǝ freak. Anche qui va inoltre segnalata la decisione di trascurare ogni possibile partecipazione della popolazione italiana al razzismo antisemita nazifascista, sebbene i rastrellamenti della popolazione ebrea romana (mostrati nel film) venissero fatti dai soldati nazisti grazie alla schedatura fascista successiva alla pubblicazione dell’italianissimo Manifesto della Razza e con l’attiva partecipazione di collaborazionistǝ italianǝ.

Penso che sia utile confrontare Freaks Out con un’altra opera di intrattenimento basata sull’uccidere nazisti e dai toni similmente tarantiniani, cioè la serie di videogiochi d’azione Wolfenstein di id Software (ora parte di Microsoft).

La serie, che va avanti da Wolfenstein 3D del 1992 (nato come remake di un gioco precedente), è ambientata nei suoi ultimi episodi in un passato alternativo in cui il nazismo ha vinto la guerra grazie all’uso di tecnologie fantascientifiche. In Wolfenstein 2: The New Colossus di MachineGames (il sesto episodio nella continuity della serie, nonostante il “2” nel titolo) siamo negli anni Sessanta di questo passato alternativo, negli Usa conquistati dai nazisti, e lottiamo insieme alla resistenza contro il regime. Wolfenstein 2: The New Colossus poteva semplicemente mostrare l’eroe statunitense protagonista mentre difende l’americanità sottomessa al potere nazista: libertà made in Usa contro oppressione hergestellt in Reich.

Invece il videogioco racconta una cosa diversa: racconta come lǝ statunitensi si adattino senza problemi al regime nazista, perché il razzismo era già sistemico e sistematico negli Stati Uniti d’America, era già profondamente parte della cultura statunitense. Wolfenstein 2: The New Colossus racconta che i nazisti sono come noi per metterci uno specchio davanti e dirci che noi, proprio noi, siamo come i nazisti.

Screenshot dal gioco Wolfenstein 2: The New Colossus.

Nel 2019 è uscito il videogioco di guerra Call of Duty: Modern Warfare di Infinity Ward e Activision, e a un certo punto ci viene raccontato che nelle vicende fantageopolitiche dell’opera la Russia ha bombardato una strada uccidendo le truppe che la stavano usando per fuggire durante la guerra nell’immaginario stato dell’Urzikstan. Da quel momento, quella strada viene chiamata «ṭarīq al-mawt» o, in inglese, «Highway of Death», cioè autostrada della morte. Ma la Highway of Death esiste realmente, tra Kuwait e Iraq, e sono stati gli Usa (insieme a Canada, Regno Unito e Francia) a compiere l’attacco che le ha dato questo nome.

Nel 1991, dopo aver sconfitto le truppe irachene in Kuwait durante la Guerra del Golfo, la coalizione occidentale le bombardò mentre si stavano ritirando (insieme anche a civili) .Il giornalista di guerra Seymour Hersh svelò che l’esercito statunitense arrivò persino a sparare su soldati iracheni disarmati che si erano già arresi. È facile intuire perché il videogioco manipoli in questo modo la storia: l’esercito è fortemente coinvolto nello sviluppo e nel marketing della serie Call of Duty, che funge da strumento di propaganda imperialista.

Per esempio, l’ex incursore dell’esercito italiano Claudio Spinelli partecipò alla presentazione proprio di Call of Duty: Modern Warfare durante l’edizione 2019 di Lucca Comics & Games.

In una scena non interattiva di Wolfenstein 2: The New Colossus, un personaggio ricorda il bombardamento nucleare nazista di Manhattan. Nella storia immaginaria del videogioco questo evento sancisce la sconfitta degli USA, mentre sappiamo bene che nella realtà non è mai avvenuto un bombardamento nucleare nazista di Manhattan: sono stati gli USA a usare ordigni nucleari contro l’Asse, nello specifico contro il Giappone. Ma quello che qui Wolfenstein 2: The New Colossus fa, descrivendo gli orrori dell’immaginario bombardamento di Manhattan, non è tentare di riscrivere le responsabilità di un evento poco noto come invece fa Call of Duty: Modern Warfare. Quello che Wolfenstein 2: The New Colossus fa è (di nuovo) metterci uno specchio di fronte, mostrandoci ciò di cui noi (il pubblico occidentale, soprattutto statunitense, a cui il videogioco si rivolge) siamo statǝ responsabili.

Questi orrori, degni dei nazisti, sono i nostri. Che effetto fa sentirli raccontare come se fossero avvenuti nel nostro Occidente?

È possibile problematizzare anche il modo in cui Wolfenstein racconta il nazismo. In un intervento al Ludicious Game Festival Sebastian Schulz e Jörg Friedrich di Paintbucket Games, sviluppatore del videogioco Through the Darkest of Times, hanno per esempio sottolineato il rapporto tra l’eroe ipermascolino capace di risolvere tutto con l’uso della violenza e in gran parte da solo, l’eroe che ritroviamo proprio in Wolfenstein 2: The New Colossus, e l’immaginario protofascista e protonazista dell’oltreuomo, l’Übermensch. Nonostante tali problemi, Freaks Out avrebbe potuto imparare molto da Wolfenstein.

Perché, invece di metterci uno specchio davanti, il film di Mainetti lava via i nostri peccati. Lǝ italianǝ di Freaks Out sono un po’ canaglie, un po’ criminali. Non sono proprio contrariǝ a fascismo o nazismo perché «Francia o Spagna purché se magna», secondo il detto (talvolta attribuito allo storico rinascimentale Francesco Guicciardini) sul disinteresse della popolazione della penisola verso chi la governi.

Ma alla fine sono “italiani brava gente”, non sono cattivǝ come questi soldati nazisti invasori che vengono da lontano e parlano una lingua diversa. Non sono cattivǝ come “quegli altri.” Mi aspettavo da Freaks Out un film che raccontasse la lotta dell’Altro (lǝ freak) contro chi ha deciso che l’Altro debba scomparire dal mondo. Ho trovato l’opposto: un film che ci racconta che, fortunatamente, è il nazismo a essere l’Altro. Ma l’abbiamo sconfitto, quindi ora va tutto bene.