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MONDO

Il rompicapo politico messicano

Come definire la situazione politica del Messico in questo momento? È, forse, una delle domande più difficili a cui rispondere in una fase in cui il dibattito politico ruota ossessivamente intorno alla persona di Andrés Manuel Lopez Obrador e quello che il suo governo rappresenta nell’attuale contesto del paese.

Pubblichiamo due articoli con prospettive e letture differenti per dare conto del dibattito e delle posizioni sulla situazione politica e sul governo del presidente di centrosinistra Andrés Manuel Lopez Obrador (ndr). 

Come definire la situazione politica del Messico in questo momento? Riassumendo in breve, o si è con la cosiddetta Quarta Trasformazione (4T) guidata dal presidente e dal suo partito, il Movimento Rigenerazione Nazionale (MORENA), o si è parte delle fila della destra conservatrice. Chi ha familiarità con le altalene politiche dell’America Latina degli ultimi vent’anni ha più strumenti per dare un senso al rompicapo messicano.

Infatti, sono presenti gran parte degli ingredienti della ricetta: 1) un personaggio carismatico che vince le elezioni articolando un discorso nazionalista e anti-neoliberista; 2) la sconfitta della fazione dominante della classe politica che ha gestito i tagli, le privatizzazioni, la violenza politica e le regole non scritte della corruzione fin dagli ‘80 del secolo scorso; 3) la confusione e il pragmatismo di una parte significativa della sinistra che non è in grado di rispondere alla sfida posta dalla nuova situazione, e 4) i movimenti dal basso che si oppongono alla violenza politico-militare nella difesa dei loro territori contro vecchi e nuovi progetti estrattivi e contro l’opinione di quelli che una volta erano compagni e alleati.

 

La discussione si complica ancora di più considerando le implicazioni del confinamento sociale nel paese come parte delle misure volte a contenere la diffusione del virus Sars-Cov19.

 

Con la vita pubblica sospesa e la circolazione limitata all’ “essenziale” (come viene chiamato ora l’atto di comprare qualcosa) e la sopravvivenza economica (60% delle persone vive alla giornata), la politica abbandona le strade e svuota le piazze; scompare dalle scuole e dalle università per trasferirsi quasi esclusivamente sui social. Ad oggi, non esistono spazi per lo scambio di idee e la libera espressione che non passino attraverso i format caratteristici delle principali piattaforme private e dei loro algoritmi.

Esperienze come le elezioni che hanno portato Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, la vittoria della Brexit in Inghilterra, o il “No” al negoziato di pace in Colombia, ci hanno mostrato fino a che punto è possibile manipolare la percezione pubblica sulle questioni politiche. Senza voler azzardare alcuna ipotesi sui burattinai virtuali, quel che è certo è che le reti tendono a massimizzare le polarità interne ad una discussione, rafforzando quelle dinamiche che riducono ogni espressione politica a un referendum sull’approvazione o la disapprovazione della popolazione non più verso il governo, ma verso la persona di Lopez Obrador.

I movimenti e gli attori politici di sinistra che hanno preso il potere nella regione a partire dal 1999, condividono tre caratteristiche essenziali:

a) hanno ottenuto le loro vittorie tramite le urne elettorali;

(b) hanno criticato il neoliberismo senza identificarsi con l’anticapitalismo e

(c) non hanno messo in discussione la democrazia rappresentativa.

 

Migranti alla frontiere Messico-Guatemala

 

Lopez Obrador e il movimento che rappresenta considerano il neoliberismo come una forma “corrotta” di gestione politica ed economica del paese, che si risolve con l’austerità governativa e l’onestà nell’esercizio della funzione pubblica.

In termini economici, l’enfasi sull’austerità nella spesa pubblica disattende il più ampio problema della distribuzione della ricchezza in Messico (con un Coefficiente di GINI di 4,8 nel 2020, secondo la Banca Mondiale, il paese si colloca tra il 25% delle economie più diseguali del pianeta), mentre presenta come di sinistra una misura fortemente neoliberista come il taglio della spesa pubblica.  Così, ad esempio, vengono tagliate le spese alla ricerca scientifica descrivendo ricercatori e accademici come parte di una casta privilegiata, ma si evita qualsiasi discussione sulla possibilità di aumentare le tasse ai più ricchi o alle multinazionali.

D’altra parte, si mette in discussione la proliferazione di intermediari, dipendenti o meno del governo (ONG, associazioni, fondazioni, ecc.), nella gestione dei sussidi e degli aiuti ai “più bisognosi”, pur avendo dato in gestione la distribuzione dei programmi sociali del governo a un’istituzione privata, Banco Azteca, di proprietà di uno dei canali televisivi più reazionari del paese (Tv Azteca). In termini politici, le critiche del governo nei confronti delle organizzazioni intermediarie palesemente corrotte o e parassitarie sono servite per attaccare frontalmente le organizzazioni della società civile che difendono le vittime delle sparizioni forzate o sostengono le comunità indigene e contadine nella difesa dei propri territori.

Tuttavia, i governi progressisti dell’America Latina hanno affrontato una serie di sfide e ostacoli che oggi sono evidenti anche in Messico, tra cui: (1) la normalizzazione di un linguaggio golpista tra i partiti di opposizione, gli attori economici e i media; (2) la conformazione di un’ampia clientela politica dipendente dai programmi sociali del governo e (3) l’inasprimento della crisi economica e il calo dei prezzi delle materie prime.

 

Il primo aspetto è il più preoccupante per l’intellighenzia dell’Obradorismo perché, sulla base delle esperienze di Venezuela, Ecuador e Bolivia, ritengono che la sinistra nel suo complesso dovrebbe mettere da parte le sue differenze e serrare i ranghi intorno alla figura del Presidente.

 

In considerazione di questo, diverse organizzazioni, collettivi e singoli (soprattutto nelle città) si sono ritrovati divisi tra l’opposizione critica e il pragmatismo. Finora, i settori mobilitati dalla destra sono pochi ed eterogenei, dai conservatori ultracattolici ai piccolo borghesi che ostentano la propria opposizione come uno status simbol che li distingua dagli elettori di Lopez Obrador, di estrazione popolare.

 

 

 

Per quanto riguarda il secondo aspetto, la politica sociale del governo è caratterizzata dalla monetarizzazione dei programmi sociali (distribuzione di denaro in contanti a studenti, madri single, anziani, ecc.), mentre si taglia la spesa per le scuole, gli ospedali e le università.

 

L’attuazione di questi programmi influisce positivamente sul consenso intorno ad Obrador, anche in quegli stati in cui governa la destra. Eppure, la situazione economica del paese in un panorama globale francamente catastrofico, non ha fatto altro che peggiorare, al punto che si prevede una caduta di più di dieci punti del PIL solo come conseguenza della pandemia sull’economia messicana. Fino al 2014, i governi di sinistra della regione hanno messo in atto le loro politiche sociali grazie ai prezzi elevati delle materie prime, un vantaggio di cui il governo di Lopez Obrador non dispone.

Inoltre, esiste un elemento caratteristico della situazione geopolitica in Messico che lo distingue dal resto dei paesi della regione e che ci pone di fronte alla prospettiva di mettere in discussione la presunta vocazione di sinistra del governo di Lopez Obrador. Si tratta del suo rapporto con gli Stati Uniti e con il Canada, specialmente con il primo.

Infatti, la svolta neoliberista sperimentata in Messico ha significato, soprattutto dagli anni ‘90 (con l’entrata in vigore del NAFTA [North American Free Trade Agreement – Accordo Nord-Americano per il Libero Scambio; trattato commerciale tra Stati Uniti, Canada e Messico entrato in vigore nel 1994 – ndt]), il rafforzamento delle relazioni tra il nostro paese e i vicini del nord. Si tratta di un progetto di integrazione asimmetrica di natura economica, politica e militare. Quindi se vogliamo sapere se si sta verificando o meno un cambiamento di rotta in Messico dopo la prima vittoria elettorale riconosciuta della sinistra in tutta la sua storia, è indispensabile soffermarsi su questi tre aspetti.

Pur riconoscendo che ciascuno di essi meriterebbe una riflessione più ampia, è possibile sottolineare qui alcune tendenze molto generali che ci permettono di porre il dibattito in altri termini.

Economicamente, l’attuale governo ha avviato quattro megaprogetti di infrastrutture: il Treno Maya, destinato a sviluppare il polo turistico e commerciale della Penisola dello Yucatan; il Corridoio Interoceanicoche collegherebbe gli oceani Atlantico e Pacifico, con infrastrutture per il trasporto di merci, la produzione di energia eolica e corridoi per la produzione Maquila [assemblaggio e trasformazione di merci estere destinate all’esportazione – ndt]; il nuovo aeroporto di Città del Messico, a Santa Lucia nello Stato del Messico, e la raffineria di Dos Bocas, nello stato di Tabasco.

 

Si tratta di progetti che aumentano la relazione di dipendenza dagli investimenti esteri, caratteristica del modello neoliberista, nella misura in cui facilitano l’estrazione delle risorse naturali, lo sfruttamento della manodopera a basso costo e la perpetuazione del modello turistico predatorio sviluppato negli ultimi trent’anni.

 

Politicamente, il governo messicano ha rafforzato la posizione di Donald Trump negli Stati Uniti, collaborando con la politica di immigrazione del magnate americano (che, tra le altre cose, include la separazione delle famiglie, lager di detenzione indefinita e deportazioni sommarie); inoltre, ha ceduto su praticamente tutti i punti richiesti dal vicino settentrionale per “riformare” il NAFTA fino alla sua forma attuale, sotto l’acronimo USMCA [United States-Mexico-Canada Agreement- Accordo Stati Uniti-Messico-Canada – ndt].

 

 

Sulla questione militare, oltre a contribuire alle politiche migratorie degli Stati Uniti al confine con il Guatemala e sulle rotte seguite dai migranti nel loro viaggio verso il “sogno americano”, Lopez Obrador ha tradito una delle promesse principali della sua campagna elettorale, quella di porre fine all’infelicemente detta Guerra al narcotraffico (che ha causato 200mila morti e decine di migliaia di sparizioni), legalizzando lo svolgimento da parte dell’esercito messicano di funzioni di pubblica sicurezza sotto forma di una Guardia Nazionale.

 

Nel frattempo, in basso, dove non arrivano né gli inviti a serrare i ranghi intorno al Presidente né il pragmatismo di comodo, si accumulano altre prove. Prendendo in considerazione soltanto l’attuale amministrazione, sono 18 i difensori dell’ambiente e 14 i giornalisti uccisi (tutti casi rimasti irrisolti); 20mila omicidi e 27.800 sparizioni.

 

In aggiunta, c’è anche l’attacco armato contro gli indigeni ikoots [nome autoctono dell’etnia Huave che vive nell’Istmo di Tehuantepec – ndt] della comunità di San Mateo del Mar, nello stato di Oaxaca, il 21 giugno 2020, nel qualeci sono state 15 morti perché l’assemblea della comunità aveva deciso di rifiutare una serie di progetti associati al Corridoio Interoceanico (tra cui uno legato alla società Coca-Cola). Attualmente più di 50 persone si ritrovano sfollate per le minacce degli autori del massacro, rimasti finora impuniti.

Tutto questo in un contesto in cui il fatto che il governo nazionale e i governi statali (allineati al governo) non abbiano dichiarato il coprifuoco per combattere la diffusione del Sars-Cov19 viene presentato come “progressista”, perché “la gente ha bisogno di andare al lavoro”… ovviamente senza discutere la necessità di un programma di reddito di emergenza, di diritto al cibo, alla salute (requisizione di ospedali privati), all’alloggio (sospensione dei canoni di affitto e degli sfratti per inadempienza), di riappropriazione dello spazio pubblico e di distribuzione della ricchezza… insomma, una politica di sinistra.

Immagine di copertina: Desinformemonos

Traduzione in italiano a cura di Michele Fazioli per DINAMOpress