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MONDO

Effetto serra, effetto guerra

Vedere il problema dell’immigrazione e dei conflitti dalla parte del clima per capire quanto i cambiamenti climatici influiscono sulle migrazioni e sulle crisi internazionali. Più il deserto avanza più le ondate migratorie aumentano. Più cresce il pericolo di guerre.

Continue ondate migratorie aprono scenari a cui non eravamo preparati e paiono il preludio all’esodo di interi popoli. Le aree dove questi sommovimenti si originano hanno tutte qualcosa in comune: il clima che cambia, il deserto che avanza e che sottrae terreno alle colture, mettendo in ginocchio le economie locali. Clima e guerre, clima e terrorismo: è difficile tracciare una precisa concatenazione di cause ed effetti fra il riscaldamento globale e i singoli eventi che ci hanno traumatizzato recentemente, dalla guerra in Siria, agli attentati terroristici in Europa. Ma una cosa è ormai certa: il clima che cambia contribuisce al disagio e all’aumento della povertà di intere popolazioni, esposte più facilmente ai richiami del terrorismo e del fanatismo. Sono 79 i conflitti per i quali il centro studi tedesco Adelphi, in una indagine commissionata dal G7, ha individuato cause climatiche.

L’Africa è il continente maggiormente esposto alle guerre dovute all’effetto serra. L’effetto serra, come è ben spiegato nel libro, altro non è che una porzione di energia solare che viene introiettata dal nostro sistema e non rispedita nello spazio. La quantità di energia introiettata è stata calcolata da uno scienziato della Nasa, James Hansen, essere l’equivalente dell’esplosione di quattrocentomila bombe atomiche. Questa energia che non riesce a incanalarsi in strutture che si sono formate in millenni si trasforma in disordine e imprevedibilità. Il territorio dell’Africa settentrionale è in gran parte costituito da zone desertiche, ma non solo. C’è anche una zona che più meno coincide con il Sahel dove a causa di processi di desertificazione è venuta meno la certezza dei cicli della natura e dove non è possibile organizzare la vita delle persone. Con una semplice ricerca su “mappe fame e conflitti” si noterà che l’area della desertificazione coincide con l’area di maggiore povertà, carestia e conflitti, con l’area di concentrazione delle dinamiche terroristiche, con l’area di concentrazione dei traffici illeciti: esseri umani, armi, denaro, droga. Da questa area provengono nove su dieci delle persone che attraversano il mediterraneo.

Attualmente, non solo dall’Africa, ci sono 64 milioni di persone che forzatamente fuggono da guerre, fame, persecuzioni e da una “causa in crescita”: i cambiamenti climatici. Entro il 2050, fonti delle Nazioni Unite, considerano possibile per le sole “cause climatiche”, l’esodo di 200 milioni di persone.

Un altro anello di congiunzione particolarmente nefasto fra clima alterato e instabilità socio-politica, è l’insicurezza alimentare per i più poveri e i disastri naturali che negli ultimi dieci anni hanno colpito un 1,7 miliardi di persone causandone la morte di 700 mila. Dal 2008, una media di 26,4 milioni di persone all’anno sono state spinte a migrare per calamità naturali. Circa l’80 per cento di questi disastri collegati al clima, incidono particolarmente sulle molte persone che già faticano a procurarsi del cibo. Quattro su cinque persone direttamente colpite vivono in paesi a basso reddito. La coesione sociale viene minata alla base creando instabilità nella comunità che si riverbera nelle aree urbane generando insicurezza, instabilità e spinte ai movimenti forzati di popolazioni – Lagos, capitale della Nigeria, nel giro di due generazioni è passata da 200 mila abitanti a 20 milioni.

Tali dinamiche colpiscono il futuro di tutti, anche se ora colpiscono maggiormente i più poveri.

Da qui la tesi centrale degli autori: se abbandoniamo i più poveri da soli alle prese col cambiamento climatico, non solo facciamo finta di non capire ciò che ci insegna la moderna scienza del clima e l’analisi geopolitica – che siamo tutti sulla stessa barca e che i problemi sono interconnessi e hanno una dinamica globale – ma lasciamo anche crescere un potenziale di conflittualità che prima o poi ci raggiungerà. Prendere coscienza dei rischi di un clima impazzito può favorire un’operazione di pace e giustizia.

Il libro unisce al rigore scientifico delle fonti la chiarezza nell’esposizione così da rendere comprensibili fenomeni complessi. È una fonte di informazioni scientifiche che possono rivelarsi utili anche per migliorare la qualità della vita di ciascuno di noi. Ne cito una sola a sostegno dell’allarme lanciato dalle mobilitazioni del Fridays for future.

Per un futuro prossimo – entro la fine del secolo – gli studi prefigurano il cambiamento climatico in accelerazione più o meno brutale: gli scenari variano da un riscaldamento contenuto entro 1,5 gradi – con gravi problemi, ancora gestibili – fino a un incremento oltre i 4°. La differenza tra questi scenari dipende da un’incognita fondamentale: come si comporterà l’umanità?  Lo scenario biofisico dei 4° e oltre –  ­ che potenzialmente potrebbe produrre estinzioni di massa, aumento più rapido del livello degli oceani, disastrose alternanze di siccità e alluvioni sulle aree continentali, gravissimi problemi alle attività agricole nelle zone sub tropicali – è considerato raggiungibile in uno scenario socio-economico umano dove domina lo stile di vita riassumibile come “business as usual”: in pratica, ci arriviamo se noi umani continueremo ad agire come sempre.