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Donne in resistenza: voci dalla Minga colombiana

Attraversando fiumi, valli, montagne e deserti, una Colombia storicamente colpita dalla guerra è stata scossa in questo inizio d’anno in tutto il suo territorio dalla capacità di organizzazione e mobilitazione della Minga indigena, afro e contadina.

Il 25 aprile si è tenuto un grande sciopero nazionale,  si csta mantenendo un’assemblea permanente, ed infine c’è stata  l’istallazione temporanea di un Rifugio Umanitario per difendere la vita dei leader sociali a Bogotà. Questa nuova esplosione sinergica di lotte, cominciata il 10 marzo con la Minga per la Vita, il Territorio, la Giustizia e la Pace nel dipartimento del Cauca, che ha incontrato poi molte adesioni a livello nazionale, si basa sulla difesa della vita, e su una serie di rivendicazioni legate ai diritti sociali e culturali.

La Minga affronta in questo modo le politiche di una destra al governo che sta riportando indietro il paese a livello sociale, umanitario ed ambientale attraverso le politiche governative del Piano Nazionale di Sviluppo.

 

Gli accordi di pace a rischio, vittime dell’irresponsabilità del governo

Il presidente Iván Duque, del Centro Democrático, partito político fondato dall ex presidente Álvaro Uribe Vélez, è stato l’unico a dichiararsi formalmente oppositore del Processo di Pace portato avanti dal governo dell’ex presidente Juan Manuel Santos e l’organizzazione guerrigliera insorgente FARC-EP.

In continuità con tale posizione, ha espresso un profondo disinteresse in relazione al compimento effettivo degli Accordi di Pace, optando per il definanziamento e contrastando con una serie di obiezioni la legge fondamentale della JEP, che regola la giurisdizione speciale per la pace, un insieme di norme create per regolare l’inedito sistema di giustizia transitoria stabilita dalle negoziazioni dell’Avana per giudicare gli ex combattenti e chiudere i conti sul conflitto armato.

 

Le modifiche proposte dal presidente colpiscono in vari modi le comunità in mobilitazione.

Far saltare gli accordi di pace che hanno permesso la smobilitazione della guerriglia ha l’obiettivo di screditare fortemente  il processo che cerca di dar vita ad una pace duratura in quei territori che sono stati per decenni teatro del fuoco incrociato tra diversi gruppi armati.

Questo gesto è un chiaro invito alla riattivazione del conflitto armato. Inoltre, genera sfiducia attorno a futuri processi di smobilitazione di altri gruppi guerriglieri, come l’ELN, l’Esercito di Liberazione Nazionale ancora attivo in Colombia.

Da quando Duque ha assunto come presidente, otto ex comandanti delle FARC hanno abbandonato gli spazi dedicati alla transizione verso la vita civile adducendo come causa l’assenza di condizioni di sicurezza.

Questa attitudine che sta dimostrando il governo non è nuova. Infatti, è proprio l’assenza di un chiaro impegno politico da parte del governo che ha portato alla nuova Minga, pratica ancestrale che funziona come istanza di articolazione tr indigeni di differenti etnie per coordinare azioni congiunte secondo lo slogan “Camminare la parola”.

A questa Minga hanno preso parte comunità di consigli regionali indigeni di vari dipartimenti come il Cauca, Huila e Caldas, diverse riserve indigene, organizzazioni contadine come il Coordinamento Nazionale Agragrio, la Federazione sindacale unitaria agricoltori, movimenti politici e sociali come Marcha Patriotica e Congreso de los Pueblos, e comunità afro organizzate nell’associazione dei Consigli Comunitari del Nord de Cauca.

 

Spoliazione della terra: il trionfo delle grandi minoranze

“Tutte le organizzazioni che ci siamo mobilitate con la Minga abbiamo stipulato accordi con il governo nazionale, ma questi accordi che non sono mai stati rispettati” racconta Marylen Serna, che fa parte della Minga, è una contadina del Cauca, portavoce del Congreso de Los Pueblos e del Movimento delle donne per la vita nel municipio di Cajibío. Una serie di accordi non rispettati principalmente in relazione ai processi di spoliazione della terra le cui origini rimandano al periodo coloniale ma che oggi continuano ad esistere attraverso le altissime concentrazioni edella terra nelle mani di pochi proprietari: terratenenti, industria dello zucchero, grandi miniere e multinazionali. Marylen ci fa un esempio concreto: “Solo nel Cauca, la multinazionale irlandese Smurfit Kappa Cartón de Colombia pianta pini ed eucaliptos in oltre 12mila ettari”.

La presenza di questa impresa nei municipi del sud ovest colombiano come Cajibío, Sotará ed El Tambo crea diversi problemi: così conclude Marylen: “Questa impresa possiede migliaia di ettari produttivi. Ha occupato terre di cui noi abbiamo bisogno per produrre alimenti, usa moltissima acqua e sta esaurendo le fonti idriche delle nostre comunità. Ha distrutto fauna e flora locale per piantare coltivazioni particolarmente aggressive rispetto al territorio”.

 

“I contadini e le contadine che prima possedevano fattorie proprie dove produrre il cibo necessario per il proprio sostentamento sono diventati dipendenti dell’impresa multinazionale, ed oggi sono braccianti sottopagati. Con la meccanizzazione del lavoro, hanno anche spazzato via la possibilità di lavoro per le comunità locali”

 

 

La difesa della terra e del territorio al centro del progetto di vita

La leader contadina segnala che l’impatto più forte di tale sistema colpisce le donne:

“Questo sistema non permette che vi sia una produzione di alimenti nella zona, perché non abbiamo più la terra e le donne sono quelle che più di tutti lavoriamo e lottiamo per la conservazione dei semi, per diversificare la produzione nei terreni, nei propri orti, in modo da non dover comprare tutti gli alimenti, né andarli a prendere in altre città o territori, oppure per non essere relagte al lavoro domestico, solo perché non vi sono terre da coltivare. In media nel municipio di Cajibío abbiamo 1,3 ettari a famiglia, ed ogni famiglia è composta da 5 o 6 persone. E’ impossibile vivere con questa poca terra. Per questo una delle rivendicazioni più importanti delle donne della Minga è l’assegnazione della terra e soprattutto che le donne siano le proprietarie”.

L’espansione della frontiera agricola produce effetti simili anche in relazione alla produzione di alimenti per le comunità. Kelly Peña, attivista della Confluencia de Mujeres para la Acción Pública, condivide l’enorme preoccupazione rispetto al crescente fenomeno della deforestazione:

 

“Lo spostamento in avanti della frontiera dell’agrobusiness sta trasformando immensi boschi tropicali dell’Amazzonia e del Pacifico colombiano in grandi recinti per animali e coltivazioni di palma per la produzione di olio, mettendo a rischio le attività di  raccolta portata avanti dalle donne delle comunità indigene, e riducendo l’offerta di cibo per intere comunità”.

 

Su questo punto diverse comunità che fanno parte della Minga lavorano da tempo per realizzare una proposta di riorganizzazione territoriale con una giusta redistribuzione della terra sulla base della formula del “territorio con autorità collettiva” per cui, secondo Marylen, “è possibile fare un accordo interetnico con le comunità indigene e afro,  perché viviamo in un solo territorio, per costruire territori interculturali, per  produrre assieme, e far si che la terra torni nelle mani dei suoi proprietari ancestrali e tradizionali”.

 

Miniere e violenze nei territori

Il conflitto per la terra e il territorio si approfondisce a causa dell’estrattivismo, segnala ancora Kelly Peña. L’organizzazione in cui lavora denuncia le conseguenze per la vita delle donne causate dall’estrattivismo legato all’attività mineraria ed energetica.

 

“Aumento dello sfruttamento e della violenza sessuale contro le bambine e le donne nel contesto di queste economie di enclave, disarticolazione delle economie proprie delle comunità indigene, afrocolombiane e contadine, dove le donne hanno un ruolo preponderante, informalità del lavoro, impatto sulla salute sessuale e riproduttiva e nascita di nuove forme di sfruttamento delle donne a partire dal lavoro svalutato legato alle attività di cura”.

 

In questo senso, il racconto di Marylen è emblematico: “Le concessioni minerarie comportano l’arrivo di macchinari laddove la miniera era artigianale, dove sia uomini che donne estraevano in modo sostenuto piccole quantità di minerali che gli permettevano la sopravvivenza, oggi non è più possibile, oggi nei fiumi ci sono le draghe, i grandi macchinari, specialmente dove si estrae l’oro. E ciò colpisce in maniera particolare le donne che sono quelle che più di tutti si mantenevano attraverso l’estrazione di scala minore”.

Questi territori di grande ricchezza naturale e particolare vicinanza con l’oceano Pacifico diventano terre ambite da tutti, mentre il conflitto armato si intreccia con la contesa per il controllo delle coltivazioni illecite, le miniere e la presenza delle multinazionali.

A fronte di tale scenario, le comunità sviluppano processi di resistenza in difesa del valore dei fiumi e dell’acqua, racconta Kelly, ricordando l’esperienza di lotta contro il progetto idroelettrico di Hidroituangò.

 

“Intanto in molte regioni vengono assassinati leader sociali” aggiunge. Secondo l’organizzazione Somos Defensores sono 600 i leader social uccisi dal 2016, di cui 118 indigeni, in base ai dati dell’Organizzazione Indigena Nazionale della Colombia.

 

“La presenza di gruppi guerriglieri, militari, paramilitari, gruppi armati che proteggono le coltivazioni illecite, altri a protezione delle miniere o delle multinazionali, tolgono libertà e possibilità di mobilità nel territorio. La gente non è libera di riunirsi, organizzarsi, perchè viene stigmatizzata, segnalata. Qui le donne siamo un bottino di guerra per i gruppi armati […] le conseguenza di tutto ciò sono gravissime: cresce la paura di organizzarsi, costruire vita comunitaria, uscire dal territorio per andare in città a cercare forme di sostentamento, conviviamo con la paura  e il terrore, perché uccidono i leader sociali che osano alzare la voce e difendere il territorio” afferma Marylen rispetto alla presenza di attori armati legali ed illegali nel territorio.

 

 

Connettendo lotte tra donne della Minga ed altre organizzazioni sociali

In un contesto del genere la mobilitazione sociale acquisisce caratteristiche specifiche per le donne: “Le donne indigene hanno conquistato questo spazi in mezzo a mille difficoltà e sacrifici familiari”. Kelly ricorda che Alejandrina Pastor della ONIC, quando parla di Vásquez, sottolinea sempre le implicazioni sociali e familiari che questa donna indigena ha dovuto affrontare per diventare giornalista.  Efigenia era gioanalista, ma anche leader sociale indigena del popolo  Kokonuko, ed è stata uccisa dallo sqaudrone antisommossa della polizia nazionale della Colombia. “Non solamente si perdono delle vite, ma anche processi molto difficili da conquistare per le donne”.

In uno scenario caratterizzato da tanto dolore, si aggiungono l’esclusione dagli spazi di decisione e la poca attenzione rispetto alle sfide e alle necessità delle donne. Proprio per queste ragioni, si sono aperti spazi di organizzazione specifici delle donne, spiega Marylen: “Poter leggere il contesto che ci circonda e ci colpisce dal punto di vista specifico delle donne ci ha permesso riconoscere come nostro il diritto alla mobilitazione e alla partecipazione politica”

Marylen condivide anche alcuni aneddoti relativi alla sfida che ha rappresentato per le donne sostenere la mobilitazione della Minga per 27 lunghi giorni: “I molteplici compiti ed obblighi che abbiamo non ci permettono spesso la libertà di partecipare ed uscire da casa per tutto questo tempo. Per questo abbiamo dovuto organizzarci con dei turni, per stare tre o quattro giorni, e dopo altre ci sostituivano”.

 

“Non è stato facile, anzi è stato difficile. Ma comunque, siamo state presenti durante tutto il tempo, in mobilitazione, lavorando, cucinando, facendo i turni di guardia, partecipando agli spazi di discussione politica. Noi donne ce l’abbiamo messa tutta in questa Minga”.

 

Nonostante i movimenti sociali, e in questo scenario anche quello delle donne, stiano vivendo un periodo sulla difensiva, come segnala Angélica Beltrán della Confluencia de Mujeres para la Acción Pública quando afferma che “siamo passati da un ruolo da protagonisti ad una situazione in cui dobbiamo resistere all’offensiva del governo”, le ultime mobilitazioni hanno però mostrato una nuova capacità di aggregazione che coinvolge differenti settori, organizzazioni e propone nuove sfide politiche. “L’obiettivo è costruire uno spazio unitario dei movimenti sociali e popolari con sindacati, contadini e studenti” conclude Marylen.

La stessa cosa sta avvenendo nel movimento delle donne, secondo  Sandra Solano, anch’essa attivista della Confluencia. “Nel nostro paese il movimento delle donne è molto variegato, anche in relazione al femminismo, ma nonostante questo si sono creati vari scenari di unità e convergenza femminista, attorno alla difesa della pace e alla via di uscita politica e negoziata dal conflitto armato”.

 

Dal suo punto di vista, la sfida consiste nel “continuare a creare dibattito ed azioni a fronte del profondo avanzamento del modello neoliberale dopo gli accordi di pace con le FARC non rispettati dal governo e un crescente sterminio di leader sociali. E’ necessario riflettere sulle esperienze del passato e scommettere sul rafforzamento organizzativo delle donne nei territori, perché è la che si creanocontese quotidiane sulla giustizia, la possibilità di permenenza nei territori e la lotta per eliminare tutte le violenze che ci opprimono”.

 

Queste sfide hanno bisogno di tutto l’insieme di saperi accumulati dalle donne rispetto alla capacità di organizzarsi, come spiega ancora Angélica: “Le esperienze che stiamo vivendo sono capacità che si insediano nei territori, insegnamenti di grande valore che ci rafforzano per continuare ad agire affrontando ciò che accade nel paese e a livello regionale, dove non ci si ferma mai e le organizzazioni di donne continuiamo a seminare lavoro politico di base”.

Questo ciclo di mobilitazioni, incluso lo sciopero nazionale più grande mai realizzato dalle popolazioni indigene in Colombia, sicuramente continuerà ada andare avanti, così come la Minga, fino a trasformare le condizioni da cui sono nate le proteste, fino a quando non ci saranno terre disponibili da coltivare. Né le minacce nei territori contro i leader sociali delle organizzazioni contadine, indigene ed afro, né la parole del governo che criminalizzano le lotte per stigmatizzare le forme di resistenza, né il dolore né la disperazione sono stati sufficienti per frenare questa forza collettiva che si apprende in comune dalla mobilitazione unitaria.

Perché, come ha detto la leader afro del Cauca Rossa Mejía Caicedo “il territorio è vita, e l a vita non si vede, si ama e si difende”.

 

Articolo pubblicato su Revista Femminista AmazonasTraduzione a cura di Alioscia Castronovo per DINAMOpress.

Foto di copertina e prima foto dell’articolo: Juliana Ladròn de Guevara Seconda e terza foto: Confluencia de Mujeres.