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ITALIA

Dall’emergenza alla convergenza. Devastazione ambientale e lotte nella costiera toscana

Le fiamme divampano, la siccità prosciuga i fiumi, centinaia le vittime dell’ondata di caldo. La scorsa settimana ha avuto luogo la seconda edizione di Carsica, quattro giorni di campeggio climatico sulle Alpi apuane. Un’estate impegnata quella delle mobilitazioni climatiche ed ecologiste, alla ricerca di una convergenza reale e transnazionale con altri movimenti sociali e sindacali. La prima parte di un approfondimento sul tema

Mobilitazione contro l’estrattivismo nelle Alpi Apuane

Mentre scriviamo le colline della Versilia, appena sopra di noi, vanno a fuoco (circa 900 ettari); il caldo tropicale rende aridi i terreni in cui le fiamme divampano; la siccità prosciuga i fiumi dell’area circostante e complica ulteriormente gli interventi di contenimento del rogo. Pare che questa sarà l’estate più fresca dei prossimi vent’anni, ma già ora nella vicina Spagna, dove le temperature superano da giorni stabilmente i 40°, sono quasi un centinaio le vittime dell’ondata di caldo, dandoci un fosco presagio di quanto è prossimo ad accadere anche nel nostro paese. Intanto il governo italiano (nel frattempo dimissionario) e la Commissione europea insistono in nuovi accordi energetici intorno ai combustibili fossili, perseguendo gli interessi delle grandi compagnie energetiche, Eni e Snam in testa. Un’estate impegnata si preannuncia, anche, quella delle mobilitazioni climatiche ed ecologiste, alla ricerca di una convergenza reale e transnazionale con altri movimenti sociali e sindacali.

Da giovedì a domenica della scorsa settimana ha avuto luogo la seconda edizione di Carsica, quattro giorni di campeggio climatico organizzati dalla rete di Athamanta a Campocecina (Carrara), sulle Alpi apuane, che hanno visto la partecipazione di circa cinquecento persone e l’adesione di trenta realtà della provincia attive nella difesa del territorio.

Da Campocecina la vista sulle cave restituisce immediatamente l’entità della devastazione ambientale prodotta dalle attività estrattive del marmo. Alle assemblee e ai tavoli di lavoro dedicati ai temi centrali dell’agenda del movimento climatico – transizione energetica, crisi idrica, gestione dei rifiuti, agroecologia, mobilità sostenibile, pratiche di lotta – è seguita sabato pomeriggio una lunga marcia, che ha fatto irruzione in una delle tante cave attive sul territorio, per denunciare la devastazione dell’ambiente ad opera dell’industria. Quella artistica è stata la pratica di riappropriazione utilizzata durante la marcia e all’interno della cava, per ribaltare e rimandare al mittente le narrazioni e le mitologie che sfruttano la lavorazione artistica e creativa del marmo per giustificare la distruzione delle montagne, quando; in realtà, alla produzione artistica è destinato lo 0.5% dei minerali estratti in Apuane. Con gessi e matite colorate, le pareti bianche e scintillanti delle cave sono state sanzionate e decorate da scritte e disegni che inneggiano alla difesa dell’ambiente e del pianeta, e che rimandano all’alleanza con altre lotte ambientaliste e con le lotte femministe.

La distruzione della biodiversità del territorio apuano e l’impatto sul sistema acquifero sono letti in relazione alla precipitazione della crisi climatica e alla grave siccità in atto. Da un lato, la biodiversità è l’unica àncora di salvezza per la mitigazione dei cambiamenti climatici, e tale ricchezza non può essere sacrificata in nome dei profitti dell’impresa del marmo. Dall’altro, il sistema carsico apuano è la principale fonte d’acqua in Toscana, le polveri generate dalla lavorazione del marmo (marmettola) si infiltrano nelle falde acquifere, inquinando e cementificandole, mentre la crisi idrica rende ancor più urgente la tutela delle riserve d’acqua apuane. Lo sfruttamento minerario industriale non è oggi compatibile con le misure urgenti che la crisi climatica richiede, ed è questa prospettiva a connettere la lotta territoriale di Athamanta all’interno del movimento climatico globale.

Dal rapporto cave Legambiente si registrano oltre 165 cave attive e 510 dismesse nel territorio di Apuano, dove la produzione di carbonato di calcio e marmo ha raggiunto nel 2021 quota 3.137.933 tonnellate di materiale estratto.

Il dato merita un’analisi approfondita poiché il settore lapideo produce per il 94% carbonato di calcio – polvere di marmo – per il settore della chimica e solo il 6% di blocchi di marmo – per lo più destinati all’industria del lusso, di cui una parte ancor più minima alle tanto menzionate sculture marmoree. Le attività lavorative si dislocano su due livelli: estrazione in cava e lavorazione in piano, attività che contano rispettivamente la presenza di 1923 aziende, prevalentemente localizzate nella provincia di Massa-Carrara.

I lavoratori del settore sono scesi in sciopero, nei giorni prima di Carsica, per la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, a partire dalle temperature tropicali in cui erano costretti a lavorare, e per un più complessivo miglioramento delle condizioni di lavoro e il rinnovo del contratto provinciale nel settore lapideo.

Lo sciopero dei cavatori ha interrotto le attività per cinque giorni con blocchi sulle strade del marmo, coinvolgendo gran parte dei lavoratori. La vertenza ha ottenuto la riduzione della giornata di lavoro di un’ora nei due mesi più caldi dell’anno.

Un risultato che a primo impatto potrebbe far ben sperare, ma che si mostra insufficiente se si considerano i pochi centesimi di aumento ottenuti a fronte dell’aumento di profitti degli impresari del marmo che solo negli ultimi due anni sono cresciuti del 25%. Nelle contrattazioni tenute da CGIL-CISL-UIL non c’è segno di una valutazione sull’impatto ambientale delle attività di estrazione, non solo per quel che concerne la devastazione delle montagne e la produzione di detriti, ma anche per le conseguenze sulla sicurezza territoriale – dove polvere di marmo e detriti generano un’impermeabilizzazione del suolo che ha come diretta conseguenza l’aumento delle alluvioni.

Tra le voci critiche sulla vertenza troviamo quella dell’USB Massa – presente e coinvolta nell’organizzazione di Carsica – da tempo attiva sulla critica della contraddizione lavoro – ambiente: “I fatti avvenuti in questi giorni a Carrara ci dimostrano una cosa su tutte, che i nostri nemici non sono gli ambientalisti o i cavatori, ma i padroni delle cave che distruggono il territorio, mirano a fare sempre più profitto incuranti del domani, arroganti e spocchiosi, senza alcun piano a lungo termine e senza ridistribuire un centesimo dei soldi fatti sul sudore, sulle spalle e spesso purtroppo anche sul sangue di chi ogni giorno in cava ci lavora e della comunità tutta che subisce questo estrattivismo selvaggio.”

LU, Prov. di Lucca; MS, Prov. di Massa-Carrara; SP, Prov. di La Spezia
Fonte: “Bilancio di Sostenibilità di Settore 2019”; Confindustria Livorno e Massa-Carrara

Le giornate di Carsica hanno coinvolto l’Assemblea Ecologista Toscana, che nell’ultimo anno ha radunato le tante lotte ambientali e i movimenti climatici diffusi nel territorio regionale, e ha dialogato con collettivi sindacali a proposito della convergenza tra lotte eco- climatiche e lotte operaie.

L’assemblea conclusiva del campeggio si è per lo più confrontata sulle prossime mobilitazioni ecologiste. Hanno preso parola, tra gli altri: il collettivo di fabbrica Gkn, rilanciando una mobilitazione generale e generalizzata in autunno, contro i licenziamenti, la sterilizzazione dei salari, il carovita e lo scaricamento verso il basso (in bolletta) dei costi dell’energia, insistendo sulla saldatura tra le lotte sindacali in fabbrica e quelle ambientali sui territori; il movimento No Base né a Coltano né altrove; il sindacato di base Usb di Livorno, lanciando l’ipotesi di uno sciopero a Piombino contro l’installazione del rigassificatore; il movimento No Muos, riproponendo il campeggio dal 5 al 7 agosto a Niscemi e l’alleanza tra i movimenti antimilitaristi che si battono sui territori contro le basi militari; il Venice Climate Camp, che si terrà a Venezia dal 7 all’11 settembre.

L’assemblea si è data appuntamento a Torino, dal 25 al 29 luglio, dove in parallelo si terrà il Meeting Europeo di Fridays for future e il Climate Social Camp, che accoglierà migliaia di attivist* per il clima da tutta Europa, e anche delegazioni extraeuropee. Quelle di Torino saranno giornate fondamentali, per l’orizzonte transnazionale necessario dei movimenti climatici e per la partecipazione larga ed eterogenea che si preannuncia, comprensiva di molte esperienze ecologiste, femministe e sindacali che, dopo la pandemia, torneranno a incontrarsi o si incontreranno per la prima volta. Sono previsti dibattiti, workshop, assemblee plenarie, musica, socialità e infine una mobilitazione transnazionale nelle vie di Torino venerdì 29, (consulta qui il programma completo)

L’economia di guerra sui territori della costa toscana

Da Campocecina si può osservare la costa toscana, da Carrara fino alla Maremma, e prendere contatto con i molteplici luoghi di devastazione che la colpiscono. I due casi più recenti sono la costruzione di una base militare a Coltano, all’interno del parco naturale di Migliarino- San Rossore, e l’installazione di una nave rigassificatrice a Piombino: entrambe espressioni materiali e concrete di un’economia di guerra, di un’appropriazione violenta dei territori, senza il coinvolgimento delle comunità locali, e soprattutto di un’alterazione nociva degli ecosistemi di terra e di mare. La guerra si prepara a Coltano e la si mette a valore a Piombino: un piccolo tratto di costa ci restituisce la dimensione strutturale dell’economia di guerra, che organizza la produzione e la logistica delle armi, e ne valorizza i risultati attraverso l’apertura di nuove rotte commerciali. Ma entrambi i territori sono anche, alle prime battute, punti di insorgenza politica significativa, di un rifiuto ad accettare la prevalenza di interessi economici e militari su quelli della collettività.

L’emergenza climatica si manifesta in molteplici modi nella zona costiera toscana: da una parte ci sono le cause della crisi climatica in atto – estrattivismo, raffinazione petroli, stoccaggio di combustibili fossili ed industria chimica – e dall’altra le relative conseguenze – siccità, incendi, inquinamento e degradazione ambientale. Da qui è possibile tracciare una linea d’opposizione al cartello partitico che ha supportato Draghi e si prepara alla campagna elettorale.

In questi giorni il Presidente della Regione Eugenio Giani – in quota PD-CSX – ha dichiarato per ben due volte lo stato d’emergenza per situazioni di crisi ambientale locale. Il primo tema su cui è intervenuta l’amministrazione è quello della siccità. Monia Monni, assessora regionale all’ambiente della regione, ha dichiarato “Stiamo affrontando la peggior siccità degli ultimi 100 anni”. La siccità degli ultimi mesi ha causato la diminuzione delle riserve idropotabili, dei bacini d’acqua per il settore primario e della portata dei fiumi. In questa contingenza, le restrizioni all’accesso all’acqua per piccole e medie imprese e per i consumatori si mostrano come possibilità non remote. A far preoccupare sono le conseguenze: i cali dei livelli dei bacini del fiume Serchio e dello stesso Arno e la produzione agricola in Toscana quest’anno è ridotta del 30%.

L’emergenza incendi è l’altra grande conseguenza della siccità di quest’anno. In questi giorni, la zona tra Massarosa (LU), Vecchiano (PI) e Camaiore (LU) è colpita da uno dei maggiori incendi mai registrati su questi territori. L’incendio, divampato nella giornata di lunedì, ha già bruciato oltre 900 ettari di vegetazione, in parte boschiva e in parte olivete. Le temperature massime da record registrate in queste settimane – oltre i 34° giornalieri –, i venti e il terreno arido non stanno aiutando volontari e Vigili del Fuoco a domare le fiamme. Dopo quattro giorni di incendio, il presidente della regione Eugenio Giani ha dichiarato lo stato d’emergenza su questo fronte.

Queste non sono che due  congiunturali e manifeste conseguenze della crisi climatica in corso. Da qui la necessità di centrare lo sguardo sulle cause strutturali dell’attuale crisi, sul lungo processo che l’ha prodotta. Il litorale centro-settentrionale toscano mostra territori in cui aziende strategiche, multinazionali, progetti di sicurezza energetica nazionale ed istituzioni realizzano quello che potremmo definire come modo di produzione e gestione dell’emergenza climatica.

I macro-nodi di Livorno e Piombino sono cruciali per i piani di sicurezza energetica nazionale. Su Piombino è lo stesso Mario Draghi a fornirci la posizione più esplicita sul tema, definendo il progetto per l’installazione del rigassificatore SNAM a Piombino come un’opera essenziale e dando indicazioni sul clima politico-sociale in cui devono procedere i lavori: «Non è possibile affermare di volere la sicurezza energetica degli italiani e poi, allo stesso tempo, protestare contro queste infrastrutture».

Il progetto di SNAM e Governo, attuato dal Presidente della Regione Giani nelle vesti di commissario straordinario dell’opera, serve per aumentare e diversificare la capacità di approvvigionamento di GNL – gas naturale liquefatto – delle aziende energetiche operanti sul suolo italiano. La scelta del territorio di Piombino, di fronte al Parco dell’Arcipelago, da parte delle istituzioni è avvenuta in modo non democratico, senza consultazione né della popolazione né degli enti locali: le discussioni sono state possibili solo nei tavoli chiusi tra commissario straordinario, Governo e aziende coinvolte nel progetto.

In una città come Piombino, segnata dalla dismissione delle acciaierie e dell’indotto e da una forte crisi occupazionale, il mercato del lavoro si è stabilizzato su servizi, turismo, trasporto marittimo verso l’arcipelago toscano e settore ittico. Il progetto del rigassificatore porterebbe ad un ridimensionamento degli ultimi due settori elencati: l’attracco della nave rigassificatore Golar Tundra – delle dimensioni di oltre 300mt di lunghezza e circa 50mt di larghezza – ridurrà drasticamente le tratte marittime e impoverirà il settore ittico, ridimensionando le zone di pesca e creando stravolgimenti nell’ecosistema marino a causa delle emissioni di cloro, delle perdite di GNL e dell’abbassamento della temperatura marina. Il progetto fa paura alla popolazione: la nave sarà installata a soli 200 metri dalla costa, le perdite di gas e il rischio di incidenti minacciano la salute e la sicurezza di cittadini.

Molti residenti della zona si sono organizzati per dar vita ad un’opposizione popolare e di piazza al rigassificatore. Nelle scorse settimane ci sono stati blocchi stradali sporadici da parte di gruppi di cittadini, camminate di protesta sulle strisce pedonali per bloccare le arterie del porto e in ultimo una grande manifestazione spontanea organizzata il 16 luglio contro la grande opera, le promesse vane di Giani e l’operato del Governo Draghi. Fuori dai palazzi, il progetto ha dato vita ad un’opposizione trasversale, dalle proteste di Confindustria e Confcommercio a quelle dei comitati delle ex acciaierie dismesse, lavoratori acciaierie Jindal ed USB Piombino, fino a ragazzi degli istituti superiori della città.

L’installazione di due nuovi rigassificatori a Piombino e a Ravenna si iscrive nella strategia italiana ed europea di diversificazione energetica, di cui la rigassificazione sarà uno dei pilastri. La scelta appare piuttosto immotivata, non a caso ha generato tante proteste, se si tiene conto che i tre rigassificatori attivi (La spezia, Rovigo e Livorno) sono sotto utilizzati, funzionanti solo al 26%, e potrebbero essere potenziati in luogo di nuove installazioni.

Inoltre, il GNL è più semplice da trasportare, senza gasdotti, ma anche molto più costoso, nonché assai impattante sulla salute dei territori, poiché i passaggi da stato gassoso a stato liquido e viceversa utilizzano l’acqua marina alterandone la temperatura. Gli Stati Uniti hanno messo sul piatto dell’Europa 15 miliardi di metri cubi di gas liquefatto nell’immediato, destinati ad aumentare fino a 50 entro il 2030. D’altronde, gli Stati Uniti covano da tempo l’idea di sostituire il loro gas liquefatto a quello russo nei mercati europei, e di rinsaldare l’unità occidentale con un’Europa che aveva guardato troppo a Est negli ultimi anni.

L’unico confronto tra commissario straordinario ed enti locali è avvenuto a Piombino in sede di consiglio comunale. Qui Giani ha trasmesso la sua informativa sul rigassificatore incassando interventi di opposizione al progetto dall’amministrazione a trazione Fratelli d’Italia e da tutte le forze politiche rappresentate in comune. Nonostante le molteplici opposizioni e la vana assicurazione del commissario straordinario sulla natura temporanea del progetto – 3 anni di installazione nel porto – l’installazione del rigassificatore non ha visto passi indietro. L’autorizzazione a procedere sul progetto è stata confermata dal DL 50/2022, art.5 tramutato in legge il 17 luglio, lasciando ampi spazi di manovra a SNAM per l’acquisizione del progetto sul Golfo di Piombino per i successivi 22 anni di concessione.

Sul tratto di costa livornese, come detto, un rigassificatore c’è già, a 22km dalla costa. Il terminal OLT offshore, di proprietà SNAM e Sentier Investors, è attivo dal luglio 2013 e ha una capacità annuale di stoccaggio di 5mld di metri cubi di gas. Il progetto ha caratteristiche del tutto diverse da quello previsto a Piombino, sia per ragioni di sicurezza – collocazione a 22km dalla costa – sia per quel che riguarda le rotte del gas intercettate – principalmente provenienti dalla penisola iberica.

Il terminal è parte di un’ecologia economica territoriale incentrata sullo stoccaggio, raffinazione ed immissione nella rete energetica nazionale dei combustibili fossili. Altri nodi di primaria rilevanza sono quelli della darsena petroli nel porto commerciale di Livorno, l’impianto di raffinazione di Stagno e di rigassificazione a Collesalvetti – queste ultime due sottoposte a regime giuridico speciale in quanto Siti d’interesse nazionale.

Non sono poche le problematiche presenti sul territorio dal punto di vista ambientale. Il tratto di zona costiera e i collegati impianti di raffinazione e distribuzione sono una piaga per il territorio, basti pensare ai casi di dispersione di gas nelle navi petroliere adibite al trasporto di chimici ed idrocarburi. La situazione è ancor più grave nell’entroterra, nel comune di Collesalvetti e nella zona di Stagno. Medicina Democratica da tempo monitora i dati anomali di tumori registrati in questo comune, restituendo la tragicità della situazione: l’incidenza di tumori alla mammella e al colon è del 20% maggiore rispetto alla media della regione Toscana, i casi di malformazione congenite sono superiori dell 11% rispetto alla media regionale. A questo fanno seguito i mancati interventi di bonifica – pari al 5% dei terreni e lo 0% delle falde, dati MITE – che hanno spinto le associazioni di Medicina Democratica, Greenpeace e Pro Natura a presentare un esposto alla procura di Livorno contro ENI.

Foto di @catwithanicecamera