ROMA

CasaPound: è odio razziale, non occupazione abusiva

Mentre si dibatte del potenziale sgombero di un’occupazione abusiva, l’attenzione dovrebbe essere invece centrata su ciò che le reti sociali denunciano da tempo: ovvero che che uno spazio pubblico non può essere a disposizione di un gruppo di razzisti, fascisti e violenti

Non sappiamo chi abbia fatto trapelare ieri la notizia della notifica del sequestro preventivo (non di uno sgombero, la differenza è importante) dello stabile occupato da CasaPound in via Napoleone III. Quel che è certo è che la confusione comunicativa che ne è seguita, con la sindaca Virginia Raggi e autorevoli esponenti del M5S e del PD partiti all’inseguimento per intestarsi il merito, non ha aiutato a capire cosa stesse accadendo. Oggi ci ha pensato la Procura a fare chiarezza: all’interno di un’indagine per occupazione abusiva e istigazione all’odio razziale che vede coinvolti i vertici del movimento neofascista, la Procura di Roma ha chiesto e ottenuto il sequestro dell’immobile. Mentre il dibattito pubblico è tutto concentrato sulla marginale questione dell’occupazione abusiva, non si discute di quello che la società civile e le reti antifasciste e antirazziste denunciano da tempo: CasaPound, al pari di altri gruppi dell’estrema destra italiana, promuove attivamente campagne razziste che spesso e volentieri sfociano in violenza. A Roma è successo lo scorso anno a Torre Maura e Casal Bruciato, nei mesi precedenti a Tiburtino III e Ostia.

Il fatto che ci sia ora un’indagine che ne parli non prova nulla in particolare, né se ci sarà o meno un processo o una condanna, quello che è importante è che nel dibattito pubblico avvelenato è un’occasione in più per chiamare le cose con il loro nome: per esempio, che il razzismo è razzismo e non «la rabbia dell’esasperazione delle periferie abbandonate.

 

Non concentrarci su questo aspetto della notizia, mentre gli Stati Uniti sono attraversati da un’ondata di rivolta forse senza precedenti contro il suprematismo bianco e gli effetti del razzismo di stato e gli “ANTIFA” sono il nemico pubblico numero per la sicurezza interna per il Presidente Donald Trump, vorrebbe dire non cogliere il punto.

 

Invece la sindaca Virginia Raggi, seguita di gran carriera dal centrosinistra, corre a intestarsi il merito di un potenziale sgombero di CasaPound ancor prima che questo avvenga come un risultato da spendere nella lunga campagna elettorale romana. Il punto, lo ha ribadito lei stessa, è il ripristino della legalità. Una dichiarazione che apre scenari preoccupanti sulla ripresa di una stagione degli sgomberi, valutando allo stesso modo l’occupazione di CasaPound con quelle del movimento per il diritto all’abitare o gli spazi sociali. Se l’unico metro di giudizio è la legalità, d’altronde, le dichiarazioni di Raggi sono perfettamente coerenti: «Se procederemo in modo “bipartisan” sugli sgomberi? C’è un elenco che ha la Prefettura, che procede secondo il criterio degli immobili pericolanti o dei provvedimenti di sgombero. In questo caso la Procura si è mossa: noi diamo assistenza per assistere le fragilità che non hanno colore politico».
 

La sindaca di Roma, invece, dovrebbe avere il coraggio di dire che uno spazio pubblico non può essere a disposizione di un gruppo di razzisti e violenti e che questo non ha nulla a che fare con le occupazioni, che rappresentano invece una risposta sociale e organizzazione politica degli ultimi di questa città.

 
L’uguale distanza a cui fanno cenno i grillini, del resto, sembra una variante tardiva del peggior veltronismo. Quello che a parole voleva riconciliare gli opposti estremismi e nei fatti – attraverso intitolazioni di strade a neofascisti, assegnazioni stile Foro 753 e delibere sull’emergenza abitativa come la 206/2007, che inserì Casapound tra gli occupanti per necessità – ha aperto spazi a quella estrema destra che ha solo alimentato violenza e guerra tra poveri nelle strade della Capitale.
Non tutto è uguale a tutto. Gli antifascisti non sono uguali ai fascisti. E questa non è certo una questione di legalità.