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ITALIA

Il «buonsenso» di Salvini è una montagna di bugie

La macchina che non si ferma al posto di blocco, la manovra che mette a rischio la vita dei finanzieri e le toghe che si devono dimettere e candidare. Tre nuovi mattoncini della realtà immaginata che Salvini dà in pasto ai suoi follower

La fortuna politica del vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini è stata costruita in questi anni anche grazie a una grande capacità comunicativa e di utilizzo dei social network. I discorsi del leader della Lega tendono ad adottare un registro narrativo che molti ritengono improntato al «buonsenso». In questo caso, però, la parola non è da riferire a una capacità di giudicare correttamente la realtà e analizzarla. Al contrario, rimanda semplicemente all’utilizzo di parole, metafore e concetti che permeano con efficacia e rapidità il senso comune e il dibattito pubblico, rimbalzando poi nelle discussioni fisiche e virtuali.

Salvini ha indubbiamente una grande abilità nell’utilizzo di questo tipo di registro, che si sta dimostrando particolarmente efficace nell’attuale congiuntura dell’infosfera. In ogni caso, efficacia non coincide automaticamente con verità. Anzi, gli elementi del discorso salviniano sono spesso spudoratamente falsi, tendenziosi e strumentali. Non si tratta di una grande novità, soprattutto per quanto riguarda il mondo della politica.

La sera stessa e il giorno successivo al pronunciamento della giudice per le indagini preliminari di Agrigento, il ministro dell’Interno si è rivolto al suo «popolo» via Facebook, come da consuetudine. Anche in questo caso si è servito di alcuni elementi di apparente «buonsenso», che un po’ circolavano già in rete e un po’ sono stati introdotti, o quantomeno potenziati, proprio dalle sue dirette (la prima è stata vista da oltre un milione di persone, la seconda da circa la metà).

Vediamone tre.

LA MACCHINA CHE NON SI FERMA AL POSTO DI BLOCCO

In un articolo pubblicato ieri abbiamo già mostrato quanto impropria sia la metafora secondo cui il comportamento della comandante di Sea Watch 3 Carola Rackete è da assimilare a quello del conducente di una macchina che non si ferma a un posto di blocco. Il sotto testo di questa metafora è che il comune cittadino sarebbe sicuramente tratto in arresto mentre la «ricca fuorilegge tedesca», protetta da chi sa chi, è scagionata da ogni accusa «con una pacca sulle spalle». Una metafora aderente alla realtà delle vicende che hanno coinvolto Rackete e i naufraghi andrebbe però riadattata e arricchita di dettagli rispetto a quella presentata da Salvini.

Potrebbe essere così: immaginate di trovarvi alla guida di un’ambulanza; di aver salvato quindici giorni prima 53 persone come voi – con due occhi, un naso, una bocca, dei parenti, degli amici – dopo un incidente stradale in mezzo al deserto mentre tentavano di fuggire da un luogo in cui erano state rapite e sottoposte per mesi a torture di ogni tipo; di aver avvertito l’ospedale più vicino e le forze dell’ordine del prossimo arrivo dei feriti, chiedendo indicazioni sul da farsi. Pensate adesso che le autorità, invece di fornirvi immediatamente aiuto, schierino delle volanti della guardia di finanza per impedirvi il passaggio. Voi vi fermate ma continuate a chiedere di avanzare, perché le persone che trasportate hanno bisogno di raggiungere l’ospedale. Le forze dell’ordine, invece, vi comunicano soltanto di non superare un certo incrocio e rimanere a distanza. Così, dopo alcuni giorni riaccendete il motore e superate l’incrocio. Arrivate davanti all’ospedale, adesso lo potete vedere, voi e i feriti. Chiedete di parcheggiare per farli scendere, invece le volanti della guardia di finanza si mettono davanti e vi sbarrano la strada. Solo allora decidete di ripartire, a velocità bassissima e dopo averlo comunicato, in direzione della porta dell’ospedale, mentre una volante continua a mettersi in mezzo perfino mentre state parcheggiando.

Vista così, la questione è un po’ diversa. È solo per questo che la giudice Alessandra Vella ha stabilito che il reato di resistenza compiuto da Carola Rackete non è da considerarsi tale per via di una «scriminante», cioè di un’eccezione giuridica, conseguente dall’obbligo di salvare vite umane. Obbligo previsto dalle fonti più alte del diritto, dalla Costituzione ai trattati internazionali, a cui fortunatamente i decretini di Salvini e le azioni illegittime delle forze dell’ordine non possono che essere subordinati. Non fosse così non esisterebbe lo stato di diritto e governi e forze di polizia poterebbero agire in base all’arbitrio del momento.

Davvero vorreste vivere in un Paese in cui qualsiasi agente ha il diritto di bloccarvi e tenervi fermi mentre trasportate un genitore o un figlio ferito in ospedale? Davvero pensate che un ministro che pretende di arrogarsi il diritto di comandare per decreto ciò che serve alla sua propaganda politica stia facendo gli interessi degli italiani?

LA MANOVRA CHE METTE A RISCHIO LA VITA DI CINQUE FINANZIERI

Il ministro dell’Interno è tornato più volte su questo punto, evidentemente interessato a solleticare la rabbia del suo pubblico contro la donna che ha salvato 53 migranti. «Tanta attenzione per la vita e poi mette a rischio quella di cinque ragazzi che stanno lavorando per difendere i confini italiani», ha detto Salvini. Ammesso e non concesso che la vita dei finanzieri sia stata messa a rischio per davvero, del resto il Gip lo ha escluso, sarebbe da capire perché durante una manovra d’attracco di una nave imponente la piccola unità della Gdf ha deciso di mettersi tra la banchina e quel colosso da 600 tonnellate. La manovra era stata ampiamente comunicata e come sempre in questi casi presentava delle cartteristiche tecniche ben conosciute da chi è pratico di imbarcazioni.

Una su tutte è spiegata in questo post. Con termine tecnico si chiama «abbrivio». Il vocabolario Treccani lo definisce come «la quantità di moto che la nave o il veicolo ha nel momento in cui cessa l’azione dei mezzi propulsivi». In parole povere quando vengono spenti i motori di una nave quella continua inesorabilmente a muoversi anche per diversi chilometri e fuori da ogni possibilità di controllo umano. Anche per questo una manovra d’attracco, cioè l’accostamento laterale a una banchina, è terribilmente complicata. Soprattutto con una nave della stazza della Sea Watch 3.

Il gesto della piccola barca della Gdf, quindi, è da ritenersi completamente folle. Senza voler insinuare che i militari abbiano volontariamente deciso di mettersi in pericolo per poi contestare alla comandante Rackete il presunto reato, sarebbe utile capire a quale ordine rispondeva quella frapposizione. Se davvero i finanzieri hanno rischiato la vita, allora, la responsabilità andrebbe cercata tra chi ha comandato di fermare l’imbarcazione della Ong a ogni costo.

LE TOGHE CHE FANNO POLITICA

«Se qualche giudice vuole andare contro la legge si tolga la toga, si candidi, vinca le elezioni e approvi quello che vuole. Siamo in democrazia!» continua a ripetere incessantemente un Matteo inusualmente paonazzo, gonfio e con le occhiaie. Delle diverse affermazioni questa è certamente la più paradossale, almeno per due motivi.

Primo. Le democrazie costituzionali uscite fuori dal dramma della seconda guerra mondiale in cui fascisti e nazisti hanno trascinato centinaia di milioni di persone sono fondate su un nucleo di diritti fondamentali che nessuna presunta volontà popolare, né tantomeno i governi possono intaccare. Questi diritti indisponibili sono custoditi dalla legge fondamentale dello stato, cioè la costituzione, a cui tutte le altre devono adeguarsi. Il Gip non ha voluto cambiare nessuna legge, ha semplicemente stabilito che la protezione della vita umana viene prima di qualsiasi pretesa di controllo dei confini e di sovranità statale.

Secondo. L’invito ai giudici di lasciare la magistratura e candidarsi alla guida del paese può essere facilmente invertito di segno. Se Salvini invece di esercitare il potere esecutivo attraverso il governo e quello legislativo attraverso la maggioranza parlamentare vuole dilettarsi con quello giudiziario può dimettersi da ministro dell’Interno, iscriversi (finalmente) all’università, studiare per almeno cinque anni giurisprudenza, superare tutti gli esami necessari, diventare avvocato, iscriversi alla relativa scuola di specializzazione, attendere l’indizione del concorso per magistrati e poi prenderci parte. A quel punto, se lo supera, sarà nella posizione di firmare ordinanze ed emettere sentenze.

Se invece il ministro dell’Interno, oltre ai due poteri già citati, vuole esercitare contemporaneamente anche quello giudiziario, invece dei libri di diritto dovrebbe aprire quelli di storia. Lui e tutti i suoi follower. Salvini per vedere com’è finito l’ultimo che ha provato a farlo, i suoi seguaci per studiare quali sofferenze sono state inflitte al tanto acclamato «popolo» in nome della caccia ai diversi e agli stranieri.