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MOVIMENTO

Che bella “rivoluzione”: oggi siamo tutti soli

Siamo alla fine degli anni ’80 e Fachinelli si interroga sulla rivoluzione sessuale e i suoi esiti in un momento in cui a battere è il tempo della controrivoluzione. La famiglia sembra reintegrata e chi aveva provato a costruire nuove istituzioni amorose rimane isolato e imballato in una nuova (posticcia) figura, quella del/della single. Ma la logica del desiderio ha la stessa movenza dei cristalli liquidi, e forse in queste nuove solitudini saprà trovare forme e concrezioni inedite

Il mutamento dei costumi sessuali in Occidente (per favore, non la “rivoluzione”) comincia molto tempo fa, forse all’epoca di Abelardo ed Eloisa. Ma per limitarci agli ultimi vent’anni in Italia, sentiamo e sappiamo che ci sono notevoli differenze fra i settanta e gli ottanta. Gli anni settanta si muovono, ondeggiano e fluttuano, si aprono dappertutto a tentativi di uscire dalla famiglia, di far fuori la famiglia, l’esecrata famiglia. C’è una specie di diffusa fobia per questa istituzione, vista come luogo chiuso, coatto, defecatorio.

 

Ed ecco allora gruppi di affinità, di simpatia, di bizzarria o anche soltanto di intolleranza per gli altri, che vanno avanti per un po’, poi si dissolvono, spariscono per ricomparire eventualmente un po’ più in là.

 

Somigliano a quelle strutture chiamate cristalli liquidi, una bella contraddizione a pensarci, ordinamenti fluidi, eppure aguzzi, e taglienti per molti (è il momento fourierista dell’epoca, la ricerca e la pratica di nuove armonie e disarmonie amorose) e subito dopo autodissolti, svaniti, introvabili.

Dove siete finiti? Siete falliti, non è vero? Così dice la voce, quella che suona più alta, degli anni ottanta. Ma altre voci mormorano: non c’è fallimento, né scacco, non può esserci, dal momento che quelli lì andavano secondo un altro ritmo, seguivano un’altra logica, piuttosto enigmatica, a volte tragica, quella del desiderio, o della libertà (chi ha mai detto che la libertà sia facile?). E alla fine si sono dissolti in ciò che è venuto dopo, pronti a ricristallizzarsi in un momento chissà dove chissà quando. Anche con l’Aids, nuova cintura di castità, ombrello sanitario, castigo degli infedeli. «Va’, va’, povero untorello, non sarai tu che schianterai Metropoli».[1] E anche nella reintegrata famiglia reaganiana, che si vuole a guscio pieno, non vuoto, muro solido, non friabile, e che a guardarla da vicino è invece piuttosto spesso una riunione di single che stanno lì soprattutto per i figli.

Ed ecco i single, appunto, parola abbastanza nuova, però quasi un emblema, che contrassegna tanti tipi strani, diversi, spesso infelici (ma chi ha mai detto che la felicità del sesso stia in quell’idiota sorriso di redenzione che aleggia sui volti dei «liberati sessuali»?).

 

Tanti tipi diversi uniti forse dall’essere eredi non testamentari, o continuatori casuali, ricercatori extrafamiliari degli anni settanta che scoprivano amori fantastici, irregolari, anche un po’ impossibili.

 

Amori abbastanza vicini a quelli che albeggiano oggi dalle videocassette nelle camere dei single, prima di dormire o di vegliare; amori di sogno, o d’occasione, o di crociera immaginaria, insomma amori di solitudini comuni, come quelli delle comunità solitarie sparite nel vuoto verso la fine degli anni settanta.

 

L’Espresso, n. 14, 12 aprile 1987.

[1] Nei Promessi sposi dice il monatto a Renzo prendendolo per un untore: «Va’, va’, povero untorello […] non sarai tu quello che spianti Milano».