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MONDO

American Midterm 2/ La sinistra americana nell’era Trump

Quale è stata la risposta della sinistra americana e dei movimenti in questo primo anno e mezzo di amministrazione Trump? Dalla fase 2 dell’esperimento di Bernie Sanders ad Alexandria Ocasio-Cortéz a Elizabeth Warren tutte le nuove esperienze di resistenza della nuova sinistra americana. La seconda parte dell’intervista a Bruno Cartosio sulle prossime elezioni di midterm

Quanto è importante il processo di de-industrializzazione che ha caratterizzato l’economia americana degli ultimi decenni per comprendere il destino della sinistra americana oggi?

L’esportazione dei luoghi di lavoro al di fuori dei confini degli Stati Uniti (e prima al loro interno, verso gli stati che erano già right-to-work, cioè gli stati del Sud) ha avuto due obiettivi: distruggere il sindacato, spostando il lavoro dove il sindacato non c’è e garantendosi l’impossibilità del sindacato di entrare nelle strutture produttive; abbattere il costo del lavoro (riduzione delle dimensioni d’impresa; processi di re-engineering, cioè di ristrutturazione tecnologica; riduzione della dimensione della massa operaia in modo da limitarne la capacità di aggregazione e, in questo modo, abbassare il costo del lavoro). I livelli salariali del 1978-1979 non sono più stati raggiunti per tutti gli anni fino a oggi. C’è stato un attacco anti-operaio e anti-sindacale assolutamente brutale.

 

 

In questa situazione il rapporto tra lavoratore e rappresentanze sindacali è ovviamente saltato, anche perché le quote sindacali che vengono trattenute ai lavoratori statunitensi in busta paga sono molto più alte rispetto a quelle italiane. Inoltre, se uno non lavora, oltre a non avere i soldi per pagare le quote, non ha nemmeno affiliazioni sindacali. A che sindacato si iscrive un disoccupato?

 

Come si è posto il Partito Democratico all’interno di questa trasformazione?

Il Partito Democratico ha sempre avuto al suo interno, dagli anni Quaranta in avanti, componenti diverse: il successo di Bill Clinton è stato quello di spostare il baricentro del Partito Democratico, aggregando a centro-destra anche le componenti di sinistra. Allo stesso modo la terza via di Blair ha spostato a destra il Partito laburista (e in Italia è stato il centro-sinistra a spostarsi a destra). Negli anni Novanta i sindacati si sono illusi che Bill Clinton avrebbe finalmente riformato a loro favore la legge sui rapporti sindacali. Ma così non è stato, anzi. Le forze di sinistra ancora presenti nel Partito democratico e dei sindacati sono state isolate, e quelle comunque presenti nella società sono rimaste del tutto minoritarie, marginali.

 

 

E la sinistra intellettuale?

Negli Stati Uniti esiste una sinistra di alto livello intellettuale, benché chiusa nelle cittadelle accademiche. La sinistra accademica negli Stati Uniti ha una grande capacità di analisi, elaborazione e presentazione dei contenuti, ma il suo rapporto con le basi sociali della società e del mondo del lavoro – con poche eccezioni – è quasi inesistente. È una contraddizione profonda. Non dipende solo dagli intellettuali: la de-culturazione e la de-politicizzazione, la crisi della comunicazione tradizionale hanno inciso pesantemente. Inoltre, la sinistra accademica è stata sempre in questi decenni oggetto di attacchi: è stata definita radical-chic, i “sinistri col cucchiaino d’argento” …

 

Ci sono siti web che invitano a segnalare i docenti socialisti. Alcuni casi sono finiti persino in tribunale…

… Si, e hanno portato anche al licenziamento di alcuni docenti. C’è stato un attacco violento nei confronti di questa sinistra intellettuale politicamente isolata. Anche da parte delle università, in realtà; poi però le grandi università hanno una politica molto precisa di token leftist: se ci sono 10 docenti, dobbiamo essere sicuri di averne uno o due che sono leftist, in modo che nessuno possa dirci che discriminiamo. Tutte le grandi università lavorano in questo modo. È un po’ diverso a livello dei community college in cui prendono un po’ quello che capita. Lì c’è un rapporto diverso con la base sociale. Ma i community college non contano niente, eppure sono un luogo dove c’è qualche rapporto in più con la società, qualche presenza in più dei docenti nelle alle iniziative locali in difesa dell’ambiente o in difesa dal lavoro.

 

 

Questo è il problema della sinistra negli Stati Uniti. Il Partito Democratico non è un partito di sinistra. Prima era un partito prevalentemente di centro; Bill Clinton ne ha fatto un partito centrista e opportunista che si è spostato sempre più a destra, in corrispondenza con lo spostamento a destra della società. Finché è durato il compromesso newdealista – cioè riconoscimento dell’importanza sociale e del ruolo sociale del sindacato e l’interlocuzione tra partito, stato e sindacato – le cose funzionavano: la produttività cresceva e con essa i salari. Quando questo compromesso è crollato di fronte all’attacco neoliberista è scattato il “si salvi chi può”. E il Partito Democratico è stato costretto a difendersi in un contesto in cui essere di sinistra, salvo che in alcune situazioni (perché non è mai un quadro uniforme), era uno svantaggio politico. Per fortuna, anche ora, dopo Trump, ci sono fenomeni di reazione, come quelli messi in moto da tutti quei movimenti di cui parlavamo prima, per cui in alcuni singole situazioni il candidato di sinistra, magari proprio il candidato che aveva partecipato alle mobilitazioni per Bernie Sanders, riesce a prevalere. Come è accaduto a New York con Alexandria Ocasio-Cortéz o con Elizabeth Warren in Massachusetts. Questi fenomeni testimoniano che dove gli elementi di protesta sociale riescono a saldarsi e a comunicare tra loro c’è un risultato e una capacità di mobilitazione che si trasferisce anche nel voto e diventa pressione sulle forze istituzionali.

 

Prima dicevi che non c’è un punto di generalizzazione tra Black Lives Matter e lotte delle donne o le lotte sull’ambiente. Come giudichi allora la campagna di Bernie Sanders: avrebbe potuto essere (o potrà essere) un parziale luogo di condensazione di queste esperienze di sinistra diffusa? Questo processo potrà avere la massa critica sufficiente per spostare gli equilibri all’interno del Partito Democratico? Perché l’impressione che abbiamo avuto vedendo la campagna per le primarie di Sanders è quella di un fenomeno impressionante dal punto di vista numerico.

Sanders potrà continuare a fare quello che sta facendo ancora per qualche anno ma non sarà più lui il candidato perché ormai è troppo vecchio. Alcuni lo hanno criticato non perché era troppo di sinistra, ma per il fatto che non si rivolgeva specificamente ed esplicitamente ai chicanos, agli ispanici, ai neri, agli asiatico-americani, alle donne, alle persone LGBTQ… e questo creava scontento. «Ma come? Tu ci trascuri!». In realtà il senso dell’operazione di Sanders era di fare un discorso di carattere generale proprio in funzione di una ricomposizione sociale, cioè di riportare la politica alla sua capacità di raccogliere in un ventaglio tutte le diverse istanze, convogliandole verso un programma generale di equità sociale, di giustizia sociale, di non razzismo, di rispetto per le minoranze, ecc.

 

 

Lui ha cercato di farlo evitando di rivolgersi e di dare valore alle singole identità una per volta e separatamente e questa operazione – che è stata capita solo fino a un certo punto – ha rappresentato la parte più interessante del movimento di Sanders. Non è un caso che sia stata compresa da una parte dagli intellettuali ragionanti e dall’altra dai giovani, quelli che non hanno un retroterra politico o sindacale che li condiziona, e che non hanno su di sé il peso delle divisioni e della frammentazione (o meglio, non sentono ancora il peso della frammentazione). Però è stato importante, ed è importante che continui, così come era stato importante Occupy Wall Street. Quest’ultimo movimento, anche se è durato solo 3 mesi, ha costretto tutti a parlare di disuguaglianze. Ed è in un certo senso a partire da questo tema di carattere sociale – che fu un punto centrale anche del discorso di Obama – che è andato avanti Sanders e non è da che è andata avanti Hillary Clinton. Ora, Sanders avrebbe potuto vincere? Io non credo. In questa situazione non credo che avrebbe potuto vincere. (E però, comunque, non va dimenticato che Hillary Clinton ha preso comunque 3 milioni di voti più di Trump e che c’è un sistema elettorale folle per cui, per la seconda volta in 15 anni, vince il candidato che prende meno voti.)

 

 

Mi chiedo se, non dismettendo tutti i comitati che avevano costruito la sua candidatura anche per il midterm e anche per la prossime presidenziali, Sanders possa far sì che quello che ha fatto Alexandria Ocasio-Cortéz nel Queens e nel Bronx possa avvenire anche a livello nazionale.

Queste elezioni di novembre saranno una prova decisiva, perché tutte le situazioni in cui si è votato in questi ultimi mesi sono andate a favore di candidati di una sinistra che tende a raccogliere e a unificare. Bisogna vedere se queste elezioni ridaranno una maggioranza ai candidati democratici che vanno in questa direzione. In tal caso si aprirebbe una prospettiva interessante. Se il risultato non sarà così, di nuovo ci sarà una fase di ricaduta, di arretramento e di ancora maggiore difficoltà. Sempre che nel frattempo Trump, in mezzo a tutto quello che fa e che ha fatto, non dia delle buoni ragioni per votare contro di lui. Aggiungo, tra queste buone ragioni, tutte quelle promesse di protezione che saranno ovviamente destinate a fallire. Perché, se anche se dal punto di vista propagandistico queste misure protezionistiche fingono di garantire una protezione del lavoro, se non arriva l’acciaio in un paese che non ne produce più a sufficienza i risultati saranno disastrosi. Gli Stati Uniti non possono mettersi di nuovo a produrre acciaio, perché le acciaierie ormai sono state chiuse.

 

Il protezionismo va nei due sensi…

Tu proteggi qualcosa che sei in grado di produrre. Se i pneumatici vengono prodotti al di fuori degli Stati Uniti, i dazi non offrono una grande protezione alla gente di Akron, dove ormai le industrie di pneumatici sono chiuse. La protezione del settore dell’hi-tech funziona soltanto a favore dei dirigenti e di quelli che guadagnano un sacco di soldi, ma non a favore di quelle industrie e di quegli operai che non producono più per l’hi-tech. Alla fine, nel giro di un anno, due o tre, la gente constaterà che Trump non ha fatto quello che prometteva di fare. E quindi non voterà più per lui.

 

Si potrebbe dunque aprire uno spazio per un nuova ricomposizione sociale a sinistra?

La proposta di Sanders puntava a ridurre l’incidenza della politica identitaria a favore di una ricomposizione più generale. Se questo va avanti, potrebbe diventare anche una proposta politica per le sinistre in crisi dei paesi europei avanzati, in cui le sinistre sono in crisi e dove quasi tutte queste componenti sociali sono presenti, ma dove le sinistre europee hanno perso credibilità. Se dagli Stati Uniti arriva una proposta credibile di ricomposizione – anche qui in Italia, dove si sta cercando una via d’uscita dalla crisi – potrebbe contribuire a mettere insieme una sinistra che non può più essere la sinistra culturalmente marcata secondo le linee che la gente della mia età ha attraversato e che hanno lambito le unghie dei vostri piedi… ma non quelli dei ragazzi che hanno vent’anni.

 

 

Rispetto ai comportamenti elettorali è interessante un dato che spesso non è stato molto analizzato delle ultime elezioni: il fatto che Hillary Clinton abbia perso una valanga di voti anche in roccaforti democratiche come la California. Dove naturalmente ha vinto, ma con quasi 3 milioni di voti in meno rispetto a Obama.

Questo perché c’è una quantità di persone sindacalizzate o ex-sindacalizzate, più o meno di sinistra, o comunque desiderose di qualche cambiamento sociale, che non votano per Trump, ma che non votano nemmeno per Clinton, perché Clinton non ha continuato la politica di Obama, spingendola ancora più a sinistra, come invece sarebbe stato necessario (e come voleva fare Sanders). E non è un caso che questo fenomeno di cui parlate sia avvenuto in California, dove infatti c’è una cultura politica tra le più avanzate. Ma lo stesso discorso vale anche per il voto afroamericano: non c’è dubbio che gli afroamericani votino per Clinton – sono la componente (maschi e femmine) più sindacalizzata a livello nazionale – ma non l’hanno votata tanto quanto avevano votato per Obama, nonostante che riconoscano in lei un’amica. Clinton ha fatto passi indietro rispetto a Obama. E quando Trump dice che Hillary Clinton è una rappresentante dell’élite economica, non dice una cosa falsa. Lo è pure Trump, ovviamente. E quindi c’è una parte degli elettori che non vota per lui e neppure per lei.

 

 

Nel 2000 ero ad Albuquerque in un autobus che stavo andando lungo la Central Avenue, e mi sono messo a parlare con l’autista. Era settembre e, visto che dopo poco ci sarebbero state le elezioni, gli ho chiesto per chi avrebbe votato. «Io non voto», ha risposto. «Perché non vota?» «E perché dovrei votare per un miliardario o per un altro miliardario?» La discussione poi è andata avanti a lungo, perché io provavo a convincerlo che un candidato non è mai del tutto uguale all’altro, però c’è un sacco di gente che ragiona legittimamente in questo modo: votare per Trump non è possibile, ma perché dovrei votare per quest’altra che ha in mente una visione politica e dei soggetti sociali che non sono io?

 

Uno dei fenomeni più interessanti dal punto di vista del sindacato, è che persino le punte più di sinistra – sia UAW (cosa che poi gli iscritti infatti gli hanno fatto pagare) sia addirittura SEIU, il sindacato dei lavoratori dei servizi che ha lanciato la campagna del Fight for 15 – hanno appoggiato la Clinton nelle primarie. A me parve molto strano rispetto alle piattaforme, che nel caso di SEIU erano platealmente più vicine a Sanders. Secondo molti quando c’è stato il bail-out dell’industria automobilistica da parte di Obama, i sindacati hanno ricevuto una tale cambiale dal Partito Democratico per via del favore enorme che gli era stato fatto, che questa cosa ha finito per contare molto di più di ogni forma di affiliazione ideologica. Il rapporto che il sindacato aveva stretto con la Clinton negli anni era insomma troppo forte per essere messo in discussione.

E perché era troppo forte? Perché i sindacati (diciamo i sindacati tradizionali, storici) sono strutture istituzionali, negli Stati Uniti ancora più che in Europa. E la Clinton era la figura istituzionale per eccellenza. Anche se poi magari i militanti possono avere votato per Sanders – e certamente questo è avvenuto, ma si tratta dei militanti di quei tentativi di organizzazione di base di cui abbiamo parlato all’inizio – il sindacato in quanto organizzazione è rimasto fedele alla sua struttura istituzionale. E non si sono fidati abbastanza di Sanders, proprio perché Sanders non ne ha fatto dei destinatari primari del suo messaggio, cosa che invece ha fatto Clinton. Clinton si è rivolta alle organizzazioni e alle associazioni, portando avanti appunto una politica da figura istituzionale che non esce dai binari. Sanders – è stato il suo pregio ma anche il suo limite – ha provato a rompere questo guscio istituzionale. E infatti quelli che hanno risposto di più sono stati quelli che non hanno un’affiliazione sindacale o politica istituzionale. Questi sono i residui storici della politica americana.