cult

CULT

Always Totalize! Marco Gatto lettore di Fredric Jameson

Dopo aver firmato la prima monografia a lui dedicata mai pubblicata in italiano nel 2008, Marco Gatto con “Fredric Jameson” (Futura, 2022) ritorna sul pensiero del grande critico letterario marxista americano con quella che non è solo una ricognizione introduttiva al suo pensiero ma anche una riflessione originale sulla persistente attualità del pensiero dialettico applicato alle forme letterarie e ideologiche

Marco Gatto non è assolutamente nuovo allo studio di Jameson: anzi si potrebbe dire che sia stato il primo, ancora giovanissimo, a fornirne una mappatura per il pubblico italiano nel 2008 con Fredric Jameson. Neomarxismo, dialettica e teoria della letteratura, uscita per Rubbettino. A distanza di quasi quindici anni, che sono stati per lui e per tutti ricchi di studi e di progressive acquisizioni su questo autore che, a buon diritto, Gatto individua come uno dei maggiori teorici attivi tra i due secoli (forse il maggiore in assoluto se si considera il campo della critica e teoria letteraria), lo studioso ha certamente introiettato, implementato e meritoriamente difeso in ambiente italiano il pensiero di Jameson. Si può ad esempio vedere, in un numero monografico di “Ospite Ingrato”  il saggio Always Totalize! jamesoniano fin nel titolo (richiama l’Always Historicize con cui si apriva nel 1981 L’inconscio politico: il testo narrativo come atto socialmente simbolico, forse in ambito letterario il testo più influente di Jameson).

Stabilito l’orizzonte della totalità come la cornice generale del ragionare di Jameson, e dunque acquisita la coscienza della necessità di una critica dialettica (sulle cui avventure e disavventure in Italia Gatto ha scritto altrove pagine illuminanti), un nuovo incontro con il teorico era dunque necessario. Dal 2008 infatti, e dalla prima monografia prodotta dalla recente uscita della traduzione italiana completa del capolavoro di Jameson Il postmodernismo o la logica culturale del tardo capitalismo, sono usciti diversi volumi importanti tra i quali una trilogia dialettica dedicata idealmente al marxismo occidentale (Valences of the Dialectic), a Hegel (The Hegel variations) e a Marx (Representing Capital), alcuni libri dedicati a saggi letterari o teoria della letteratura (Antinomies of Realism, The Ancient and the Postmoderns, e Allegory and Ideology) e due profili, tradotti anche in italiano, dedicati rispettivamente a Raymond Chandler (Raymond Chandler: The detections of Totality) e a Walter Benjamin (The Benjamin Files).

Ora il primo merito di questo volume, edito da Futura in una collana idealmente “di base” I fondamenti, è dunque quello di presentarci intero il percorso di Jameson, non solo ovviamente includendo tutti i suoi lavori fino a oggi, ma soprattutto mettendo in luce con estrema chiarezza espositiva i nessi che legano gli uni agli altri i diversi passaggi di questa ricerca pluridecennale. I cinque capitoli in cui è scandito il testo ripercorrono ideali tappe decennali che possiamo sintetizzare in questo modo: Gatto comincia individuando nell’esigenza di un pensiero dialettico all’altezza del proprio tempo la cifra dominante del pensiero jamesoniano, si sofferma dunque sul giovanile studio su Sartre e su Marxismo e Forma e gli altri saggi degli anni Settanta. Nelle prime opere il teorico americano si appropria della tradizione del marxismo occidentale e la salda e prova nel confronto con altre strategie critiche lo strutturalismo, lo storicismo, lo psicoanalisi, la semiotica, l’antropologia. Gatto è molto scrupoloso nel non cedere al fascino dell’accumulazione compulsiva di cultura da parte di Jameson considerandolo solo un pensatore dotto figlio della cultura novecentesca, anche se è indubbiamente anche questo, e a rintracciare minuziosamente tutte le implicazioni logiche delle varie annessioni progressive. Un uomo che per molti versi somiglia a Jameson e che concepiva la fondazione della sua teoria come conquista e annessione progressiva di diversi campi del sapere unificato è Freud, che forse segna per un certo verso il passaggio lento ma inesorabile dalla figura sociale del filosofo a quella del teorico.

Elaborata la cartografia (termine carissimo a Jameson) fondamentale della propria dialettica storica quasi spontaneamente l’attenzione di Jameson è attratta dai testi letterari, che considera luogo di deposito di contraddizioni materiali e storiche espresse in forma di ideologemi. Dal tentativo di tracciare un’ermeneutica materialistica, in probabile quando non esplicita antitesi alle molte di stampo irrazionalistico, idealistico e misticheggiante che dominavano all’inizio degli anni Ottanta, nasce un volume come L’inconscio politico, il cui motto ricordato sopra non significa tanto un ritorno al vecchio storicismo quanto la consapevolezza di dover pensare l’atto creativo come storicità, cioè come risposta a una situazione materiale e suo tentativo di risoluzione in sede ideologica, ma  conseguentemente di dover storicizzare anche lo stesso metodo dialettico e pensiero materialista; qui è evidente la lezione di Lukács e Marx: il filosofo ungherese apriva la sua Estetica con il motto marxiano «Essi non lo sanno, ma lo fanno».

È in sostanza la coscienza della sua propria storicità e della storicità e del condizionamento ideologico e materiale di tutti i metodi esistenti e sviluppati nel panorama della critica che permette all’ermeneutica materialistica e dialettica di Jameson di inglobare e utilizzare strumentalmente acquisizioni provenienti da altri settori della critica e persino da tradizioni metodologiche idealmente concorrenti, come lo strutturalismo o la semiotica.

Che l’analisi dialettica dei testi debba dunque anche essere metacommentario (altro termine di cui Gatto si serve abbondantemente) e che le risposte estetiche e teoriche a questioni materiali non siano frutto solo di condizionamenti unidirezionali, ma proiezioni su un piano immateriale di «una folla di contraddizioni secondarie», come scrisse una volta Fortini, è naturalmente esso stesso un fatto che assume forme e proporzioni inedite negli ultimi decenni, per la progressiva onnipervasività della cultura (intesa come codice simbolico) e la de-materializzazione dell’esperienza che sono, per Jameson, alcuni tra i tratti distintivi del postmoderno e della sua ideologia estetica. Il postmodernismo descritto nel celebre volume (la cui prima parte non a caso venne edita separatamente in Italia già nel 1989) fa del frammento, del rinvio a codici, divenuti allusioni a tradizioni senza profondità storica e dunque intercambiabili come in un gioco di travestimenti, e della spazializzazione i suoi elementi dominanti.

Arriva a questo punto, io credo, l’aspetto di maggior originalità del lavoro di Gatto, che non si limita dunque solo a “spiegare” Jameson, ma suggerisce con il procedere dei capitoli una lettura che emerge con forza nella seconda metà del libro: le teorie di Jameson sulla postmodernità, che sono interpretazione di un’epoca, di una nuova fase culturale dello sviluppo sociale capitalistico, possono e anzi debbono per lo studioso calabrese essere accostate ad altre ricognizioni filosofiche e teorie politiche come quelle di due autori sui ideali maestri.

Il primo è Roberto Finelli, filosofo di formazione marxiana e studioso di psicoanalisi, dal quale Gatto trae l’esigenza e la possibilità di leggere nell’estetizzazione descritta da Jameson un momento di quello svuotamento del concreto a favore dell’astratto che rappresenta un elemento caratteristico dell’attuale fase dello sviluppo capitalistico: il capitale è sempre più impersonale e totale e i rapporti materiali (che pure naturalmente ci sono) svaniscono alla percezione individuale e collettiva per portare in primo piano una rete di rappresentazioni culturali; gli stessi confini nazionali paiono avere scarsa consistenza e la produzione perdere rilevanza a vantaggio della circolazione di una ricchezza finanziaria dematerializzata e in continuo accrescimento come forza espansiva di quello che Marx chiamava mercato mondiale.

Seguendo il filo del ragionamento jamesoniano così arricchito Gatto è in grado di triangolare con Gramsci per mettere efficacemente in campo la nozione di egemonia e la dialettica tra subalterni e dominanti. In questo caso non si tratta solo di classi, ma di gruppi sociali, ideologie, culture, poiché se lo sviluppo del mercato mondiale si esprime anche quale progressiva sussunzione delle particolarità storiche (che possono naturalmente poi essere reinscenate inconsciamente o rappresentate quale merce in chiave postmoderna), ed è dunque vero che, per restare fedeli alla prospettiva di Jameson, non possiamo perciò non essere postmoderni, (e a questo punto credo sia chiaro che attraversiamo il campo della critica letteraria quale terreno allegorico e non tanto per respingere questa o quella tendenza) è altrettanto vero che nella società elementi appartenenti a gruppi subalterni e legati ideologicamente all’orizzonte culturale del moderno (ma le due cose coincidono solo occasionalmente) resistono e anzi agiscono parzialmente non solo per rovesciare gruppi e culture dominanti, ma anche per confermare l’orizzonte di pluralità del quale il  tardo capitalismo non può mai fare del tutto a meno.

È all’interno di queste linee di frattura, ci dice implicitamente Gatto, che un conflitto per l’egemonia culturale può essere alimentato e che le cartografie jamesoniane possono diventare mappe. Una misura di consapevolezza è necessaria del resto perché i ritorni del moderno non si svolgano in uno sviluppo gestito con modalità regressive delle quali, per Jameson, nazionalismo, fascismo e razzismo sono un esempio. La dialettica di modernità e postmodernità per come manifestata in campo artistico, musicale e letterario, secondo il particolare tropo jamesoniano della ideologia della forma, è analizzata nelle opere più recenti. In questo senso il recupero e consolidamento della tradizione dialettica attraverso la rimeditazione di Hegel, Marx, Adorno, Brecht e recentissimamente Benjamin rappresenta il retroterra teorico-politico su cui costruire il grande progetto jamesoniano di una «poetica delle forme sociali», che Gatto individua come l’orizzonte in cui collocare le tessere del mosaico della ricca produzione del teorico: «La critica letteraria marxista è, in tal senso, una storia delle forme come costruzioni ideologiche di senso» dice in un luogo e senza dubbio a presentarla come tale, in maniera complessa e credibile, contribuisce questo volume. Scrivere una monografia su Jameson non significa dunque solo colmare una effettiva lacuna nel panorama bibliografico italiano, ma sottintende anche, secondo un progetto indubbiamente silenziosamente ma operosamente in corso in questi anni e del quale l’autore del libro rappresenta una punta di diamante, il tentativo di liberare marxismo e dialettica dal discredito in cui una vulgata politicamente dura a morire (che associa entrambi a un che di dittatoriale e magari di passatista) le ha gettate. A ulteriore conferma di questa vocazione pedagogica e pratica, il volume contiene una aggiornata bibliografia ragionata dei principali contributi allo studio di Jameson e un glossario dei termini (assai utile per addentrarsi nel complesso e stratificato pensiero del grande studioso) che contribuiscono a renderlo uno strumento, credo, per molto tempo essenziale.