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Airbnb contro le città

Con “Airbnb città merce” (DeriveApprodi) Sarah Gainsforth  non solo ci racconta quel “fortunato” modello di capitalismo delle piattaforme, ma offre anche esempi di riuscita resistenza alla gentrificazione digitale

Tutti i grandi libri monografici sulla città hanno finora avuto un complemento filmico e uno noir, Nella prima metà del Novecento la grande retrospettiva di Walter Benjamin su Parigi, capitale del XIX secolo (alla luce però della Berlino weimariana) si portava in pancia tutta la letteratura alta, popolare e poliziesca dell’Ottocento e, beninteso, le immagini non erano solo le lastre di Atget ma i rulli del cinema espressionista tedesco, da Murnau a Fritz Lang. La città di quarzodi Mike Davis registra il passaggio di Los Angeles dal fordismo al post-moderno, avendo per complementi ideali le due terribili apocalissi metropolitane di Blade Runnere Strange Dayse l’epopea noir di James Ellroy. E lo stesso vale per Ilmaiale e il grattacielo di Marco d’Eramo, dove la protagonista è Chicago, industriale e post-industriale, la Chicago di Sullivan e Wright, del proibizionismo e dei gangster anni ’20 e di Sam Giancana.

È ancora possibile dipingere il mondo e un’epoca in una sola città oggi, all’epoca del capitalismo di piattaforma e delle global cities alpha, beta e gamma? O l’evoluzione del post-fordismo ha frammentato le narrazioni o meglio le ha spostate sulle strategie delle piattaforme che modellano la gestione urbana e gli spostamenti estraendone reddito e, complementarmente, sulle controcondotte di resistenza? Come possono essere descritte in termini sociologici, letterari, visivi?

A questa altezza ai pone Airbnb città merce – storie di resistenza alla gentrificazione digitale della nostra redattrice Sarah Gainsforth, appena uscito per DeriveApprodi (pp. 192, 15,30 €). Il libro ha per oggetto la piattaforma digitale più fortunata, quella che è riuscita a coinvolgere segmenti cospicui di ceto medio nella realizzazione della loro rendita fondiaria mediante la cessione temporanea della loro abitazione in tutto o in parte a ospiti occasionali, con un impiego gestionale diviso fra gli interessati e Airbnb. Possiamo affermare che quella di Airbnb è una success story, la principale del capitalismo delle piattaforme e dell’ideologia neoliberale e startuppara, secondo cui ognuno è l’imprenditore di se stesso. Una retorica che all’inizio ha attecchito facile, innestandosi sul mito americano del land of hope and dreams e dei pionieri nel West selvaggio, ma poi si è rapidamente dissolta malgrado le narrazioni edificanti su garage e materassi gonfiabili, accoglienza familiare e fiducia negli ospiti.

 

 

In realtà, come documenta il libro, sono le grandi agenzie finanziarie e la rete di interessi che gravitano intorno la Silicon Valley, per esempio, che hanno aiutato in modo determinante a fare di un piccolo start-up di San Francisco il nucleo costituto di Airbnb e dei processi di gentrificazione che ne discendono. Anzi, per dirla con   Manuel B. Aalbers, la gentrificazione, sponsorizzata dal governo e finanziata dal debito, della fine degli anni Novantae dei primi anni 2000, è stata alla radice della crisi finanziaria nordatlantica iniziata negli Stati Uniti nel 2007. Un ospite sgradevole e abituale. Altro che Joe Gebbia e Brian Chesky come pazienti zero, quando subaffittarono la terza stanza per evitare lo sfratto…

Se una miriade di piccoli proprietari e affittuari, che non riescono a sostenere il livello degli affitti o delle spese condominiali, costituiscono la base di massa della piattaforma, gli host, gli utili maggiori (oltre a Airbnb) vanno a pochi multi-host, detentori di parecchie abitazioni, e a proprietari assenti, che garantiscono la continuità dell’offerta ai turisti di passaggio ricavando un reddito costante senza entrare direttamente nel mercato immobiliare e degli affitti di lunga durata, con tutti i rischi di svalutazione e rigidità che specie in Italia ciò comporta.

 

 

Il risultato paradossale è che la diffusione degli affitti brevi Airbnb, se per un verso integra i bassi redditi degli inquilini e le prestazioni di un welfare sempre più dismesso, dall’altro contrae la disponibilità delle case in affitto normale e fa lievitare i valori degli immobili e dei canoni di locazione, espellendo il ceto medio-basso, con le loro stesse mani si direbbe, dai quartieri maggiormente interessati al fenomeno. Ai margini crescono i senzatetto e quanti dormono in macchina affannandosi a cercare parcheggi sicuri.

L’afflusso di turisti, tech workers e altre figure di transito ad affitto breve caccia la popolazione residente ad affitto lungo e spopola i quartieri a vocazione turistica e le aree di mano in mano “gentrificate” – per esempio Trastevere e il centro di Roma e poi via via le aree di divertimento che perdono il carattere residenziale allargando verso la periferia immediata, da San Lorenzo a Pigneto o al Testaccio, la devastazione iniziata nelle aree storiche di pregio.

 

 

Come tutte le piattaforme, Airbnb si libra nelle nuvole di una retorica fondazionale fasulla e tecnicamente del cloud, ma poi atterra nelle città e produce effetti disgreganti. Abbiamo visto il suo effetto sugli affitti, ma a questo è complementare la desertificazione omologata dei quartieri gentrificati, la barbara turistificazione di sezioni del tessuto urbano o di intere città d’arte (l’Italia ne è vittima predestinata). I dati strutturali sono la crescente finanziarizzazione, l’aumento del costo della vita, la distruzione della relazionalità urbana e degli esercizi di vicinato, in pratica la trasformazione delle principali città del mondo in parchi a tema per turisti e resort per ricchi.

Per un bizzarro paradosso Airbnb tradisce pure gli ospiti cui promette intimità con le famiglie ospitanti e adeguata fruizione del colore locale, secondo un meccanismo tipico del consumo che svaluta il proprio oggetto. Le tovaglie a quadrettoni delle osterie trasteverine, gli azulejos della Moreria a Lisbona, i paesaggi rinascimentali in Toscana, i brividi dell’arte nel Bronx riqualificato, l’esperienza di una sparatoria fra guappi davanti ai bassi di Napoli… e poi istruisce meticolosamente gli host  su come deve essere l’arredo, quante bottiglie d’acqua, ecc. omologando l’«autentico» in una finta comunità senza sorprese rispondente all’immaginario prefabbricato da cinema e Tv, peggio delle agenzie di viaggi del tempo che fu.

Del resto, viaggiare non vuol dire “sentirsi a casa propria” ma sperimentare un qualcosa di diverso; esorcizzare la sorpresa, lo spaesamento introduce un elemento psicotico nella prassi dell’ospitalità turistica, banalizza e falsifica ogni relazione con l’altro, riproducendo fra l’altro tutte le antinomie farlocche fra turismo massificato e “di qualità”.

 

 

In realtà, dietro la pratica della condivisione e l’ideologia della fiducia fra utenti c’è una transazione economica, di cui la fiducia è condizione e non risultato; che anzi garantisce, tramite un sistema oggettivo di rating, «la possibilità di mantenere una certa distanza, affinché i partecipanti allo scambio. non si sentanoin dovere di continuare a interagire dopo la transazione», l’opposto di una comunità – grazie a Dio!

Lo stravolgimento della vita sociale, economica, relazionale, affettiva, che da sempre accompagna la pacchiana ristrutturazione (e l’aumento degli affitti) delle abitazioni nelle zone gentrificate, svalorizza le promesse di intimità pittoresca – poco male, ci ci può sempre spostare in un’area adiacente, che conserva ancora tracce di rozza “naturalità”, murales, hippies in disarmo, brividi delinquenziali, prezzi temporaneamente più bassi. La stessa logica di ogni estrazione di valore che mobilita e mercifica risorse intatte, pezzi poveri di vita. Un fracking urbanistico, quando sono esauriti i giacimenti più facili e occorre spremere i bilanci degli affittuari che non ce la fanno, le mezze giornate libere per guidare i taxi di Uber, i ritagli fra studio e secondo e terzo lavoro per i rider, e così via.

Ma la nostra Sarah fa anche parte della rete SET–Sud Europa contro la turistificazione e quindi dedica ampio spazio alla resistenza che Airbnb ha incontrato nei soggetti istituzionali e collettivi su cui è “atterrata”: le organizzazioni di quartiere e degli inquilini, le amministrazioni cittadine che si sono sottratte alla corruzione e regalie della piattaforma, bloccandone o circoscrivendone le iniziative e ottenendo spesso ragione dai tribunali, in Usa più che in ambito UE. Il libro quindi documenta, con lo stesso scrupolo con cui fornisce i dati della presenza Airbnb sul mercato e dei relativi effetti economici, lo sviluppo dei movimenti socialiche insorgono contro la gentrificazione digitale delle città in tutta la varietà delle loro tecniche di lotta – dalle manifestazioni ai ricorsi giudiziari, dal sabotaggio ai referendum cittadini. Racconta, mediante interviste in presa diretta, le reazioni di host e ospiti, espone le statistiche sull’aumento degli affitti e sugli sfratti, resoconta le azioni organizzate di protesta e i successi da esse ottenuta, evidenziando soprattutto la nascita di una nuova generazione di attivisti dello stesso tipo di quelli che si muovono sul terreno sindacale indipendente.

Alla fine, forse, non riusciremo a fare delle nuove città la base per romanzi o film espressivi di un pezzo globale di realtà, l’epopea di Parigi, Londra o New York, il crimine quale sonda di un’epoca. Non avremo più Delitto e castigo come epitome di San Pietroburgo o Berlino –Sinfonia di una grande città. Nell’epoca delle brevi abitudini e degli affitti brevi, anche le grandi epopee si sbriciolano. Leggendo il libro di Gainsforth viene da pensare che il capitalismo delle piattaforme produca uno specchio infranto che viene meglio reso dalla dispersione ciclica delle serie televisive, non a caso così attente a trascrivere le micro-storie urbane e le impercettibili transizioni – da The Wire a The Deuce e a Babylon Berlin. Questa forse è la narrazione più adatta, cui il libro in questione fornirebbe ottimi spunti di sceneggiatura, e naturalmente Black Mirror, quando l’infranto si protende nel futuro distopico…