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Affermare il negativo: la politica oltre la modernità

“Politica e negazione. Per una filosofia affermativa”: il nuovo saggio di Roberto Esposito indaga il rapporto tra la negazione, tratto distintivo dell’animale linguistico, e la politica. Oggi 16 maggio, alle 17 e 30 a Esc, l’autore presenterà il libro assieme a De Carolis, Gentili, Giardini, Virno a Esc

Qual è il rapporto tra la negazione, tratto distintivo dell’animale linguistico, e la politica? Meglio: quale lo spostamento, tanto ontologico quanto performativo, della paroletta ‘non’? La tesi dell’ultimo saggio di Roberto Esposito (Politica e negazione. Per una filosofia affermativa, Einaudi) è netta: comprendiamo la modernità solo se afferriamo la connessione decisiva tra negazione e politica. Di più: caratteristica peculiare della politica moderna, quella imperniata sulla sovranità statale, è replicare alla natura negativa dell’animale che siamo – animale litigioso e distruttivo per eccellenza – con una ulteriore negazione. Altrettanto, solo attraverso un rovesciamento affermativo della negazione, è possibile andare oltre la modernità e ripensare la politica a partire dal conflitto.

I tre atti del volume, con la chiarezza consueta dell’autore, articolano la tesi; rintracciando genealogie ed emergenze, continuità e rotture. Una linea, che da Hobbes giunge fino a Schmitt, segna con forza i primi due capitoli. L’affresco è assai più ampio, e meritano grande attenzione le pagine dedicate al carattere negativo e insostanziale della lingua in Saussure, come quelle sulla premessa ontologica – il ‘niente’ – della negazione in Heidegger. Ma è nella traduzione politica della negazione che troviamo il terreno proprio della battaglia filosofica condotta da Esposito. Cosa infatti, se non la radicale negatività dello stato di natura, giustifica l’artificio sovrano proprio della modernità? L’inimicizia generalizzata, la comune «uccidibilità», la «guerra di tutti contro tutti»: questa la scena generativa del Leviatano; la macchina che, con la conquista e la definizione dello stato civile, non fa altro che negare la negatività costitutiva del conflitto. La figura paolina del catéchon, allora, meglio di altre qualifica la funzione decisiva dello Stato: si tratta di tenere a freno quell’aggressività specie-specifica messa in campo, a ogni piè sospinto, dall’animale indeterminato, potenziale, pericoloso. E il prezzo da pagare per questo gesto è tutt’altro che banale, coincide con la spoliticizzazione dell’intera società. Ancora: solo la negazione di ciò che è comune (risorse, cooperazione sociale, ecc.), dunque la difesa sovrana della proprietà privata, garantisce la sopravvivenza della vita associata.

Quale la via di uscita? Esposito non ha dubbi, non basta espungere la negazione esibendo un vitalismo affermativo tanto affascinante quanto ideologico. La negazione, piuttosto, deve essere lavorata, piegata in senso affermativo. Ovvio, per fare questo, ci vuole un’intesa preventiva: il negativo non è mai sostanziale, è piuttosto un’emergenza, esistenziale e contingente. Se vale questa premessa ontologica, necessaria per articolare una traiettoria politica alternativa alla modernità, la partita può essere giocata.

Di qui, dunque, prende avvio l’ultimo capitolo, dedicato alle tre «modalità affermative della negazione»: la differenza, la determinazione, l’opposizione. Nel primo caso, il riferimento obbligato è a Gilles Deleuze. Dall’autore di Differenza e ripetizione, Esposito mutua un concetto di negazione come conseguenza del molteplice e della sua affermazione. A essere prima è la differenza, appunto, di cui la negazione è solo l’ombra, «risultato di un elemento genetico più profondo». Non casualmente, nell’ultimo testo scritto con Guattari, Deleuze insiste sul primato dell’amicizia: solo a partire da questa, conquistano terreno la rivalità e la contesa. Con un salto all’indietro, ma seguendo le tracce di Deleuze, Esposito approda a Spinoza. Contrariamente a quanto voluto da Hegel, la nozione spinoziana di determinazione, che pure insiste nella finitezza esistenziale e innerva la tempesta passionale che sempre ci riguarda, è ancora figura dell’affermazione. Se la cosa singola è determinata dall’infinita sostanza, serba comunque con sé una parte (o un gradus) della potenza di Dio; parte che può propriamente esprimersi solo implementando gli incontri gioiosi e una politica democratica fondata sull’uso costituente del conflitto. È sicuramente l’opposizione, però, a esibire il carattere produttivo della divisione, del Due. Con Machiavelli, ma rileggendo in modo originale tanto Kant quanto Nietzsche, Esposito raggiunge Foucault e pensa il rapporto oppositivo tra potere e resistenza come un dispositivo. All’interno di esso, il negativo, che pure si qualifica come un limite, si presenta come ineliminabile e costruttivo nello stesso tempo. E, attraverso il dispositivo, Esposito ripensa la dialettica tra communitas e immunitas che, da sempre, svolge una funzione decisiva nella sua proposta filosofico-politica.