ROMA

5 proposte per San Lorenzo

In questi giorni San Lorenzo, quartiere storico della Capitale, ha riconquistato le cronache a causa di fatti per nulla nuovi, legati allo spaccio e alla contesa del territorio che esso porta con sé. Niente di nuovo, se non tanta violenza in più, ma “preda” appetitosa su cui i cronisti sentono il bisogno di metter mano (e denti), come sempre incapaci di cogliere il vero e, conseguentemente, di raccontarlo.

Essendo, con il nostro spazio autogestito e la nostra pratica politica quotidiana, soggetto attivo del quartiere, ed essendo stati chiamati in ballo, nostro malgrado, dall’articolo di Laura Eduati, dal pittoresco titolo Degrado a San Lorenzo, centri sociali si scoprono legge e ordine, diciamo rapidamente la nostra. Rapidamente, perché le risposte migliori sono quelle dei fatti, i gossip confondono, quando non fanno danni. Ancora: invece di fare la solita, elaborata diagnosi, avanziamo 5 proposte politiche, per una prognosi che provi ad essere efficace.

Due premesse prima di arrivare al dunque. Per dire la verità su San Lorenzo è necessario in primo luogo stabilire la connessione costitutiva tra gentrification e degrado. Innalzamento smisurato degli affitti, trionfo della rendita e della proprietà si sono accompagnati, da subito, con le grandi liberalizzazioni per il commercio, l’estensione della «movida» intesa come trasformazione della socialità in sola attività di consumo, a seguire dello spaccio. Seconda premessa: San Lorenzo non è più, da tempo, ciò che nella vulgata viene definito «quartiere rosso», «partigiano» e via discorrendo. Semmai è un quartiere conteso, tra rendita e autogestione, gentrification e produzione culturale indipendente, spaccio e pratiche di cittadinanza alternativa. L’attaccamento nostalgico al mito, invece di cogliere quest’ultima verità, ha favorito un interminabile e fallimentare inseguimento della ‘strada’ e del ‘popolare’, come se queste due realtà, di per sé, fossero portatrici di istanze etiche e politiche emancipatrici. Nulla di più sbagliato.

Le 5 proposte:

* Pensiamo alle file per i Coffee-Shop in Colorado, dove da poco sono state legalizzate le droghe leggere. Immaginiamo la stessa cosa a San Lorenzo. D’improvviso lo spaccio non avrebbe più mercato o si ridurrebbe sensibilmente, mentre le risorse drenate dai Coffee-Shop porterebbero a ridurre significativamente il debito pubblico e favorirebbero politiche economiche espansive. Meno mercato illegale, meno profitti per le mafie, meno violenza nella strade, niente più carcere per i semplici consumatori, l’ultimo anello della catena. L’11 febbraio la Corte di Cassazione si esprimerà in merito all’incostituzionalità di parte della liberticida Legge Fini-Giovanardi; l’8 febbraio il movimento anti-proibizionista tornerà in piazza: liberare San Lorenzo dallo spaccio significa liberare il Paese dal proibizionismo.

* I migranti non nascono spacciatori, alcuni sono spinti a diventarlo. Per disperazione, per povertà, perché la Legge Bossi-Fini e il Pacchetto Sicurezza del 2009 fanno della clandestinità un reato. Sotto il ricatto della clandestinità i migranti sono esposti allo sfruttamento del lavoro nero e malpagato oppure al reclutamento della criminalità organizzata, fenomeni entrambi presenti sul nostro territorio. Battersi contro la Legge Bossi-Fini, così come accadrà a Lampedusa a fine gennaio o il 15 febbraio a Ponte Galeria, significa anche lottare contro la catastrofe sanlorenzina. Voi direte: “tutto vero, ma prima di cancellare la Legge Bossi-Fini, cosa si fa?” Si organizza l’accoglienza solidale: casa, formazione (soprattutto quella linguistica), assistenza legale. Questo fanno i movimenti per il diritto all’abitare da anni a Roma, questo fa Esc come molti altri centri sociali con scuole di italiano e sportelli legali. (aggiungiamo un inciso: sarebbe giunto il momento a nostro avviso che i fondi pubblici venissero assegnati a quelle realtà – cooperative, centri sociali, associazioni ‒ che tutti i giorni lavorano nei quartieri con i migranti, invece che alle grandi organizzazioni che sfruttano le emergenze per fare affari e approfondire i problemi ‒ come è successo a Roma per l’emergenza Nord Africa ‒ abbassando la qualità dei servizi, sfruttando il lavoro precario, imponendo ai migranti condizioni di vita degradanti e umilianti).

* Trasformiamo le piazze di San Lorenzo, soprattutto Piazza dell’Immacolata e Largo degli Osci, nelle piazze romane (stabili) del libro usato e d’occasione, del mercato del riuso e del riciclo. Questo già succede in Europa, e anche in Italia (pensiamo alle bancarelle del libro usato e d’occasione a Bologna, nei pressi della stazione centrale). Favorire il riuso e il riciclo, dunque la diffusione di una nuova abitudine di consumo, significa gestire diversamente i rifiuti e il loro smaltimento. E vuol dire favorire un nuovo ciclo produttivo, capace di riconvertire strutture e competenze (pensiamo all’esperimento di Officine Zero a Casal Bertone). Vuol dire anche sostenere un modello culturale alternativo, che valorizza le relazioni, riscopre il lavoro artigiano, crea socialità e incontro invece che indifferenza e paura.

* I quartieri della movida sono gli stessi in cui, oltre a fare affari sulla socialità giovanile e studentesca, si specula sugli affitti, rigorosamente in nero e a peso d’oro. Ristabilire un equilibrio che imponga affitti sociali inciderebbe significativamente sulla qualità della vita di chi paga un prezzo sempre più alto per avere molto poco in cambio. Basta affitti in nero per studenti, basta speculazioni sulle spalle dei precari, reclamiamo affitti sociali per giovani e giovanissimi, studenti e precari che vivono nel quartiere (e non solo). Risparmiare sensibilmente sull’affitto, non vivere in case sovraffollate o semi-fatiscenti a prezzi insostenibili, avere accesso alla cultura, ad una socialità di qualità crediamo siano un’aspirazione legittima per tutti, anzi un diritto, perché una vita soddisfacente non sia un lusso per pochi.

* Fare di San Lorenzo, nel suo complesso, un laboratorio culturale permanente e aperto, sostenendo l’autogestione e la produzione artistica indipendente (dalla musica dal vivo, al teatro, al cinema), l’auto-formazione (le libere università, i festival, i seminari, ecc.) e lo sport popolare (antisessista e antirazzista). Aprire le biblioteche e le aule della Sapienza e della Vetreria Sciarra fino a notte fonda, per far sì che la frequentazione notturna non sia solo quella animata dal mero sfruttamento commerciale della socialità, ma che anzi proponga opportunità diverse.

Per salvare San Lorenzo, non ci vogliono Legge e Ordine, ci vogliono intelligenza, generosità e risorse. Le prime due, in molti casi, già ci sono. Le risorse mancano, perché le amministrazioni degli ultimi anni non le hanno sapute trovare e, le poche presenti, le hanno dirottate verso amici di amici e clientele. A breve verranno stanziati i Fondi europei 2014-2020, Roma avrà un suo fondo specifico, molte risorse potrebbero essere utilizzate per invertire la rotta. Solo le lotte potranno far sì che questa inversione sia possibile.