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ITALIA

Quando la guerra si fa spettacolo: il caso del Villaggio dell’Esercito a Palermo

Piazza Castelnuovo, simbolo della vita civile e culturale di Palermo, diventa teatro di un’esposizione militare con mezzi da guerra e attività interattive. Collettivi, studentə e associazioni denunciano l’uso dello spazio pubblico per promuovere un’ideologia patriottica e militarista

Dal 2 al 5 ottobre Palermo ha ospitato il “Villaggio dell’Esercito”, un’iniziativa promossa dal Ministero della Difesa e dal Comune di Palermo che ha portato nel cuore della città – in piazza Castelnuovo, davanti al Teatro Politeama, uno dei luoghi simbolo della cultura e della vita civile – mezzi militari, installazioni interattive, aree dimostrative e simulatori dedicati alle professioni dell’esercito.

Presentato come un «evento culturale e divulgativo», l’allestimento ha trasformato la piazza in un vero e proprio parco tematico della guerra, con carri armati, elicotteri da combattimento, veicoli blindati utilizzati nelle missioni internazionali e mezzi storici che ripercorrono la tradizione militare italiana. Tra gli spazi interattivi figuravano anche simulatori di volo in realtà aumentata e percorsi «educativi» per bambinə, invitatə a partecipare a mini-esercitazioni al ritmo della sigla di Dragon Ball. Secondo le istituzioni promotrici, l’obiettivo era di «avvicinare la popolazione civile all’esercito italiano», mostrando il volto «umanitario» di questi e l’impegno nelle missioni di peacekeeping. Il sindaco Roberto Lagalla, difendendo l’iniziativa, ha parlato di una manifestazione che valorizza la presenza dell’esercito nelle missioni di pace e il suo contributo alla sicurezza nazionale e internazionale.

Ma il messaggio che si diffondeva dalle corazze lucenti dei mezzi bellici e dai soldati in uniforme era tutt’altro che neutro. In una città segnata da precarietà e abbandono, portare carri armati in piazza significa normalizzare la guerra, trasformare lo spazio pubblico – luogo di incontro e di memoria civile – in una vetrina della potenza militare. L’evento ha suscitato una forte reazione da parte della popolazione palermitana, risuonando tra collettivi, sindacati, associazioni e realtà studentesche che hanno denunciato la militarizzazione dello spazio urbano e la propaganda bellicista dietro la facciata “educativa”. «La piazza è uno spazio civile, non un’esposizione di potenza militare. Via le armi da Palermo!», hanno gridato i e le manifestanti, ricordando che la pace non si costruisce mostrando fucili, ma garantendo diritti, istruzione, salute, case e lavoro.

di Our Voice

Il 1° ottobre, un corteo partito da piazza Sant’Anna – nato dal presidio in solidarietà con la Global Sumud Flotilla, iniziativa internazionale in sostegno al popolo palestinese – ha tentato di raggiungere l’area del Politeama per contestare l’allestimento del Villaggio. Il corteo, composto da centinaia di persone, si è trovato di fronte un imponente cordone di forze dell’ordine. Durante i momenti di tensione si sono verificati scontri e una persona è rimasta ferita. Gli e le attiviste hanno denunciato la sproporzionata presenza di polizia e carabinieri, sottolineando come ancora una volta la risposta dello Stato alle voci di dissenso sia stata la repressione.

A seguito delle proteste, il prefetto di Palermo ha convocato un tavolo tecnico su richiesta dei e delle manifestanti, per discutere il rinvio o l’annullamento dell’evento. Il prefetto ha accolto le rimostranze portate avanti dalla cittadinanza condividendole, ma dichiarandosi impossibilitato all’annullamento dell’evento “culturale” poiché organizzato da mesi e portato avanti per volontà del ministro della Difesa Guido Crosetto, con il supporto del sindaco e dell’assessore alla cultura Giampiero Cannella.

di Our Voice

Una decisione che può essere interpretata come un atto politico preciso: l’affermazione, nel pieno centro della città, di una retorica patriottica e militarista, in un momento in cui l’Italia decide di investire in riarmo. Per i promotori, il villaggio rappresenta «un’occasione per valorizzare il ruolo dell’esercito nelle missioni di pace». Ma dietro questa narrazione si nasconde una campagna di consenso: un tentativo di rendere accettabile, persino desiderabile, la presenza militare nella vita quotidiana. L’uso di linguaggi ludici, la partecipazione dei e delle bambine, la mostra di armamenti e uomini in divisa che sfilano: tutto serve a rendere la guerra un gioco, a cancellare la violenza reale che essa produce, a rieducare le nuove generazioni a una visione distorta della pace come ordine armato.

Questo contrasto assume un significato ancora più profondo nel contesto attuale, segnato dalle tensioni internazionali e dal dolore, dalla rabbia e dalla frustrazione per il genocidio in Palestina, che scuote le coscienze e riempie le piazze di tutto il mondo. Mentre le immagini di bombardamenti e distruzione entrano ogni giorno nelle nostre case, Palermo si ritrova a ospitare carri armati nel suo salotto buono, come se la guerra fosse un’attrazione, una curiosità tecnologica da toccare e fotografare. In un momento storico in cui cresce la spinta a nuove alleanze militari e all’aumento delle spese per gli armamenti, eventi come il Villaggio dell’Esercito appaiono come strumenti di consenso e addestramento ideologico alla guerra permanente.

di Our Voice

«Portare carri armati in piazza non avvicina alla pace, ma la allontana», ripetono i e le manifestanti. La pace non è una parata, non è un’operazione di marketing. È un percorso fatto di giustizia sociale, di solidarietà  tra i popoli, di autodeterminazione e di lotta contro chi trae profitto dai conflitti. La presenza di mezzi bellici nel cuore di Palermo non è soltanto una provocazione: è un atto politico che tenta di ridefinire l’immaginario collettivo, abituandoci a convivere con la guerra, a considerarla parte normale del paesaggio urbano.

Ma Palermo, città di mare, di accoglienza e di resistenza, non dimentica la propria storia. Dalle lotte dei portuali contro il traffico d’armi ai movimenti per la pace degli anni Novanta, dalle manifestazioni studentesche contro la NATO ai presidi per la Palestina, la città ha sempre saputo dire no alla guerra e sì alla dignità dei popoli.
E oggi, di fronte ai carri armati davanti al Politeama, quel “no” risuona ancora una volta forte e chiaro. Perché nessun elicottero Mangusta, nessun blindato, nessuna divisa potrà mai rappresentare la pace. E perché le piazze, le piazze di chi le vive ogni giorno, devono restare spazi di vita, di incontro e di libertà, spazi pubblici non palcoscenici per la propaganda della guerra.

Foto di copertina e nell’articolo di Our Voice


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