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Sulla crudeltà: un inventario poetico

Nella recensione di “Le mucche se non le mungi esplodono (di gioia)”, un libro di poesie di Teodora Mastrangelo, l’autore mette in luce la forte componente antispecista dell’individualizzazione delle storie di vita, di morte e di incontro con i singoli animali che scardina il modello antropocentrico riservante la soggettività ai soli umani

Oh pietosa colei che mi soccorse!
E tu cortese, ch’ubidisti tosto
alle vere parole che ti porse!
alle vere parole che ti porse!

Dante Alighieri, Inferno II

È indubbio che l’arte non sia affatto tenuta alla rappresentazione dell’orrore, ma il suo movimento la mette senza fatica all’altezza del peggio, e reciprocamente la raffigurazione dell’orrore ne rivela l’apertura a tutto il possibile.

George Bataille

Le mucche sono fatte per produrre latte, altrimenti soffrono. Le scimmie sono parenti stretti degli umani, per questo sono state lanciate nello spazio e vengono tuttora usate come cavie da laboratorio.

I cinghiali si riproducono troppo in fretta, creando seri problemi di sovrappopolazione in alcune aree geografiche.

La bile degli orsi contiene una sostanza, l’acido ursodesossicolico, che aiuta a sciogliere i calcoli al fegato e alla cistifellea degli umani.

Le orche sono considerate animali intelligenti e sociali, è per questo che vengono catturate e rinchiuse in vasche per la gioia degli astanti di ogni età.

I cani sono i migliori amici dell’uomo, ti restano fedeli fino alla morte, la loro.

I gatti sono buffi e divertenti ma inaffidabili, soprattutto se di colore nero – portano sfiga.

I maiali sono brutti, sporchi e cattivi. In più sono portatori virulenti di pericolosissime malattie letali per gli umani, come l’influenza suina e l’epatite E – per questo vengono rinchiusi, a milioni e al sicuro, dentro un grattacielo di 26 piani dove verranno macellati.

Durante la stagione degli amori i trichechi non vanno disturbati, ci tengono alla loro privacy – quindi niente foto e niente video.

A caval domato non si guarda in bocca. Del resto un dono è un dono, basta l’intenzione più che il suo valore materiale.

Fra gli animali cosiddetti da reddito, gli asini sono coloro che subiscono nefandezze di ogni tipo. Sfruttati, maltrattati, caricati, bastonati, comandati e assoldati – guarda, un asino che vola. Impossibile. Più probabile che sia Balthazar, au hasard.

Il panda è un animale dolce, timido e schivo “per natura”. Rifugge gli umani, nascondendosi tra le fitte trame arboree delle foreste – per la società dello spettacolo il panda è un rapporto sociale (tra specie diverse) mediato dall’immagine (quella dello zoo, contenitore di vite reificate artificialmente).

Leoni e delfini vengono spesso utilizzati sui set cinematografici. I leoni sono i re della giungla e possono sbranarti per acquisito diritto regale (leo sacer). I delfini sono flipper con cui giocare e divertirsi. Attenzione però al disclaimer che appare nella parte finale dei titoli di coda: «Nessun animale è stato maltrattato durante la produzione di questo film».

La raccolta poetica di Teodora Mastrototaro, Le mucche se non le mungi esplodono (di gioia), uscito per i tipi di Marco Saya Edizioni nella collana Poesia Oggi, sceglie il paradosso e sovverte l’ordine del discorso.

L’illogicità manifesta dello specismo, che alimenta e struttura il senso comune globale per giustificare lo sfruttamento e la violenza nei confronti degli altri animali, è data da una serie di affermazioni, percezioni e valutazioni accettate come vere, ma che non hanno nessuna plausibilità scientifica (ovvero logica), se non quella di una presunta ragion pratica. Tale precipitato culturale, un vero e proprio zoccolo duro, solido come un macigno e insolubile come l’acqua, fornisce generalmente l’alibi per applicare – materialmente e idealmente- il principio di non responsabilità che formalizza – legalmente e simbolicamente – il comportamento umano verso gli animali. In tutto questo il disclaimer, la traduzione legale di tale principio, è il trucco che rivela la maschera. La dichiarazione di non responsabilità libera i soggetti dal dovere di prestare la giusta attenzione e il dovuto rispetto al vivente tutto, animali compresi.

Il libro di Mastrototaro, il cui sottotitolo (crudeltà sugli animali, un inventario poetico) ne condensa la dimensione argomentativa, ha come obiettivo sicuramente quello di ripensare i paradigmi epistemologici dell’umano sentire, aderendo a quell’ontologia animalista che in questo momento sembra essere in grado di scardinare il modello antropocentrico che riconosce lo statuto di soggetto al solo essere umano. Il suo inventario è leggibile come possibilità di sventare la duplice violenza gratuita del senso comune e quella istituzionale del senso pieno. I versi dell’autrice interpretano gli episodi di violenza su animali di ogni tipo, ovunque e in ogni tempo come semiosi che produce nuovi significati in grado di corrompere quelli stantii fin qui adottati e acquisiti. 

La descrizione delle situazioni di oppressione e di crudeltà a cui vengono sottoposti gli animali con precise date di riferimento, luoghi e nomi viene in qualche modo incistata dai continui deragliamenti prospettici che con poche e dirimenti parole ridimensionano la loro valenza comunicativa, trasformandoli nella pietosa dea che ti soccorre, quell’arte poetica che insegna a vedere attraverso il punto di vista dell’altro.

18 Maggio 2024- Zoo di Valencia, Spagna: Natalia, femmina di scimpanzè tiene in grembo il corpo morto e in via di decomposizione del figlio nato quattordici giorni prima, continuando ad accarezzarlo.

«Abbassare le palpebre/ Per serrare il figlio/ In una fossa/ Per abitare spoglia/ I suoi detriti».

Cullare altri figli schiusi nella morte

La dimensione orrorifica con cui Mastrototaro apre il bollettino di guerra alla pietà viene ridimensionata dal suo personale agire poetico che, in qualche modo, ne infetta, per usare la lingua batailliana, la logica comunicativa. Il senso di tutto ciò allora risiede nella relazione tra i fatti acclarati mediaticamente e la paradossalità che ne attenta lo stesso senso. La cronaca “nera” che scandisce drammaticamente le pagine del libro fotografa lo sconvolgente quanto assurdo zoocidio in atto citando immancabilmente i nomi delle vittime e la data e il luogo dove si è consumato il delitto. Nomi, luoghi e date non hanno volto, sono semplicemente figure anonime rese comprensibili dalla relazione produttiva e perversa tra capitale, politica e vita animale. Il disclaimer, vera e propria sineddoche del capitalismo, è la liberatoria attraverso cui la civiltà del mercato mette in atto la sua propaganda eticamente insostenibile. Nomi, date e luoghi infatti procurano una vertigine di senso che esclude un vero riconoscimento degli animali, includendoli semmai nel dispositivo del censimento come rilevazione di fatti e biografie concepito come sussunzione di nuda vita.

13 novembre 2024 Cina – Oliver (orso); 14 luglio 2020 Trento – M49 (orso); 1994 Zoosafari di Fasano – Riù (gorilla); 9 marzo 2023 Canada – Kiska (orca); 20 gennaio 2023 Turchia – Proteo (cane); 14 agosto 2022 Oslo – Freya (tricheco); 3 novembre 1957 Russia – Laika (cane); 13 dicembre 1958 Stati Uniti – Gordo (scimmia); 24 gennaio 2024 zoo di Colonia – Barney (panda); 11 novembre 2023 Ladispoli – Kimba (leone); 12 novembre 2014 Bahamas – Kathy (delfina); ….

Il bollettino di guerra è un simulacro di un incontro, un riconoscimento statistico che censisce vite che non contano – meglio, vite che, paradossalmente, contano solo se contate in quanto vittime, come il quotidiano body count dei morti palestinesi definitivamente inclusi nella “specie” inumana.

L’inventario poetico reagisce così allo stato delle cose come se fosse un vero e proprio pamphlet politico.

Una delle situazioni più deprimenti descritte è quella che riguarda un gorilla – Riù, detto il gorilla triste – rinchiuso in un recinto dentro lo zoosafari di Fasano dal 1994. Nella cella è stata installata una videocamera che trasmette ininterrottamente documentari sulla natura, il cui intento sarebbe quello di fornire al povero gorilla l’illusione della libertà. Riù muore a 54 anni, dopo aver scontato la condanna a 30 anni di carcere inflittagli dai paladini della salvaguardia di specie. Il 26 luglio del 2024 lo zoo gli dedica una lapide. «Ci sono voluti/ trent’anni/ per nutrirsi del corpo/ lacerarti la carne/ la vita>>. Nell’attesa della tua scheletrizzazione/ rinchiudiamo un altro gorilla/ per poi occultarne il corpo/ in un eterno gioco a nascondino post-mortem. Riù semmai continua a vivere nei disegni di Alessandra Antonini, efficace nello schizzare corpi e volti animali che fuggono le nature morte della segnaletica zoologica, scegliendo l’indistinzione dell’immagine sfocata a significare la distorsione della tragica realtà che la questione animale impone. Per citare Bacon, il pittore, le persone si sentono offese, quando un artista è in grado di sbatterti in faccia la cruda verità dei fatti, l’orrore del pianto e del dolore al posto del sorriso compiacente.

Ecco, la poeta Mastrototaro e la disegnatrice Antonini, ci rendono coscienti di quanto la violenza sugli animali sia patologica.

L’uccisione dell’orsa Daniza avvenuta l’11 settembre 2024 a seguito di un’ordinanza di abbattimento emessa dalla Provincia Autonoma di Trento oppure la lapidazione di una cagnolina avvenuta il 25 gennaio 2024 in quel di Corigliano Calabro hanno in comune la gratuità manifesta dell’orrore. Come scrive Arendt in Sulla violenza la distinzione tra potere e violenza consisterebbe nel fatto che il potere ha costantemente bisogno di numeri – la conta di vite che non contano – …laddove la violenza fino a un certo punto può farne a meno perché si affida agli strumenti di cui dispone (H.Arendt, Sulla violenza, Guanda 1996, p.44). Premesso che l’equivalenza tra potere e violenza sia un concetto piuttosto ambiguo e non sostenibile politicamente, il carattere strumentale che Arendt assegna alla violenza è di fatto un cosciente esercizio della forza nei confronti di tutto quel vivente che è messo nella condizione di non poter reagire o non essere in grado in quel particolare momento di difendersi.

Così è per Oliver, uno degli orsi “cinesi” della luna a cui viene prelevata bile per ricavarne farmaci….distillati goccia a goccia dall’addome/ come la prima stilla di pioggia che ammazza l’estate, ammazzati o per il cinghiale investito a Firenze …isolato dalle transenne/ il cinghiale/ per lavori (di morte)/ in corso, la differenza si fa sempre più labile in quanto il progresso civile senza limiti agognato da Marx come fine della Storia dello sfruttamento non contempla la violenza come rapporto di forza non paritario e strutturato semmai sulla moltiplicazione della forza in campo.

Opere al nero

Presto, occultiamoci dentro/la spazzatura/ il colpo di carabina/ la paura.

Il lavoro di Mastrototaro è un varco tra una tragica visibilità – visibilità generalmente mediata dai vari dispositivi di comunicazione – e quelle zone oscure, quelle opere al nero in grado di illuminare proprio là dove solitamente non guardiamo. Apparizioni miracolose di un ordine delle cose diverso dal nostro eppure così seducente da meravigliare. Forse è per questo che guardiamo gli animali, come chiede Berger? Un tempo, prima della Storia, gli animali erano visti oltre orizzonte, ovvero, pur soggiogati e uccisi, erano anche venerati e nutriti. La differenza tra potere e violenza allora era data dalla relazione tra uomo e animale; in altre parole ciò che era loro comune era anche ciò che li differenziava. Nel momento stesso in cui gli animali hanno cominciato a sparire da quell’orizzonte di prossimità sensuale per diventare meri ingranaggi della macchina produttiva chiamata sviluppo, la differenza tra potere e violenza si è fatta sempre più sfumata e i due termini hanno assunto una sinonimia finora impensabile.

Essendo stati cooptati nella famiglia e nello spettacolo, la sopravvivenza dei corpi animali dipende dalla loro invisibilità esistenziale.

Quando gli altri animali non entrano nelle categorie che ne permettono la sopravvivenza e ne tollerano l’esistenza o vengono sfruttati e abbattuti come merce o vengono torturati e uccisi come cose. Inoltre, e qui Berger fornisce una lectio magistralis sulla questione animale, più conosciamo gli animali e li studiamo e più la distanza tra noi e loro diverrà incolmabile, mentre l’amministrazione della violenza (di un mattatoio o di un laboratorio) sarà sempre più indistinguibile da uno stupro o da un linciaggio (J. Berger, Sul guardare, B. Mondadori, 2009). In questo senso la lingua adottata da Mastrototaro non solo è la “metrica” con cui prendere le giuste distanze dalla corruzione del mondo contemporaneo, ma anche verso,ovvero direzione da intraprendere per cambiarlo. Il verso impone l’ascolto a discapito di ogni presunta interpretazione, come un raglio, un latrato, un mugghio o un barrito. O come un umano balbettare e il suo gridare alla luna, quanto un lupo.

 Per l’orso il gelo/ dura il tempo di un sogno/ ma ora il suo sonno/ somiglia alla neve.

Come dice Bianca Nogara Notarianni nella sua prefazione, alla violenza dei corpi animali esposti «vi si potrà sfuggire soltanto attraverso la creazione di spazi inediti, impensati, durassero anche il tempo di un verso, di una strofa».

Il cielo stellato scompare/ quando all’orizzonte/ si ferisce il mare.

La copertina è di Schneeknirschen (Pixabay)

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