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Good Time for a Change. MDLSX dei Motus

Dopo tre anni di tour in giro per il mondo e un successo planetario, dal 19 al 21 Aprile ritorna all’Angelo Mai MDLSX dei Motus, uno spettacolo teatrale contro la normazione binaria dei corpi e delle identità sessuali. Un anti-romanzo di formazione per riscrivere il passato sulla via dell’emancipazione futura

Nei giochi olimpici del 2012 a Londra vi fu un piccolo evento che però fu molto significativo del modo con cui viene normalmente concepita la differenza sessuata dei corpi. Nella finale dei 400 misti femminili di nuoto, una giovanissima atleta cinese di 16 anni, Ye Shiwen, migliorò di quasi un secondo il record del mondo allora in vigore in quella disciplina. Ma la sua performance, davvero impressionante, creò sconcerto soprattutto per un dettaglio: nelle ultime due vasche a stile libero dove la Ye diede metri su metri a tutte le sue avversarie, riuscì a nuotare 17 centesimi di secondo più veloce di quello che l’americano Ryan Lochte fece nella stessa gara maschile il giorno prima. Nemmeno i richiami a quel confine arbitrario nella manipolazione del corpo, che nello sport ha preso il nome di doping, riuscirono in dubbio su quello che ormai era un fatto: nel 2012 – e ancora di più oggi, cinque anni dopo – era possibile che il corpo di una donna potesse addirittura fare una performance sportiva migliore di quella di un uomo. Che cosa può dunque un corpo? Che cosa è in grado di fare? Lo spettro agitato implicitamente dal record della Ye era che persino nello sport – uno dei pilastri del binarismo sessuale – la differenza sessuale iniziava pian piano a sgretolarsi.

Di solito, siamo abituati a pensare alle potenzialità di un corpo in modo statico: il corpo maschile sarebbe in grado di fare delle cose mentre al corpo femminile sarebbero richieste altri tipi di azioni. È per quello che alle olimpiadi maschi e femmine gareggiano separati, perché la loro potenzialità sarebbero in un certo senso “date”. Non si tratta però solo di una questione che attiene allo sport, dato che è innanzitutto sulle proprietà del corpo che risiede uno dei dispositivi di naturalizzazione apparentemente più inscalfibili della divisione sessuale del lavoro su cui da sempre si regge il modo di produzione capitalistico. E invece i corpi non sono delle potenzialità statiche, ma sono dei flussi su cui si sedimentano un’infinità di operazioni simboliche, linguistiche e tecnologiche, su cui cioè avvengono in continuazione dei cambiamenti. Non si tratta solo dei cambiamenti filogenetici – ovvero del fatto che nei secoli e nei millenni il corpo degli esseri umani è mutato in modo sostanziale grazie alla scienza, alla medicina, alla salute pubblica etc. – ma anche di qualcosa che accade sull’asse ontogenetico, cioè che avviene per ogni singolo corpo e per ciascuno di noi.

Il corpo di un neonato deve essere allattato, svezzato, deve essere educato all’uso degli sfinteri, bisogna tagliargli le unghie, i capelli, i denti devono essere curati etc. L’essere umano insomma deve essere educato a essere naturale. E il problema è proprio questa paradossale educazione all’essere naturale: un dispositivo che fa sì che quello che un corpo possa fare – l’infinito insieme delle sue potenzialità di connessione e combinazione con dispositivi simbolici e tecnologici – venga tramutato in ciò che quel corpo deve fare. In ciò che il potere gli intima di fare. E uno degli esempi più lampanti di proiezione di questo “dover essere” sul corpo è proprio la differenza sessuale: quel meccanismo che fa sì che l’insieme di elementi molteplici costituito da cromosomi, marker genetici, gonadi, ormoni, organi riproduttivi e genitali – ma soprattutto dispositivi culturali e linguistici – che spesso hanno un altissimo grado di incertezza e indeterminazione vengano ridotti a due. Il maschio e la femmina. È il romanzo di formazione alla differenza sessuale di cui tutti siamo parte, ed è per questo che uno spettacolo teatrale geniale com’è MDLSX, che si propone di mostrare il rovescio molteplice d binarismo sessuale non possa che costruirsi secondo il principio di un paradossale (anti)romanzo di formazione.

Scritto e messo in scena dai Motus di Rimini, tra i più importanti gruppi di teatro sperimentale italiano degli ultimi trent’anni, è ormai da due anni – dalla sua anteprima a Santarcangelo nel 2015 – che MDLSX sta facendo il giro del mondo riscuotendo un successo strepitoso dagli Stati Uniti all’Australia, dalla Francia alla Germania. E non è difficile capirne il motivo: al di là del bellissimo testo (di Silvia Calderoni e Daniela Nicolò) o della messa in scena (di Enrico Casagrande e Daniela Nicolò), è soprattutto la performance di Silvia Calderoni che rende l’esperienza di questo spettacolo davvero unica, perché riesce a fare delle parole di una storia di intersessualità non un’illustrazione scenica, ma una vera e propria immagine teatrale. E poco importa che in scena si vedano abbondanti immagini video dell’infanzia e dell’adolescenza da tomboy della Calderoni, generando a tratti l’effetto del biopic: non è un peccato giocare al confine con la manipolazione del proprio pubblico quando il risultato è di tale intensità. Perché MDLSX, al contrario di quello che hanno creduto in tanti, non è uno spettacolo autobiografico della Calderoni per una ragione che è innanzitutto formale: perché non è con il registro dell’identità che i Motus vogliono giocare la loro partita teatrale. Cut-up di Middlesex di Jeffrey Eugenides, Orlando di Virgina Woolf, di Donna Haraway, Judith Butler, Paul B. Preciado ma anche di Smiths, Yeah Yeah Yeahs, Placebo, Talking Heads, R.E.M. e chissà quante altre cose ancora, MDLSX è soprattutto la costruzione orizzontale di un immaginario, di una serie di connessioni che possano rendere possibile la riappropriazione delle potenzialità molteplici di un corpo.

Sono nato due volte: bambina, la prima, un giorno di gennaio del 1960, in una Detroit straordinariamente priva di smog, e maschio adolescente, la seconda, nell’agosto del 1974, al pronto soccorso di Petoskey, nel Michigan” ci viene detto prendendo a prestito le parole di Eugenides. E se si può nascere due volte è proprio perché il corpo è da sempre un’entità spezzata, divisa, sulla cui carne si viene sempre a iscrivere un processo simbolo. E se quest’infinità a volte riesce molto parzialmente e molto precariamente a raggiungere un’unità fittizia è solo grazie all’immagine di sé. Sta qui la dialettica intensa eppure angosciosa tra il molteplice e l’Uno del corpo: il molteplice dei suoi possibili assemblaggi e nello stesso tempo l’ingiunzione a diventare Uno, a diventare identità, a diventare Io. Gli specchi, come aveva capito Lacan, sono infatti da sempre l’ossessione di ogni pensiero dell’identità e anche qui li vediamo minacciosi rimandare in continuazione a una “maturazione” sessuale che non avviene: i seni non crescono, i peli si contano sulle dita di una mano, le compagne di hockey che negli spogliatoi non hanno paura di mostrare i loro corpi (mentre Silvia/Cal si nasconde dietro la maschera da portiere). Ma lo specchio è anche lo sguardo minaccioso della madre nei filmini d’infanzia, che a volte irrompe sulla scena e occupa il frame con il suo occhio inquisitore (anche se in realtà voleva solo controllare quanta pellicola era rimasta e l’unico modo per farlo era guardare i numeri della pellicola dentro all’obiettivo). Nascere in un mondo che vuole spingerti a essere femmina non preoccupandosi del tuo desiderio può essere un’esperienza angosciante: può voler dire essere costantemente esposti allo sguardo dell’altro, come quello della medicina che vorrebbe ridurre l’intersessualità e l’incertezza sessuale a una mostruosità.

Ma MDLSX ci dice anche che lo specchio e l’immagine di sé possono paradossalmente anche essere il tramite per la costruzione di un percorso di liberazione: è quello che rimanda l’immagine cambiata dei propri capelli alla fine dello spettacolo (“ero diventata il mio fratello gemello”), così come è una sorta di specchio lo schermo che vediamo in scena dove vengono proiettate le immagini che Silvia Calderoni riprende con un cellulare durante tutto lo spettacolo. Perché il problema, anche politico, è quello di cercare un altro dispositivo di costruzione del proprio corpo: un nuovo modo di “affettarlo”, di renderlo capace di fare altre cose. Si tratta di tecnologia, certo, ma si tratta anche e soprattutto di desiderio. E come lo si costruisce un desiderio? Liberarsi dal dover-essere del binarismo non potrà certo avvenire sull’asse verticale con il padre e allora forse bisognerà inventarsi un asse orizzontale di alleanze tra pari, un we, un noi, come si dice a un certo punto dello spettacolo: il fratello che rifiuta i valori della famiglia (e la cui fidanzata porta per la prima volta il marxismo in casa), le amiche lisergiche del locale di burlesque, i camionisti incontrati facendo autostop ma anche gli Smiths, la musica e molto altro ancora. “Non sarebbe stato tutto più semplice se fossi rimasta com’eri?” chiede a Silvia/Cal il padre alla fine. Non sarebbe stato più semplice lasciare che il proprio corpo venisse disciplinato nelle maglie strette del binarismo? No, non lo sarebbe stato: perché “io sono sempre stata così”. Il passato lo si può riscrivere solo dal punto di vista della propria emancipazione futura.

E tuttavia anche a fronte di un happy ending non possiamo non pensare che l’enigma del desiderio, in un testo che ha il pregio di mettere insieme il registro esistenziale e politico senza soluzione di continuità, rimanga comunque, nonostante tutto, minimamente opaco. L’ “Io sono sempre stata così” non può essere l’Io dell’identità. È questo il tono, quasi subliminalmente malinconico, sui cui termina splendidamente lo spettacolo: “Good times for a change” dice Morrissey in quel piccolo capolavoro che è Please Please Please Let Me Get What I Want sulle cui note si accendono le luci. E chissà a chi è indirizzata questa preghiera degli Smiths in cui si chiede di riuscire finalmente ad avere quello che desideriamo. Dato che forse – proprio perché lo chiediamo, e magari anche a gran forza – non potremo mai conoscerlo fino in fondo.

Dal 19 al 21 aprile MDLSX è di nuovo in scena all’Angelo Mai. Qui tutte le informazione per prenotarsi all’evento

Foto tratte da motusonline