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MONDO

Voto degli italiani all’estero: tra brogli, sangue e suolo

Reportage dall’Argentina, il Paese con più italiani dopo l’Italia. Tra voti per corrispondenza e cacce ai plichi, ex ministri di un altro Stato candidati al Parlamento nazionale e uomini di nobile stirpe che rivendicano il diritto di sangue contro quello di suolo, la squadra di Onorevoli dal resto del mondo si prepara a volare verso Roma. Come già accaduto in passato, potrebbe giocare un ruolo decisivo. Sullo sfondo, intanto, milioni di residenti in Italia con passaporto di un altro colore possono solo osservare un altro governo che cambia.

Un ragazzo e una ragazza osservano un enorme manifesto elettorale con due volti: uno è dell’ex premier italiano Matteo Renzi. Sembrano chiedersi come sia arrivato fin là. Un sole di fine estate riscalda la scena, mentre 12mila chilomentri a nordest il Colosseo è coperto di neve. Siamo dall’altra parte del pianeta, nell’emisfero australe. Nonostante la distanza, anche qui si vedono i segni della campagna elettorale in corso da Trieste in giù.

Sono gli effetti della legge Tremaglia nella capitale dello Stato in cui, dopo l’Italia, vivono il maggior numero di italiani: l’Argentina. Su 4milioni e 300mila elettori che possono votare fuori dai confini nazionali, oltre 800mila si trovano nella patria di Maradona e Che Guevara. Quasi il 20% del totale.

Se collocassimo una fantasiosa circoscrizione degli italo-argentini all’interno della Penisola, supererebbe quella del Trentino Alto Adige, del Friuli Venezia Giulia, dell’Umbria e del Molise. Sarebbe dieci volte più grande di quella della Val d’Aosta. Gli iscritti nei registri elettorali dell’ambasciata di Buenos Aires, del resto, sono maggiori a quelli dell’intera regione di Isernia e Campobasso: sfiorano i 230mila.

LA STORIA

Il diritto di voto degli italiani all’estero è riconosciuto dal comma 3 dell’articolo 48 della Costituzione. È solo a partire dal 2003, però, che in giro per il mondo si iniziano a verificare scene simili a quella raccontata in apertura. Fino ad allora, l’unico modo per partecipare alle elezioni italiane era fare la valigia, prendere un aereo, tornare nel Bel Paese e recarsi presso il proprio seggio. In alternativa, chi non era emigrato al di là dell’oceano, come il Pasquale Ametrano di Bianco, Rosso e Verdone, poteva decidere di affrontare un lungo viaggio in macchina.

La legge Tremaglia modifica radicalmente questa situazione, istituendo la circoscrizione estero. Questa è divisa a sua volta in quattro ripartizioni, calcolate in base al numero dei residenti italiani: Europa (che comprende anche Turchia e Russia); America meridionale; America settentrionale; Asia-Africa-Oceania. Eleggono un totale di 12 deputati e 6 senatori. La legge si applica alle elezioni nazionali e ai referendum, mentre rimangono escluse le elezioni europee, quelle regionali e le amministrative.

Questa profonda trasformazione del quadro normativo generò immediatamente aspre polemiche. In effetti, non sono pochi i paradossi che produce. Sia rispetto alla popolazione che ha diritto al voto, sia alle modalità dello stesso.

Da un lato, riconosce la possibilità di partecipare alla vita politica del paese, anche esprimendo delle rappresentanze specifiche, a un gran numero di persone che lo hanno lasciato definitivamente o che, al contrario, lo hanno visitato soltanto da turisti. Nel caso più estremo, è possibile che voti una persona mai stata in Italia, magari perché ha ottenuto la cittadinanza attraverso un lontano parente. Dall’altro, continua a destare grandi perplessità la procedura di espressione delle preferenze elettorali: per corrispondenza. Sul territorio italiano, questa modalità è espressamente vietata, in quanto non garantisce le tre caratteristiche che secondo la Costituzione devono caratterizzare il voto: libero, segreto, individuale.

IMBROGLI E SANTINI

Negli ultimi anni, si sono moltiplicate le denunce di irregolarità e brogli intorno al voto estero. In un’intervista al Fatto Quotidiano precedente al referendum del 2011, il politologo Giovanni Sartori definì un’“enorme assurdità” questo aspetto del sistema elettorale, arrivando ad affermare che “ci sono delle bande più o meno mafiose che si mettono insieme e pilotano quei voti”. Secondo il professore, recentemente scomparso, “la quasi totalità di questi italiani all’estero non conosce né segue la politica nazionale, né tanto meno le discussioni sui quesiti referendari”.

Sempre sul Fatto, sono stati pubblicati nel 2016 gli estratti di una lettera firmata da Cristina Ravaglia, allora direttrice generale della Farnesina per gli italiani all’estero e le politiche migratorie. Il quotidiano non esita a definirla la “maggiore conoscitrice della legge Tremaglia”. In quel testo, l’ambasciatrice se la prende con le modalità del voto per corrispondenza, un sistema “totalmente inadeguato, se non contrario ai fondamentali principi costituzionali che sanciscono che il voto sia personale, segreto e libero” con “effetti potenzialmente distorsivi sull’impianto vigente”.

Esilarante, poi, la serie di servizi televisivi del programma Le Iene in cui viene smascherato un vero e proprio sistema organizzato di “caccia ai plichi e alle tessere elettorali”. Tra i deputati coinvolti, il celebre Antonio Razzi: colui che si propose come mediatore tra Trump e Kim Jong-un, infatti, è stato eletto nella ripartizione Europa, grazie alla sua residenza in Svizzera. Il servizio televisivo mostra le foto di una maccheronata in un sobborgo vicino Zurigo in cui la portata principale, oltre ai maccheroni, sono montagne di schede elettorali. Secondo Massimo Pillera – giornalista, scrittore ed ex collaboratore di Razzi – la caccia al plico è una pratica consolidata, sistemica ed estremamente diffusa nelle competizioni elettorali oltre confine. All’estero, c’est plus facile, afferma Pillera.

Oltre ai veri e propri brogli, c’è poi una problematica molto ampia relativa alle influenze, dirette o indirette, esercitate dai patronati. Tali strutture svolgono delle funzioni istituzionali di riferimento per lavoratori e pensionati italiani che vivono in altri Paesi e godono di un’ampia rete di contatti in questa popolazione. Giovedì scorso, la lista Potere al Popolo ha pubblicato una videodenuncia relativa al patronato di Liegi. In base a diverse testimonianze in circolazione, c’è da pensare che non si tratti di un caso isolato.

VOTO ALL’ESTERO INQUINATO. SERVE IL CONTROLLO POPOLARE!

VOTO ALL’ESTERO INQUINATO. SERVE IL CONTROLLO POPOLARE!Guardate qui… La funzionaria del patronato legato alla UIL dà esplicitamente indicazioni di voto (PD) e indica addirittura la preferenza da esprimere (all’estero vale un sistema elettorale differente): Laura Garavini. Che non è nuova a questi meccanismi, visto che era già balzata agli onori delle cronache nel 2013, anno delle ultime elezioni parlamentari…1) il patronato – pagato coi soldi di tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici dipendenti – NON può dare indicazioni di voto;2) Il patronato – pagato coi soldi di tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici dipendenti – NON può accettare di ricevere i plichi degli elettori nella propria sede. NON si può lasciare la propria scheda elettorale a terzi!3) La funzionaria del patronato – pagato coi soldi di tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici dipendenti – dovrebbe sì assistere la persona che cerca un aiuto, ma semplicemente spiegando le modalità del voto. E magari ricordando quanto prescritto dall’articolo 48 della Costituzione: “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto.”Prima non ci hanno fatto candidare. Per una legge discriminatoria per gli italiani all’estero che, fuori dall’Italia, non hanno potuto avvalersi della riduzione di firme necessarie alla presentazione della lista, come invece in ogni altra circoscrizione nazionale. Raccolta firme, di persona e documenti alla mano, solo nei consolati – e come fa una persona che vive magari a 500km dal più vicino? Ostacoli invalicabili – come fai a raccogliere le firme se i funzionari a chi vuol firmare per Potere al Popolo presentano solo le schede per la Camera dei Deputati e non quelle del Senato della Repubblica?Ma chi vigila su questi comportamenti? Basta una breve ricerca in rete per capire che lo stesso modus operandi viene portato avanti non solo a Liegi e non solo in questa tornata elettorale. E che nessuno fa nulla affinché cambi qualcosa. Dov’è il Ministero del Lavoro? E quello degli Esteri? Non pervenuti.Potere al Popolo è l’unico granello di sabbia che può dar fastidio e bloccare l’ingranaggio!

Pubblicato da Potere al Popolo su giovedì 1 marzo 2018

Accanto a gravi episodi di questo tipo, se ne possono trovare altri di natura più comica. Anche questi testimoniano i problemi sollevati dal voto per corrispondenza. In occasione del recente referendum costituzionale, alcuni rappresentanti di lista per il No presenti allo scrutinio della circoscrizione estero, dichiararono che dentro le buste si trovava di tutto: dalle raffigurazioni dei santi protettori di vari paesini sparsi per la penisola, a scontrini fiscali e schede doppie. Fino a un passaporto e addirittura a un assegno da 7mila pound. Verosimilmente, qualcuno aveva confuso le buste delle lettere, inviando il voto a un suo creditore e l’assegno al consolato italiano.

Quest’anno, per provare ad arginare simili fenomeni, sono state introdotte alcune novità. La principale è un codice a barre con i dati identificativi dell’elettore, per tracciare il percorso delle buste ed evitare che qualcuno, dopo aver ricevuto la scheda nella buca delle lettere, chieda anche il duplicato in ambasciata (cosa tecnicamente possibile fino alle elezioni precedenti). A Buenos Aires, inoltre, due funzionari diplomatici hanno presidiato la tipografia, per controllare le procedure di stampa. Tutte queste contromisure, però, non riescono a incidere sul problema principale del voto per corrispondenza, cioè il fatto che sia proprio l’elettore titolare della scheda a marcare la X. Anche perché le schede continuano ad arrivare per posta semplice e, quindi, possono essere ritirate da un vicino, da un passante casuale o da un nuovo inquilino dell’appartamento. Niente impedisce, inoltre, di accumulare le schede di chi non vuole votare. O di comprarle.

Altre due novità di questa tornata elettorale sono l’estensione della possibilità di votare agli italiani che si trovano fuori dal Paese solo temporaneamente, e quindi non sono iscritti all’AIRE, e quella di candidarsi anche in una delle ripartizioni estere per italiani che risiedono in Italia. Questa seconda modifica alla legge Tremaglia potrebbe aiutare a dotare di una sorta di “paracadute” determinati esponenti politici a rischio caduta.

EFFETTI DI RITORNO

Le schede elettorali che attraversano continenti e oceani, atterrano all’aeroporto di Fiumicino e vengono trasportate a Castelnuovo di Porto, vicino al grande centro di accoglienza, possono produrre effetti molto diversi in base al tipo di votazione a cui si riferiscono.

Per quanto riguarda le elezioni politiche nazionali, il peso degli elettori che vivono fuori dall’Italia è minore di circa un quarto rispetto a quello di parenti e amici (ammesso che ne abbiano) che risiedono sul territorio nazionale. Ciò significa che allo stesso numero di elettori corrispondono 12 deputati e 6 senatori al di là del Brennero e circa 50 deputati e 25 senatori al di qua. Una sproporzione destinata a crescere insieme all’aumento dei “nuovi emigranti” e dei discendenti dei vecchi che ottengono la cittadinanza.

Altro discorso riguarda i referendum. In questo caso, il peso del voto non dipende dalla latitudine a cui viene espresso. Una scheda imbucata in un seggio tra le calli di Venezia e un’altra spedita attraverso la rappresentanza diplomatica di Yangon in Birmania hanno uguale valore. Altrettanto, sul quorum influiscono in modo identico l’elettore che abita in piazza Plebiscito, è informato della consultazione dai giornali e vota nel seggio di fronte casa, come quello che vive vicino Manaus, a ridosso della foresta amazzonica, non segue il dibattito politico italiano e può essere costretto a percorrere molti chilometri per ritirare la scheda.

Questo meccanismo, alla luce degli altissimi tassi di astensione all’estero, aggiunge un ulteriore ostacolo al successo dei referendum popolari, proposti spesso in sfida agli stessi rappresentanti delle istituzioni (vedi l’invito all’astensione dell’ex primo ministro Renzi rispetto al quesito sulle trivelle). C’è però una specifica consultazione referendaria in cui le cose funzionano diversamente: il referendum costituzionale. Questo, infatti, è valido anche senza quorum.

Paradossalmente, il voto oltre confine ha un peso specifico maggiore proprio nella consultazione che riguarda l’atto normativo più importante. Lo sapeva bene Mattero Renzi che, nell’autunno di due anni fa, spedì al di là dell’oceano Maria Elena Boschi. La ministra si spese in un tour elettorale tra Brasile, Uruguay e, ovviamente, l’ambita Argentina. In quell’occasione, all’estero votò il 30,76% degli aventi diritto: 722mila Sì, contro 394mila No alla riforma di Renzi. Il 64,7% contro il 35,70%. Ben 328mila voti ingrossarono le fila di chi era favorevole a riformare la Costituzione. Soltanto una straordinaria affermazione del No in Italia, con quasi 20 punti percentuali di scarto, evitò che quelle preferenze costituissero l’ago della bilancia in un risultato che si annunciava (a torto) sul filo del rasoio.

In ogni caso, il paradosso degli italiani all’estero decisivi per lo scontro politico nazionale era già diventato realtà qualche anno prima. Siamo nel 2006 e il governo di Romano Prodi ha una maggioranza risicatissima al Senato. Il centro-sinistra ha fatto incetta di voti all’estero, eleggendo ben 4 senatori su 6. Il quinto è di Forza Italia e il sesto della lista Associazioni Italiane in Sud America. Si chiama Luigi Pallaro e a Buenos Aires è un uomo potentissimo. Prima del voto, l’esponente politico era a capo del movimento “Azzurri nel mondo”, legato a Forza Italia. Subito dopo, decide di appoggiare Prodi, permettendogli di ottenere la fiducia anche alla Camera Alta. Secondo alcuni, questo cambio repentino avviene su pressioni dell’allora primo ministro argentino Nestor Kirchner. In diverse occasioni il voto dell’Onorevole di Buenos Aires si rivelerà decisivo per la tenuta della maggioranza. Quando il 24 gennaio 2008 il governo cade, andando sotto al Senato, Pallaro non ha partecipato alla votazione.

I CANDIDATI

In queste elezioni, la candidatura estera che ha riscosso maggiore attenzione nel dibattito nazionale è stata certamente quella dello strano partito Free Flights to Italy. “Come dice il nome, Free Flights to Italy è una lista con un unico scopo: pagare voli verso l’Italia agli italiani all’estero”, ha scritto Vice alcuni giorni fa. Prima di scomparire dal web, il partito/ONG sosteneva che i fondi per questa agevolazione si sarebbero potuti trovare tagliando i “fiumi di denaro spesi per l’accoglienza in albergo, con pensione completa a tempo indeterminato, di personaggi senza documenti, di cui non si conosce provenienza, età, nome o cognome”. Uno dei due candidati a rappresentare gli italiani residenti in Centro e Nord America si chiama Giuseppe Macario. Secondo diversi testimoni intervistati da Rolling Stone, l’uomo vanterebbe titoli universitari e professionali fasulli e sarebbe dedito a perseguitare via web docenti di varie università. Intanto, la Procura di Roma ha aperto un’indagine: pare che i documenti presentati dalla lista siano zeppi di irregolarità ed è possibile che le 500 firme raccolte siano false.

Tornando nella ripartizione dell’America Meridionale, qui la grande sfida sembra essere tra il Movimento Associativo Italiani all’Estero e il Partito Democratico, che nelle elezioni del 2013 si sono praticamente divisi gli Onorevoli. I due deputati più votati nel 2013, Ricardo Antonio Merlo per il MAIE e Franco Porta per il PD, concorreranno questa volta per il Senato. Il primo è nato e cresciuto a Buenos Aires, con una parentesi di studi all’università del Salvador e a quella di Padova. Il secondo è nato a Caltagirone, in Sicilia, ha studiato a Roma e, attraverso la militanza nell’Azione Cattolica e poi nella UIL, si è avvicinato al partito di Renzi. Da quando esiste la circoscrizione estera Merlo è stato eletto in tutte le occasioni, Porta ha fallito soltanto il primo tentativo.

Sarà interessante vedere che tipo di influenza ruscirà a esercitare il MAIE, uno schieramento indipendente che dice di voler anteporre gli interessi degli italiani all’estero alla classica divisione tra destra e sinistra. Al Senato, infatti, è molto probabile che non si diano maggioranze definite e potrebbe presentarsi una situazione analoga a quella del 2006. Quell’anno, Merlo entrava per la prima volta alla Camera, nello stesso partito del Senatore Pallaro.

Tra i 10 punti programmatici del MAIE, oltre alle classiche rivendicazioni di una maggiore efficienza della rete consolare e di più intensi scambi culturali e commerciali tra Italia e Sud America, spiccano la richiesta di cancellazione dell’IMU per chi non vive nei confini nazionali e della tassa (una tantum) sulla cittadinanza. In questa fase politica suona particolarmente significativo il punto 7, che recita: “La politica migratoria italiana deve dare la priorità all’ingresso di famiglie italiane o di persone di origine italiana dall’estero e, dall’altra parte, contrariamente a quanto è stato fatto negli ultimi anni, controllare e respingere l’immigrazione clandestina”.

Questa tematica è molto cara anche ai candidati dello schieramento politico che fa capo a Salvini, Meloni e Berlusconi. Soprattutto a quelli in quota Lega. Due di loro si presentano praticamente in coppia, promuovendo simultaneamente la rispettiva immagine. Si tratta di Louiz Osvaldo Pastore, imprenditore agricolo che concorre per il Senato, e di Luis Roberto di San Martino-Lorenzato di Ivrea, uomo d’affari candidato alla Camera, nato in Brasile ma discendente di una famiglia di nobili della marca d’Ivrea. In alcuni video che è possibile trovare su facebook, San Martino-Lorenzato si spende a denunciare il progetto della “sinistra” di abolire lo Ius Sanguinis. In un italiano stentato, sostiene che questo progetto di legge darebbe precedenza agli immigrati clandestini rispetto alle famiglie italiane che in passato hanno fatto un gran viaggio per costruire “paesi come l’Argentina, il Brasile, il Cile, l’Urugay e il Paraguay”.

¡Vote Pastore Senador, Lorenzato Diputado!

NO PERDAMOS EL DERECHO A LA CIUDADANÍA ITALIANALorenzato estuvo en la Plaza de Mayo y te cuenta por qué hay que votarlo como diputado

Pubblicato da Vote por la Ciudadanía Italiana su lunedì 19 febbraio 2018

In un altro video, il candidato di origini nobiliari fa appello direttamente a papa Francesco. Dal momento che il Pontefice si preoccupa così tanto degli immigrati, lo invita a prendersi a cuore anche gli “antichi” (o “autentici”) migranti, cioé quelli che hanno reso possibile la Gran Nazione Argentina.

Vote Pastore Senador, Lorenzato Diputado!

Nuestro candidato, Lorenzato, deja un mensaje al Papa Francisco y a toda la comunidad italiana argentina.

Pubblicato da Vote por la Ciudadanía Italiana su martedì 20 febbraio 2018

Nella Lista Civica Popolare Lorenzin ha fatto discutere la candidatura di Rodolfo Carlos Barra. Si tratta dell’avvocato dell’ex presidente Menem, l’uomo che governò l’Argentina dal 1989 al 1999, portando il Paese allo sfascio economico a suon di politiche neoliberali. Durante i suoi governi, Barra è stato investito di importanti cariche istituzionali fino quella di Ministro della Giustizia (1993-1996). Fu costretto a dimettersi quando si diffuse la notizia di una sua partecipazione giovanile ad alcune organizzazioni di ispirazione fascista. Un importante quotidiano del paese, Pagina 12, lo accusò di aver preso parte a un attacco contro una sinagoga. Non c’è traccia, invece, di rapporti particolari con istituzioni italiane o con l’Italia in generale. Quest’uomo è candidato nella Lista Civica Popolare il cui simbolo, secondo Lorenzin, è un “fiore petaloso”.

Infine, anche all’estero si presentano Liberi e Uguali ed Europa+. Nella circoscrizione dell’America Meridionale, completano il quadro le liste UNITAL (Unione Tricolore America Latina) e USEI (Unione Sudamericana Emigrati Italiani). Non è invece possibile crociare il simbolo di Potere al Popolo. Il sorprendente esperimento di sinistra non è riuscito a raccogliere le 500 firme obbligatorie per i partiti che non sono già rappresentati in Parlamento. PaP ha annunciato l’intenzione di sporgere denuncia penale per una serie di eventi che avrebbero ostacolato la sua campagna all’estero: “discriminazione nel numero di firme da raccogliere rispetto al territorio nazionale, assenza ed impreparazione del personale consolare, intimidazioni per aver organizzato dei semplici volantinaggi al di fuori delle sedi diplomatiche italiane”. In risposta a quest’assenza forzata, Potere al Popolo promuove la campagna “adotta il mio voto”, attraverso cui chiede agli indecisi o a chi vuole astenersi di barrare il suo simbolo al posto dei tanti emigranti che non potranno farlo.

LE VOCI DEGLI ELETTORI

La comunità italiana che vive a Buenos Aires è una città nella città. Secondo l’annuario statistico del Ministero Affari Esteri, nel 2017 gli iscritti all’anagrafe consolare della capitale argentina erano 302.072. Dietro quel numero si intreccia una babele di storie di vita e di intrecci linguistici, culturali, familiari e affettivi. Ci sono persone nate in Italia e poi trasferitesi dall’altra parte dell’oceano. Ci sono pronipoti di italiani partiti con la valigia di cartone nel secolo scorso che hanno visto la penisola soltanto in cartolina o su googlemaps. Ci sono figli di emigranti che hanno studiato in Italia o vi hanno soggiornato temporaneamente durante gli anni difficili del collasso finanziario. Ci sono giovani che hanno riaperto una rotta migratoria antica, spinti dalla crisi economica che ha colpito l’Europa mediterranea. Alcuni parlano italiano con l’accento di provenienza, altri lo mischiano a parole del lunfardo, altri ancora non riescono ad andare oltre un “come stai?” ripetuto agitando la mano destra su e giù, in quel gesto “tanto in uso presso gli apuli” in cui Carlo Emilio Gadda vedeva un tulipano.

Maria Rosa Arona è nata in Argentina, ma ha vissuto 20 anni in Italia. Lavora come responsabile del patronato INCA della CGIL di Caballito, un quartiere al centro di Buenos Aires. Con gentilezza mi offre un caffé solubile, “non come quello italiano”. Afferma che la legge Tremaglia ha dato seguito a una rivendicazione storica delle comunità italiane all’estero, ma ha aperto contemporaneamente una serie infinita di problematiche procedurali. “La questione non riguarda solo la distribuzione delle schede, che non garantisce la segretezza del voto, ma anche come viene realizzato lo scrutinio e il fatto che l’informazione intorno alle elezioni sia scarsissima”. Maria Rosa sostiene che “invece di far finta che il voto degli italiani all’estero non esista, andrebbe messo in sicurezza”. Le problematiche legate alla vita della comunità italiana che emergono dal racconto sono tante: alcune riguardano tutti, come i tagli alla rete consolare, altre solo chi è nato in Italia, come il mancato aggiornamento delle pensioni in base alla galoppante inflazione argentina.

Sarebbero circa il 15/20% gli italiani di Buenos Aires nati in Italia, gli altri lo sono diventati attraverso i legami familiari. “In tempi di globalizzazione la cittadinanza per sangue mi sembra retrograda. Questo sangue, per giunta, è maschilista, visto che per la discendenza femminile ammette solo i figli nati dopo il ’48, mentre per quella maschile si può arrivare fino al terzo grado di parentela, senza limite di tempo”. Per molti giovani argentini, la cittadinanza italiana è uno strumento utile a cercare fortuna all’estero, soprattutto in un periodo di forte incertezza economica. “Le domande stanno aumentando. Molte persone che vengono qui, però, non sanno neanche da quale paese veniva il nonno o il bisnonno”. La conversazione vira naturalmente sul tema Ius Soli. “Mi sembra un gesto di civiltà. Noi siamo anche argentini perché qui c’è una legge che ci garantisce questo diritto. Pensate se considerassimo gli italiani che vengono qua come persone che ci tolgono il lavoro o l’assistenza sanitaria”. Quello che sembra infastidire davvero l’interlocutrice è una possibile contrapposizione tra emigranti e immigrati: “Non sta male che chi discende da un italiano possa votare. Evidentemente ha un motivo forte che lo spinge a voler partecipare alla vita politica del Paese. Ma non riconoscere lo stesso diritti ai figli di immigrati nati e cresciuti in Italia è davvero ingiusto”.

Dalla CGIL allo storico Circulo Italiano de Buenos Aires bisogna prendere un autobus. Dai locali spartani della sede sindacale si arriva in un edificio sontuosamente arredato. A destra della scalinata c’è un proclama di Vittorio Emanuele, a sinistra le parole del generale Armando Diaz. Mi ricevono Franco Arena ed Edda Cinarelli. “Ho lavorato 15 anni con l’Onorevole Tremaglia, l’unico politico che si è battuto davvero per gli italiani all’estero, facendo approvare una legge che permette loro di votare” – dice subito l’uomo – “Oggi i comunisti vorrebbero riservare questo diritto agli immigrati che non condividono niente della nostra identità. Al contrario, nel mondo ci sono 5 milioni di italiani e 60 milioni di oriundi. Come diceva Mussolini, rappresentiamo ‘l’Italia fuori dall’Italia’, una straordinaria fonte di ricchezza”. Mi racconta che a Buenos Aires venne fondata la società italiana di mutuo soccorso “Unione e Benevolenza” prima ancora dello Stato nazionale, nel 1858. “Tremaglia ha scritto una grande legge, anche se oggi molti di quelli che si candidano all’estero non parlano neanche italiano. Il problema, però, sta nelle persone, non nella norma”.

Edda è di un altro avviso: “Gli argentini vedono il mondo in maniera differente. Sembriamo uguali, ma non lo siamo. Chi è nato e cresciuto qui, ha categorie politiche diverse dalle nostre e quando esprime un voto lo fa solo in base a conoscenze personali o a indicazioni che riceve dalle varie associazioni”. Secondo la giornalista, nata a Bologna ma residente in Argentina sin dagli anni ’80, “la questione centrale è la scuola. Se uno si forma in un Paese, al di là di dove è nato o di dove sono nati i genitori, può capirne la cultura, altrimenti è quasi impossibile. Secondo me la cittadinanza, come in altri Paesi, dovrebbe essere legata a un esame di lingua e cultura”. Faccio notare che in Italia gli immigrati, per ottenere un permesso di soggiorno di lungo periodo, sono obbligati a sostenere un test linguistico. “Infatti. Mi sembra ingiusto che il figlio di genitori somali o egiziani che frequenta tutte le scuole nel nostro Paese non sia considerato cittadino italiano, mentre un discendente di italiani nato e cresciuto all’estero sì”. Anche per Edda, inoltre, c’è una mancanza di dibattito, informazione e formazione in gran parte della comunità italiana, che influisce negativamente sul voto e che la legge da sola non può in alcun modo sanare. A maggior ragione a fronte dei tagli alle strutture diplomatiche e culturali degli ultimi anni. Mentre spengo il registratore, si avvicina Franco Arena e mi regala un tricolore. Non ne prendevo in mano uno da Francia ’98.

Emiliano Veneroni ha ottenuto la cittadinanza una decina di anni fa grazie a una bisnonna di Lecce e a un bisnonno di Pavia. Lo scorso anno è stato in Italia e in Europa per la prima volta, in un viaggio di sei mesi attraverso le città di cui aveva solo sentito parlare. Quando lo raggiungo telefonicamente, alcuni giorni dopo la richiesta di intervistarlo, dice di avermi pensato di recente, quando ha saputo del giornalista ucciso in Slovacchia. “Deve essere dura la vita in Italia con queste cose della mafia” – ripete – “Soprattutto per i giornalisti”. Parliamo in spagnolo e gli chiedo subito delle elezioni. “Ho votato per la prima volta, visto che un poco avevo conosciuto il Paese. Mi piace stare in regola con queste cose. Sto pensando che un giorno mi candiderò al Parlamento italiano. Credo che sia più facile farcela così, che candidandosi in Argentina. Qui la rappresentanza è molto chiusa”. Emiliano racconta che ha votato per “Liberi e Auguri”, li chiama così, perché ha trovato un candidato kirchnerista. “Loreti è vincolato al kirchnerismo, come me. Mi sembra che in Italia si voti spesso a destra, io invece penso che bisogna sostenere chi si vuole occupare dei diritti sociali. Non so se lui è una brava persona, perché non lo conosco, però almeno è vicino alla mia ideologia politica”.

DENTRO E FUORI LE URNE

Mentre le schede elettorali degli italiani all’estero viaggiano dai quattro angoli del pianeta verso Castelnuovo di Porto, la domenica del voto è ormai alle porte. Le elezioni arrivano dopo una campagna elettorale che in tanti hanno giudicato “orribile”. Sulla scorta di gravi fatti di cronaca, ma forse anche di precise scelte politiche, i partiti hanno preferito schiacciare il dibattito sui temi dell’immigrazione e dei rapporti con le dinamiche di nuovo fascismo. Della discussione sugli eventuali programmi economici e sociali è rimasta appena l’ombra. Comunque, tra poche ore si saprà chi potrà formare il nuovo governo. Ammesso che i risultati e la nuova legge elettorale lo permettano.

Dall’estero arriveranno 18 Onorevoli, che potrebbero giocare un ruolo molto importante negli equilibri parlamentari. Italiani di varia natura li avranno scelti in base a dibattiti politici quasi inesistenti. Come inesistente è stato il tema degli emigrati nel dibattito politico nazionale.

Al contrario, i veri protagonisti della campagna elettorale, quelle persone che vivono e lavorano in Italia ma hanno il passaporto di un altro colore, dopo aver subito aggressioni verbali e a colpi di pistola potranno soltanto guardare l’avvicendarsi di un nuovo governo.

Non si può certo pensare che la partecipazione al voto possa risolvere i problemi di giustizia sociale o riconoscimento politico, né tanto meno che democrazia significhi scarabocchiare una X su un foglio ogni cinque anni. Soprattutto ai tempi dell’astensione di massa, che segna la mancanza di fiducia in tutti i partiti politici di gran parte del Paese, e dei governi di Grande Coalizione, che svuotano ulteriormente il valore delle stesse elezioni. Nonostante ciò, riconoscere un vero Ius Soli e ripensare l’accesso al voto in base alla residenza rimangono esigenze civili basilari di trasformazione del sistema che regola la cittadinanza e la rappresentanza politica. Dove, del resto, di civiltà se ne vede ogni giorno di meno.