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Universalità dell’essere Jedi

La recensione spoiler-free del nuovo capitolo della saga di Star Wars che esce oggi contemporaneamente in tutto il mondo. “Gli ultimi Jedi” di Rian Johnson è un film innovativo che ha il coraggio di mettere in discussione diversi elementi dell’universo di George Lucas, ma che ha la profondità dei film migliori della saga.

Una delle scene senz’altro più significative dell’intera saga di Star Wars, alla fine di Episodio VII: il risveglio della forza, è quando vediamo l’incontro tra il vecchio Han Solo e il figlio Kylo Ren/Ben Solo, nel mezzo della battaglia in cui la Resistenza distruggerà la base del Primo Ordine Starkiller. Han Solo vorrebbe convincerlo ad abbandonare il lato oscuro della forza da cui è stato sedotto, e di ritornare con lui. Il figlio ammette di essere “torn part”, di essere scisso: un’immagine che tornerà anche in questo Gli ultimi Jedi quando Rey gli dirà “ho visto la tua anima divisa in due”. In quei pochi brevi secondi di esitazione, in cui ci chiediamo che cosa Kylo Ren deciderà di fare, se ascoltare o meno le richieste del padre, viviamo uno dei rarissimi momenti di incertezza soggettiva di tutta la saga (per lo meno da La vendetta dei Sith): dove il problema non è tanto la composizione delle forze del bene e delle forze del male all’interno di un personaggio ma un atto di messa in dubbio di che cosa sia bene e che cosa sia male. Dove emerge una vera e propria dimensione soggettiva.

Star Wars si è sempre giocato, già dalla trilogia originaria (anzi, soprattutto nella prima trilogia) su una cosmologia di tipo tradizionale, dove i personaggi sono agiti dalle forze del bene e dalle forze dal male, dove sono parte di queste forze; ma dove non c’è inganno, non c’è ambiguità, e c’è magari soltanto un diverso bilanciamento che può pendere a seconda dei casi da una parta o da un’altra. E parte del godimento di Star Wars stava proprio in questa sorta di universo pre-moderno, dove la scelta soggettiva non è un tassello mancante nella tessitura ontologica dell’universo, come invece vuole la modernità, ma è già sempre parte di un destino che la trascende. Il confronto tra Luke e Anakin/Dart Fener era parte di un destino più grande, in un certo senso indipendente dalle scelte soggettive: lo vediamo nell’atto di disobbedienza di Luke al fantasma di Obi-Wan e a Yoda ne L’impero colpisce ancora quando decide di interrompere l’addestramento (“persino Yoda non può vedere il destino” gli dice Obi-Wan): lo fa perché già in quel momento sente che il suo destino è quello. Senza esitazione. Kylo Ren invece non avrà questa prerogativa.

Nella bellissima scena de Gli ultimi Jedi dove vediamo l’incontro tra Rey e Luke Skywalker (quello su cui terminava Il risveglio della forza e che costituisce forse la parte più efficace di questo ottavo episodio) questo principio viene spiegato da Luke nella maniera più chiara possibile, persino più chiaramente di quanto avesse fatto Yoda nei film precedenti: la forza è un equilibrio che mantiene unito tutto l’universo e che tiene unita la pace e la violenza, la luce e l’oscurità. È quello che passa attraverso tutte le cose: il problema è “sentirla” e quindi saperla usare. Ma la capacità di saperla usare non è innata, è una questione etica. I Jedi allora non sono un gruppo di scelti con dei poteri speciali soprannaturali ma sono a tutti gli effetti un gruppo religioso, che è capace di “vedere” ciò che gli altri non vedono solo perché non sono stati addestrati per farlo e non per qualche privilegio di casta. La forza può essere usata da chiunque. In questa sorta di revisione “iniziatica” dell’essere Jedi – non faremo alcuno spoiler, ma la questione avrà anche un’importante evoluzione nella trama al termine del film – vi è un preciso mutamento che spinge la saga al di fuori del romanzo famigliare verso una vera e propria dimensione universale (e non è un caso che in questo ottavo episodio vi siano diverse assonanze di tipo cristiano). I Jedi insomma non sono dei super-eroi, sono una leggenda. E in questo senso non possono essere eliminati, anche quando la Resistenza, come in questo capitolo, sembrerà essere al lumicino della sua forza.

Ma se ne Il risveglio della forza sembrava che il rapporto tra padri e figli fosse rovesciato – non più un figlio, Luke, che deve fare i conti con la mancanza d’amore di un padre passato al lato oscuro, ma un padre, Han, che deve fare i conti con un figlio che lo rinnega – ne Gli ultimi Jedi pare che il problema sia anche qui più universale: non solo lo smarrimento dei figli, ma anche quelli dei padri, che per la prima volta si devono confrontare con i propri fantasmi soggettivi – ad esempio l’aver visto la forza oscura anche laddove forse non c’era. È questo che fa de Gli ultimi Jedi uno dei capitoli più cupi e più “moderni” dell’intera saga, e probabilmente anche uno dei più interessanti.

Il vero personaggio chiave del film, che come tutti ci aspettavamo è proprio Rey, sarà ossessionata infatti da questa domanda: “qual è il mio posto in tutta questa storia?” Qual è il mio posto in un destino che appare per la prima volta come non completamente scritto e incerto? Quando anche la tradizione Jedi per la prima volta sembra vacillare e sembra dover reinventare se stessa? Sacrificare la cosmologia pre-moderna di Star Wars a un universo più problematico, più incerto ma senz’altro più interessante, avrà senz’altro un prezzo da pagare. Ma Rian Johnson ha deciso coraggiosamente con Gli ultimi Jedi di prendere una strada nuova in modo ben più deciso di quanto non avesse fatto J. J. Abrams in un Episodio VII che era stato forse più fedele, ma che aveva anche il rischio di essere più derivativo. E il risultato è stato infatti un film con qualcosa “in più” di tutto (e forse anche qualcosa di troppo): più azione (girata splendidamente con una scena d’apertura tra le più belle dell’intera saga e una scena finale in un pianeta di sale tra le più iconiche che si siano mai vista); più ironia, ma anche più profondità filosofica.

Perché se l’intenzione, come pare avere la Disney, è quella di andare avanti con questa saga anche per una quarta trilogia, qualcosa dell’universo originario di Lucas dovrà essere sacrificato. Sarà forse per questo che Gli ultimi Jedi, così come lo splendido Rogue One dell’anno scorso, sono pieni di fascinazione per i gesti di sacrificio (e persino di martirio). Ma bisognerà imparare la lezione di Yoda e non avere paura di dare alle fiamme il passato, perché qualcosa di nuovo possa nascere.