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Una lugubre ammuina

La catastrofe è che tutto continui come prima

La stessa finta libreria di sfondo con le foto di famiglia, lui livido, la gesticolazione meccanica, gli occhietti stirati dal lifting, la tecnica arcaica di ripresa (a quando il ritorno al Betamax?), gli argomenti non ne parliamo. Ma la vera catastrofe non è il rilancio di Forza Italia («l’ultima chiamata prima della catastrofe»”, appunto), bensì la sua coestensività con il governo delle larghe intese, la rinuncia a staccare le spina lasciandolo agonizzare fin quando si incaglierà sulle secche della legge di stabilità. Nella giustificata speranza che il cerino rimarrà in mano al Pd, zelante succubo di Olli Rehn e dell’inasprimento delle tasse per garantire i parametri europei del rapporto deficit-Pil, che ormai veleggia (non raccontiamoci storia) verso il 3,5%. La catastrofe sta nel fatto che il Pd ha sposato–su suggerimento non ricusabile del padrino Napolitano– le larghe intese e ha perfino accettato di infilarsi nel vicolo cieco della soppressione dell’Imu, consapevole o meno che fosse dell’incompatibilità fra i progetti di riduzione simultanea delle entrate (Imu, Iva, cuneo fiscale sul lavoro) e il rispetto del vincolo del 3% e in prospettiva del fiscal compact –tutti impegni sottoscritti da Berlusconi e Tremonti, questo è il bello! Lì sta il peccato originario, di cui la collaborazione con un delinquente e truffatore fiscale è solo un corollario minore. Peccato commesso già all’epoca del primo golpe presidenziale e del governo Monti (quando il Pd avrebbe conseguito un facile trionfo in elezioni anticipate), rinnovato vergognosamente con Letta (con la scusa di non rischiare una sconfitta elettorale), con la prospettiva peraltro di pagare in misura maggiore del PdL lo sfilacciamento governativo alla prossima consultazione, prevista a primavera.

Il trucco efficace escogitato da Berlusconi, pur nel marasma in cui è piombato, consiste –ripetiamo– nel non pronunciarsi sulle sorti del governo e di bloccarne nel frattempo ogni iniziativa, così da scaricare sul Pd la responsabilità della scelta. Il Pd, con il fido scudiero Vendola, non ha il coraggio di rompere con i vincoli europei e ricontrattare il debito (il Pdl ne chiacchiera, ma si guarda bene dal provarci), neppure nella forma soft proposta dagli ultraliberisti Alesina e Giavazzi: sforiamo adesso per foraggiare le imprese, dato che tanto il 3% già adesso ce lo sogniamo, poi rientriamo con ampie dismissioni e innalzamento del denominatore, ovvero il Pil. Lavorando di cacciavite, cioè proseguendo i piccoli passi con un’eventuale maggioranza alternativa che metta in conto un pezzo del PdL e cani sciolti (sempre Vendola compreso), il respiro resta corto, forse insufficiente perfino per riformare il Porcellum. A lavorare d’ascia, cioè integrando un pezzo del M5S con un programma più radicale (reddito di cittadinanza, patrimoniale, blocco dei finanziamento ai partiti, ecc.) –che avrebbe più chances parlamentari e certamente sarebbe un biglietto da visita più convincente per future elezioni– si rischierebbe, oltre l’ostilità di Napolitano, di perdere quei pezzi del Pd stesso che hanno già dato prova di sé nel voto segreto dei 101 anti-Prodi.

Così paralizzato, il Pd si tiene la controproducente alleanza e i colpi incessanti dell’alleato, spacciando per successo compensativo la decadenza di Berlusconi, che prima o poi arriverà. Decadenza superflua (Berlusconi si sarà fatto vedere finora una volta o due nell’aula del Senato), incandidabilità più rilevante, ma sempre aggirabile, in cambio di una crisi lacerante all’interno del Pd, di cui la preparazione del congresso è appena un’avvisaglia. Magari alla fine, Renzi (un Berlusconi ahimè più longevo) sarà il Salvatore della Patria, ma non è detto che il Pd tenga come partito. Anche in questo caso, non dubitiamo che Vendola, il “riformista audace”, starà sulla barca del vincitore, sventolando la bandiera mentre altri reggono il timone.

Insomma, l’ennesima ammuina, il correre su e giù per la nave in occasione della visita regale? Intanto ai visitatori europei la cosa ha fatto una pessima impressione e poi l’incrocio fra l’agonia del berlusconismo e il mai neppur nato spirito Pd contrassegna lo sfacelo del sistema Italia dentro la grande stagnazione europea. Il fallimento delle larghe intese si consuma sul terreno economico e su quello delle riforme costituzionali, ma a prezzo del logoramento delle istituzioni e di un declino della produzione, dell’occupazione e dei consumi, con un regime di conflitti ancora a bassa intensità. Le giornate del 12 e del 19 ottobre daranno la misura della forza (divisa) di un’opposizione alla sinistra del Pd e dei molti problemi tuttora da risolvere. Sarà significativo, oltre tutto, il ruolo del governo Letta o Letta-bis in materia di ordine pubblico.