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Solidarietà e conflitti nell’epoca delle Borderlands

“Borderland Italia. Regime di frontiera e autonomia delle migrazioni” edito da DeriveApprodi (pp. 246) e curato da J. Anderlini, D. Filippi e L. Giliberti presenta sei ricerche etnografiche sulle aree di confine italiane. Gli autori mostrano l’ambivalenza del confine, il luogo in cui si mostrano contemporaneamente le tecniche di governo e le pratiche di resistenza più significative.

Nell’estate del 2015 milioni di migranti riuscirono a superare i confini e arrivare nel cuore d’Europa, fu un evento epocale che venne impropriamente chiamato “crisi dei rifugiati”. Leggerlo nei termini delle “crisi” e dell’emergenza ne ha svilito i caratteri soggettivi ed emancipativi per ricondurli nell’alveo della governance tecnocratica. In questa ottica le migrazioni vengono private dei caratteri soggettivi e ricompresi in una logica di flussi da fermare con ogni mezzo necessario, vengono in altri termini affrontati secondo una logica amministrativa e non politica. Al contrario in quei mesi si dispiegò a tutti gli effetti di un movimento che seppe raggiungere un risultato significativo con un’alleanza spontanea con una parte decisiva della società europea. La diffusa solidarietà che si sprigionò in quelle settimane non si è completamente dispersa ma si è articolata nei diversi contesti e nei luoghi che rappresentano la molteplice geografia dei confini europei. Il libro dal titolo Borderland Italia. Regime di frontiera e autonomia delle migrazionicurato da J. Anderlini, D. Filippi e L. Giliberti osserva le relazioni e le condizioni di vita che si creano in questi luoghi. I lavori etnografici seguono un’accezione ampia del “Borderland” di Balibar: lo spazio politico che si crea nell’articolazione e sovrapposizione dei confini dell’Ue non si esprime solo nei luoghi al limite tra due paesi ma anche all’interno, nelle città e nei luoghi di lavoro. 

Il lavoro di campo si svolge a Ventimiglia, Trieste, Lampedusa, Briançon, in Val di Susa, nella valle del Roja ma anche in zone che non sono strettamente considerate confini come Roma, Foggia, Malta, Cassibile. Aree queste ultime che, seppur non si collocano geograficamente al confine, presentano quelle caratteristiche peculiari di “battleground”, tra controllo della mobilità e sfruttamento da un lato, spazi di solidarietà e strategie di autodeterminazione dall’altro. Lo scarto che presenta questo libro rispetto alla letteratura sociologica sul tema è il piano dell’impegno politico. Sin dalle premesse gli autori esplicitano che non si tratta di un lavoro nel quale il ricercatore è una figura distaccata che valuta la situazione in modo scientifico e avalutativo. Al contrario, si mette subito in chiaro che i ricercatori prendono parte al fenomeno che studiano e si schierano al fianco dei migranti per reclamare la libertà di movimento e l’abolizione dei confini. Viene dunque messo radicalmente in discussione il principio della neutralità che certa sociologia accademica sventola come bandiera, infarcendo i paper di regressioni e analisi statistiche raffinate. Gli autori, infatti, fanno parte di quella generazione di ricercatori attivisti che si è formata nell’agone dello scontro politico sulle migrazioni nel terreno ibrido tra solidarietà e politicizzazione dell’umanitario. I saggi riflettono questa posizione, lo studio delle migrazioni avviene dalla prospettiva del conflitto e rigettano completamente gli approcci basati sull’integrazione e l’esclusione, oppure sulle dimensioni astratte dei fattori attrattivi della dinamica funzionalista “push and pull”.

Nel suo libro Espulsioni Sassen afferma che il modo migliore per guardare le tendenze e immaginare le trasformazioni è quello di osservare le società dai margini. Nei luoghi di periferia, infatti, i fenomeni si presentano nelle forme più chiare ed esplicite. Nei vari saggi che compongono il testo si supera questo concetto, il confine non è semplicemente il luogo dove si può notare in maniera lampante la composizione della società secondo le linee di frattura di genere, razza e classe ma è anche un laboratorio di alleanze e di peculiari strategie umanitarie e politiche. Il confine, dunque, è certamente il luogo in cui si mostrano le tecniche di governo ma diventa soprattutto il contesto da cui osservare le pratiche di resistenza più significative. I saggi osservano il contesto con le chiavi di lettura dei critical border studies, in particolare utilizzano gli strumenti di interpretazione del “autonomia delle migrazioni”, del “diritto di fuga” e della “moltiplicazione del lavoro”, concetti che si sono formati nel laboratorio operaista e postcolonial, grazie ai lavori di studiosi come Mezzadra, Balibar, Tazzioli, Moulier-Boutang. I diversi testi, infatti, presentano un filo conduttore rappresentato dall’analisi delle azioni dei migranti che sfidano le tecniche di imbrigliamento e messa a valore poste dallo stato e dal mercato. In questo piano interpretativo il migrante non si presenta nel ruolo della “vittima”, privata di tutto e semplice corpo, ma si dimostra capace di agire un desiderio di emancipazione, seppur in un contesto segnato da costanti e molteplici asperità. 

Infine, un altro elemento significativo degli studi etnografici presentati è la rilevanza dello spazio urbano e geografico, che nei vari saggi non è semplicemente lo sfondo su cui si materializza l’agency dei migranti ma, al contrario, interagisce e influenza le tattiche e le strategie messe in atto. Lo spazio non è neutro, le stratificazioni sociali, storiche ed economiche che lo attraversano incidono sulle condizioni di vita e le tattiche dei migranti. L’esempio più significativo è la Val di Susa, dove le organizzazioni che da anni lottano contro il Tav si sono subito attivate per aiutare i migranti ad attraversare il confine con la Francia. Un altro caso emblematico sono i dispositivi di invisibilizzazione che si creano nelle località turistiche, dove la presenza dei migranti viene occultata alla vista dei visitatori. Le vicende di Ventimiglia mostrano come i gruppi di attivisti solidali che provengono da altre città siano ostacolati da parte delle istituzioni e dalle forze dell’ordine che impediscono di svolgere supporto ai migranti. Differenze si notano anche in situazioni economicamente simili come è il caso di Foggia e Cassibile, luoghi nei quali la presenza dei migranti si concentra nel settore dell’agricoltura stagionale. Mentre in Sicilia si creano forme di solidarietà, in Puglia i lavoratori migranti vivono nel ghetto dove formano una città separata dal resto dello spazio urbano. Lo spazio, dunque, viene inteso come un ambito non omogeneo che fornisce risorse per i solidali che supportano – e in parte orientano – le strategie e le tattiche dei migranti di superamento dei confini. I luoghi, dunque, sono la base dell’infrastruttura solidale, una galassia eterogenea di individui, associazioni, collettivi che è unita da una dimensione etica e morale. Ogni gruppo si distingue per un approccio diverso, un ventaglio di attività che riunisce le azioni caritatevoli e assistenziali con le proteste radicali dei no-borders, un complesso di contro-condotte che è accomunato dalla lotta contro la criminalizzazione della solidarietà.