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Santarcangelo 2050. Futuro fantastico: festival mutaforme di meduse, cyborg e specie compagne

Il Festival di Santarcangelo 2050 celebra i 50 anni di Re-esistenza. Dedicata a recuperare e celebrare lo spirito delle origini del «Festival del Teatro in Piazza», si offre come nuovo agorà, tornando ad abitare gli spazi pubblici con un turbine di progetti partecipativi, in un continuo travaso fra passato e futuro, nonostante tutto

Con umore altalenante fra disperazione e speranza, o meglio «Hope in the darkness» per citare Rebecca Solnit, proviamo a raccontare l’ultimo movimento di Santarcangelo 2050, che celebra i 50 anni di Re-esistenza del Festival. È il risultato di lunghi dialoghi con una miriade di artistә immersә nel mare d’incertezza e sconforto che la pandemia ha amplificato, per cercare di essere il più possibile sensibili alle fragilità ed evitare ogni forma di forzatura nell’esposizione delle opere nate, per la maggior parte, nel vuoto siderale del confinamento.

Partiamo dall’immagine: si tratta di alcune still dal video Signals from future dell’artista taiwanese Betty Apple e sono prodotte da un programma di Intelligenza Artificiale che altera il suo volto, incrociandolo con altri visi umani e animali. Betty sostiene di avere fatto un viaggio nel futuro ed essere tornata per raccontarci un altro mondo possibile dove le barriere fra generi e razze sono abbattute, come crollati sono i confini fra tutti gli abitanti del pianeta, umani, animali, vegetali e inorganici.

 

Betty è una splendida cyborg che ci dice come il futuro può essere diverso dalle consuete narrazioni apocalittiche che intasano Netflix, e ce lo racconta da un paese che ha azzerato i contagi da Covid-19 e individuato l’Europa come territorio pericoloso e off-limits, innescando un esercizio di umiltà per tutto l’Occidente, che prima deteneva il primato dell’esclusione verso l’altro.

 

Nell’edizione scorsa avevamo intitolato il cinquantennale Futuro Fantastico per sfidare le impervie del distanziamento, facendo delle limitazioni per il pubblico un incitamento all’immaginare altre prossemiche e geografie… è stato faticoso, perché gli enormi sforzi economici per mettere tutto a norma non sono tutt’ora contemplati nelle griglie ministeriali, ma è stata anche una commovente scoperta di possibilità altre nel vivere gli spazi aperti.

Il Festival, fra i pochissimi in presenza nel periodo, era preludio di una silente e gioiosa consapevolezza che l’incubo pandemico stesse finendo… precipitata poi nell’inverno, tanto che Winter Is Coming (l’atto dedicato ai gruppi emergenti) ha finito per assumere tutta la sua originaria connotazione terrificante, che volevamo esorcizzare, con l’arrivo della seconda ondata, i teatri di nuovo chiusi e la disastrosa disoccupazione per tantә lavoratorә dello spettacolo, tutt’ora in fermento per la condizione di precarietà strutturale, fatta di tutele inesistenti: siamo solidali con l’occupazione del Globe Theatre di Roma!

Effettivamente gli scenari distopici frequentati dalle nostre letture fantascientifiche continuano a sovrapporsi drammaticamente al qui ed ora: l’emergenza epidemiologica ci recinta separandoci in unità competitive, contrapponendo sani e malati, abili e inabili, senza riflettere invece su nuovi modelli eco-sociali, dove porre al centro la Cura intesa come responsabilità collettiva, che coinvolge tutti i corpi, tutti indistintamente importanti, tutti indistintamente mortali. Siamo ancora una volta inermi dinnanzi a forme di consumazione di vite disgregate e disorganizzate, in balia di precarietà, debito, povertà, crisi ambientale e della rappresentanza, per non parlare delle discrepanze nella distribuzione dei vaccini fra nord e sud del mondo…

 

Si diffonde la paura dell’Altro, pensiamo ai crescenti fenomeni di Asian Hate: siamo ancor più fierә di avere un volto asiatico sul nostro manifesto!

 

Un volto trasformato digitalmente, perché nuove pratiche collettive di immaginazione, resistenza, rivolta, riparazione e lutto (occorre cura per ben vivere, ma anche per morire bene), sono inseparabili dalla presa di controllo e gestione autonoma delle tecnologie più avanzate.

 

 

L’immagine retro-futurista della scorsa edizione vedeva Piazza Ganganelli invasa da una piovra gigante e gentile, un segno inquietante e conciliante, un chiaro invito alla mescolanza, all’antispecismo, alla coesistenza simbiotica con i viventi del pianeta… Temi che tornano anche nel secondo movimento, che vedrà il realizzarsi di molte progettualità che l’anno scorso erano impossibili, in particolare rispetto all’ospitalità di diverse artiste (la presenza femminile sarà predominante) per lo più da America Latina, Africa e Asia con opere sulla crisi climatica e la fine dell’Antropocene.

Con l’acuirsi della crisi pandemica la vita è stata messa a nudo nella sua vulnerabilità da un virus che non distingue fra umani e non-umani, il Covid-19 è una zoonosi e passa da una specie all’altra: rende manifesto il contagio come condizione della vita tutta.

Queste considerazioni potrebbero costituire la base di una diversa pratica politica, intra e inter-specifica, come scrive Massimo Filippi, ma ciò non accade. Gli umani sovraffollano, si muovono e antropizzano il globo – tutte ragioni che concorrono alla diffusione delle epidemie – calpestando una terra che vogliono inerte, presupposto di ogni estrattivismo…

 

Ma perché non convivere paritariamente? Perché non vivere davvero insieme?

 

How To Be Together è il titolo del progetto più spericolato e utopico (curato da Chiara Organtini) che quest’anno vogliamo realizzare, anche come lascito della nostra direzione artistica a Santarcangelo: un villaggio temporaneo ecosostenibile. Sarà collocato in una magnifica area verde rigenerata del Parco dei Cappuccini, per diventare anche meta di escursioni turistiche e piacevole luogo di sosta nelle passeggiate.

How To Be Together è una residenza collettiva per un gruppo di circa 50 partecipantә, studentә delle scuole partner del progetto e artistә, selezionatә tramite open call che, sperimentando la coabitazione, immaginano comunità possibili congiungendo riflessione artistica e un’esigenza logistica reale del territorio, da sempre carente di alloggi a prezzi accessibili. È pensato come installazione temporanea ma ambisce a trasformarsi in struttura permanente in futuro: un ritorno celebrativo alle origini del Festival, noto anche per gli accampamenti liberi negli anni delle prime edizioni.

Ancora una trasformazione di Santarcangelo che abbiamo chiamato Mutaforme (dall’inglese shapeshifter): scegliamo questo aggettivo per i 50anni di un Festival che rinasce sempre dalle proprie ceneri come araba fenice, restando connesso in modo tentacolare alle sfaccettature del presente.

Viviamo nell’era del tentacolo è il titolo di un articolo in “Current Biology”, dove si sostiene che i cefalopodi stanno conquistando la Terra a causa del surriscaldamento oceanico. Seguendo questo straripamento di creature oceanine, siamo approdatә al bellissimo romanzo “Binti” della scrittrice nigeriana Nnedi Okorafor a cui il Festival si ispira: pagine popolate di creature ibride, metà umane e metà meduse che ci invitano a non avere paura, a voler bene al mostro che è in noi, che noi siamo.

 

Pensiamoci come specie compagne (companion species), convertendo l’idea di un’evoluzione biologica separata fra umani e animali in reciprocità e interdipendenza, in quest’era di crisi globali.

 

Santarcangelo 2050 avrà dunque un’intelaiatura ramificata in capitoli tematici, con una sezione chiamata H24 Accaventiquattro dedicata a recuperare e celebrare lo spirito delle origini del «Festival del Teatro in Piazza» offrendosi come nuovo agorà e tornando ad abitare gli spazi pubblici con un turbine di progetti partecipativi, in un continuo travaso fra passato e futuro, nonostante tutto.
Welcome!

 

L’immagine di copertina è quella dell’edizione del festival di quest’anno, l’immagine dentro l’articolo quella dell’edizione passata.

Fonte: sito del Festival di Santarcangelo