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Santa Maria dell’Orto in Trastevere

Roma nascosta/5. Una chiesa e un’oasi “popolare” che resiste in un quartiere di remota tradizione multietnica oggi soggetto a una feroce gentrificazione. Antichi mestieri, maritozzi quaresimale e interni rosselliniani.

Trastevere, Transtiberim. Al di là del fiume. Oppure al di qua, questione di punti di vista.

A Roma, chi è nato o vive a Trastevere si sente orgogliosamente un “romano de Roma” e un profondo legame lo àncora alla sponda destra del fiume.

È proprio la presenza di esso ad aver caratterizzato quest’area, attirando a sé mercanti e forestieri da ogni dove, che qui approdarono o si stanziarono. Saranno loro a costruire templi dedicati a culti non romani e orientali ed è qui che crescerà una stabile comunità multiculturale.

In virtù della natura estremamente vivace e popolare di Trastevere il cristianesimo troverà qui terreno fertile. I primi cristiani di Roma si riuniranno nelle chiese paleocristiane di Santa Cecilia, San Crisogono e Santa Maria in Trastevere, determinando profondamente il carattere del quartiere.

Oggi opachi ricordi del passato medievale si perdono o si nascondono fra edifici post-unitari e nuovi scenari turistici.

Eppure, lasciandoci alle spalle il ben noto quadrante fra Santa Maria in Trastevere e Piazza Trilussa, attraversando viale di Trastevere (nel 1888 viale del Re), si approda a una piccola oasi di pace.

Fra San Francesco a Ripa e Santa Cecilia, in via Anicia 10, ci accoglie Santa Maria dell’Orto, un esempio straordinario di resistenza edilizia e gioiello della storia popolare di questo quartiere.

Anticamente quest’area era pressoché disabitata, zona di prati e orti: sin dal lontano V sec. a. C. vi si coltivavano orzo, farro, ulivi e vite.

In particolare, dove oggi sorge la chiesa erano i Prata Mutia, i prati di Muzio, Muzio Scevola.

A lui il Senato di Roma concesse un appezzamento di terra nel luogo in cui l’etrusco Porsenna aveva posto il suo accampamento prima delle trattative di pace con Roma.

Infatti, nonostante il suo carattere spiccatamente agreste, Trastevere era un avamposto strategico per la difesa della città e, per questo motivo, scenario di memorabili battaglie.

Attraverso i secoli Trastevere si afferma e resta cuore pulsante di un Roma ormai perduta ma vivissima e, soprattutto, popolare.

Ed è proprio qui che sorge Santa Maria dell’Orto, la chiesa dei trasteverini, dei lavoratori, del popolo, dove la nobiltà non ha mai messo il suo zampino (né il suo denaro).

Non ci inganni questa premessa. Nonostante la sua storia, la chiesa sfoggia una bellissima eclettica facciata e al suo interno svela un tripudio di colori e decorazioni uniche in tutta Roma.

Il suo nome è legato indissolubilmente all’immagine della Vergine che ancora oggi vi si venera e che in passato si trovava proprio presso l’ingresso dell’orto di Muzio.

Così come è stato per molte delle chiese romane, anche la costruzione di questa è legata a un miracolo, quello della suddetta immagine.

La leggenda narra che nel lontano 1488 un uomo colpito da un male incurabile avesse fatto voto all’immagine della Vergine: se lo avesse guarito, avrebbe tenuto sempre accesa una lampada di fronte ad essa.

Così fu. L’uomo guarì e mantenne la promessa. Fece erigere una piccola cappella grazie al sostegno economico delle corporazioni delle arti e dei mestieri, dette Università (dal latino universitas, che significa, appunto, corporazione, unione, associazione di persone che praticano la stessa attività), le quali a loro volta colsero l’occasione per celebrare il proprio ruolo e prestigio nella vita economica e sociale della città.

I membri delle corporazioni si riunirono in una Confraternita riconosciuta dal ben noto Alessandro VI Borgia, allo scopo di farsi portavoce della venerazione dell’icona della Vergine (ancora oggi la stessa Confraternita, che è la più antica confraternita di origine mariana ancora attiva a Roma, si occupa della manutenzione della Chiesa). Parliamo di ortolani, mugnai, pizzicaroli, fruttaroli, vermicellari (produttori di pasta), pollaroli, scarpinelli (calzolai), mosciarellari (venditori di castagne, le “mosciarelle”), vignaroli e barilai.

I trasteverini, appunto, che trasformarono la semplice cappella in sontuoso luogo di culto.

Per questo motivo al suo interno vi si trovano inaspettate decorazioni e iscrizioni dedicatorie che ci ricordano chi fossero i benefattori.

I lavori proseguirono fra battute d’arresto e impennate e coinvolsero grandi artisti quali l’architetto e trattatista Jacopo Barozzi, detto il Vignola, responsabile della facciata caratterizzata da suoi piccoli obelischi piramidali in travertino, e Guidetto Guidetti, allievo di Michelangelo che ultimò piazza del Campidoglio mentre qui partecipò all’ideazione della pianta della chiesa.

Ricordiamo, fra gli altri, Giovanni Baglione, biografo nonché rivale di Caravaggio, che qui realizzò numerose opere pittoriche.

Santa Maria dell’Orto ci sorprende anche per qualche curiosità. Fra queste la celebrazione di alcuni riti che affondano le radici nella cultura popolare del quartiere, come ad esempio la benedizione e distribuzione dei maritozzi quaresimali, ormai una rarità a Roma: un po’ meno voluttuosi di quelli con la panna, semplici e buonissimi, ripieni di uva passa, vengono donati con l’augurio di condividerli con parenti e amici.

Per concludere non dimentichiamo che gli interni della chiesa sono stati in realtà resi popolari dal celebre film di Rossellini Roma città aperta, in cui Aldo Fabrizi interpreta uno straordinario don Pietro.

 

(Per approfondimenti su Trastevere si rimanda alla lettura di Transtiberim. Trastevere, il mondo dell’oltretomba di Giuseppe Lorin. Bibliotheka ed., Roma 2018).