cult

MUSICA

A Sanremo irrompe Lo Stato Sociale. Sabbia nel motore nazional-popolare

I cinque bolognesi irrompono nel Festival di Sanremo senza snaturarsi e con una canzone che parla di lavoro e della generazione precaria. “Una vita in vacanza” è un grido di libertà, dentro e contro la macchina dello spettacolo nazional-popolare

Sanremo a poco più di 24 ore dalla fine della 68esima edizione del festival non è ancora il paesotto ligure che aspetta l’arrivo dell’estate per accogliere turisti. Il giorno dopo è sempre il giorno dopo, ed è il momento in cui lentamente si iniziano a smontare studi televisivi e radiofonici e si fanno ancora le ultime interviste. Lo Stato Sociale va in diretta sul TG1, con Vincenzo Mollica. Sono arrivati secondi presentando una canzone che parla di lavoro e non descrive la generazione precaria come sfigata, ma è un grido di libertà.

Fermiamoci a leggere il testo che i cinque ragazzi di Bologna hanno eseguito per quattro sere sul blindatissimo palco dell’Ariston.

E fai il cameriere, l’assicuratore/ Il campione del mondo, la baby pensione/ Fai il ricco di famiglia, l’eroe nazionale/ Il poliziotto di quartiere, il rottamatore/ Perché lo fai?/ E fai il candidato, poi l’esodato/ Qualche volta fai il ladro o fai il derubato/ E fai opposizione e fai il duro e puro/ E fai il figlio d’arte, la blogger di moda/ Perché lo fai?/ Perché non te ne vai?

Una vita in vacanza/ Una vecchia che balla/ Niente nuovo che avanza/ Ma tutta la banda che suona e che canta/ Per un mondo diverso/ Libertà e tempo perso/ E nessuno che rompe i coglioni/ Nessuno che dice se sbagli sei fuori

E fai l’estetista e fai il laureato/ E fai il caso umano, il pubblico in studio/ Fai il cuoco stellato e fai l’influencer/ E fai il cantautore ma fai soldi col poker/ Perché lo fai?/ E fai l’analista di calciomercato. Il bioagricoltore, il toyboy, il santone/ Il motivatore, il demotivato/ La risorsa umana, il disoccupato/

Perché lo fai?/ Perché non te vai?

Vivere per lavorare/ O lavorare per vivere/Fare soldi per non pensare/ Parlare sempre e non ascoltare/ Ridere per fare male/Fare pace per bombardare/ Partire per poi ritornare/ Una vita in vacanza/Una vecchia che balla/Niente nuovo che avanza

Una ottantenne che balla è salita con loro sul palco; il giorno dei duetti insieme a Paolo Rossi con il cartello “ovazione” hanno omaggiato Roberto “Freak” Antoni, uno che è sempre stato tenuto lontano dal festival nonostante sia stato tra i più influenti artisti italiani. Ogni giorno si sono presentati sul palco vestiti con magliette artigianali con la scritta «io voglio»…e poi qualcosa e sopra abito elegante. E poi hanno indossato l’ormai celebre cartellino con il nome dei cinque operai FIAT di Pomigliano d’Arco licenziati senza motivo e che – una volta conquistato il reintegro sul posto di lavoro – per volontà dell’azienda ricevono lo stipendio senza lavorare. Per finire il giorno della finale indossano altri cartellini, questa volta con il nome dei tecnici che da anni li seguono in tour.

In una Sanremo tritacarne, in cui vieni spostato da un punto a un altro della città su un van tipo quello dei narcos tra interviste, incontri, chiacchiere, appuntamenti, esibizioni e dopofestival,  Lo Stato Sociale ha messo in piedi quello che loro stessi hanno chiamato “il più grande scherzo della loro vita”. E l’hanno fatto rimanendo loro stessi, arrivando secondi, facendosi conoscere da milioni di persone, raccontando sulle più grandi testate giornalistiche italiane il motivo per cui hanno portato con loro sul palco i cinque operai FIAT o perché hanno fatto una canzone sul lavoro nel 2018. Non sono stati zitti e hanno giocato nei pochi spazi possibili. Possibili e non concessi. Guardando alla RAI, allo staff del festival e a tutto ciò che gira attorno, quasi certamente Lo Stato Sociale è stato trattato come l’osservato speciale, le persone da controllare, per evitare che si superasse la sottile linea rossa.

Perché Sanremo è Sanremo, è quella cosa lì dallo spirito nazional-popolare. Non si può esagerare su quel palco. Occorre essere discreti e posati, oppure strappare spazi di libertà. Lo Stato Sociale nel 2018, Elio e le Storie Tese, Enzo Jannacci negli anni ’90, Vasco Rossi negli anni ’80, oppure Rino Gaetano nei ‘70.

Non è il momento adesso per chiedere a Lo Stato Sociale una critica ragionata al carrozzone Sanremo, fatto da televoti a 0,51 centesimi per una classifica costruita tra voto popolare, giuria di qualità e giornalisti. A pensare male si fa sempre bene e il festival deve difendere se stesso e il suo “stile” elegante, composto, indifferente al mondo esterno e come Elio e le Storie Tese non potevano vincere con “La terra dei cachi” vestendosi da Rockets, così Lo Stato Sociale, nella stagione del disimpegno politico e sociale, non poteva vincere con una canzone tutt’altro che banale sul lavoro, presentandosi agghindati con magliette stravaganti e con gli operai di Pomigliano che si aggiravano per le vie della città. Ma non solo: una band di una piccola etichetta indipendente (anche se con un accordo commerciale con una major) come Garrincha dischi, che fa anche progetti solidali con le comunità zapatiste del Chiapas, non può vincere.

Se una canzone di protesta non è mai salita sul gradino più alto dell’Ariston, un motivo ci sarà? “Una vita in vacanza” non è una canzone di protesta? Se uno studente costretto al disciplinamento dell’alternanza scuola-lavoro oggi fa proprio il verso «Per un mondo diverso/Libertà e tempo perso» forse sarà più pronto a sentir parlare di rifiuto del lavoro o di reddito universale di base.

Dovremmo vedere con interesse alla capacità di giocare e comunicare che Lo Stato Sociale ha messo in campo, ben oltre al cantato o stonato e forse anche oltre al contenuto della canzone stessa.

La “rivendicazione” dei cartellini con il nome degli operai Fiat ha dato potenza alla scelta, da molti criticatissima, di partecipare al festival, immettendo granelli di sabbia nella macchina dello spettacolo nazional-popolare. La loro carriera sarebbe cresciuta anche senza questo passaggio, ma se è stata vetrina è perché sono stati bravi a giocarsi la partita. Aver visto l’Ariston ballare e saltare al ritmo di “Una vita in vacanza” dà l’idea che si possano trovare nuovi modi di comunicare ciò che siamo e ciò che vogliamo, senza snaturarsi ma sapendo parlare anche a milioni di persone, senza prendersi troppo sul serio, e “senza rompere troppo i coglioni”. Se non a chi comanda, ingessa, sussume e sfrutta.