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Raoul Peck e un colonialismo da decostruire

Exterminate All The Brutes, nuova opera di Raoul Peck, è una critica radicale al colonialismo e al modo in cui è stato raccontato. Quattro ore di immagini e voci per portare sullo schermo i risultati di una storiografia rinnovata che mette in crisi il punto di vista eurocentrico.

Un film? Una serie? Un documentario? Un saggio? Exterminate All The Brutes di Raoul Peck per HBO, 4 ore di filmati e voce narrante del regista organizzati in quattro capitoli è difficile da classificare secondo i consueti standard. L’ultimo lavoro del regista di I Am Not Your Negro (2016) e Il Giovane Karl Marx (2017) si apre con l’immagine di Aby Osceola della Seminole Nation e la voce di Peck che spiega che la storia di Aby va dritta alle radici profonde del continente americano. La voce si ferma, e l’immagine successiva presenta Aby costretta a terra e un coltello stretto da una mano bianca che ne recide lo scalpo. È soltanto un fotogramma, scorre veloce quanto la mano che impugna il coltello, e racchiude al suo interno molti degli elementi portanti della storia raccontata dal regista: la violenza, l’impotenza, il sopruso, l’inumanità e l’ingiustizia.

Un inizio forte e chiaro; se può mandare in confusione il tentativo di incasellare quest’opera in un preciso genere cinematografico nessun dubbio sul tema che affronta: il colonialismo. Con uno sguardo prevalentemente indirizzato agli Stati Uniti d’America e al continente americano ma che allarga il ragionamento, e non potrebbe essere altrimenti visto il tema trattato, agli altri continenti. La proposta di Peck più che una ricostruzione della storia del colonialismo è una decostruzione di come si è raccontata la storia del mondo negli ultimi 600 anni. Questa scelta viene portata avanti ancorando l’analisi ad alcuni degli studi che hanno affermato in storiografia una prospettiva critica sul colonialismo negli ultimi decenni; in particolar modo Exterminate All The Brutes: One’s Man Odissey into the Heart of Darkness and the Origins of European Genocide di Sven Lindqvist.

L’opera del regista, il cui titolo è un chiaro ferimento a Cuore di tenebra di Joseph Conrad, si preoccupa principalmente di smontare alcune delle prospettive con le quali si è guardato e raccontato quel passato; la scoperta di nuove terre, l’arretratezza e l’inciviltà dell’altro, tutti elementi presenti in gran parte delle ricostruzioni storiche che raccontano quel passato vengono così messi alla prova dello sguardo, lo sguardo del colonizzato e dell’oppresso. E con quegli occhi Peck non vede alcuna terra nuova scoperta ma dei territori abitati che vengono sottratti ai legittimi abitanti, vede dei modi di organizzazione sociale ed economica legittimi, diversi da quelli degli europei, che vengono stravolti e cancellati per sempre dall’imposizione del capitale.

La critica mossa non è indirizzata soltanto alle dinamiche del colonialismo ma al modo in cui la sua storia è stata scritta e raccontata, il più delle volte adottando la prospettiva del colonizzatore in maniera acritica. Il regista si chiede e ci chiede perché l’attenzione e la sensibilità con cui si è scritta la storia della Shoah non siano utilizzate per raccontare il genocidio dei nativi americani. Anche in questo caso Peck si ancora alla ricerca storica e fa un chiaro riferimento agli studi di Howard Zinn e al suo capolavoro A People’s History of the United States. Nonostante la rilevanza storiografica del lavoro di quest’ultimo, il regista fa notare come da quel racconto manchi una parte centrale ed essenziale, la storia dei nativi americani. Interrogato su questa mancanza lo storico statunitense aveva spiegato di non sapere come approcciare quella parte della storia e per questo motivo aveva preferito evitare di trattarla in uno dei volumi che hanno segnato un punto di non ritorno nella storiografia sugli Stati Uniti. In quella difficoltà Peck sembra invece immergersi anche se nel suo lavoro sembra prevalere la contrapposizione colonizzato/colonizzatore con poco spazio riservato all’indagine di tutte le dinamiche che fuoriescono dalla contrapposizione bianco/nero; Exterminate All The Brutes lascia poco spazio ai toni del grigio, e cioè a tutte le dinamiche di mescolanza determinate dall’incontro/scontro coloniale; è un’opera concentrata totalmente sulla decostruzione di una lettura eurocentrica del colonialismo.

Questo tratto dell’opera è ben rappresentato da Josh Hartnett, l’attore che interpreta l’uomo bianco durante tutte le epoche storiche analizzate da Peck. La scelta sembra ben riuscita per rappresentare un modello di uomo bianco colonizzatore che rappresenta una idea di mondo gerarchico connaturata alla dinamica coloniale. Appare invece forzata e storicamente poco credibile quando cerca di affermare l’esistenza di un prototipo umano dal carattere monodimensionale e immodificabile attraverso i secoli.

Exterminate All The Brutes sembra arrivare al momento opportuno ed essere in perfetta sincronia con le istanze mosse da diversi movimenti legati ai temi della decolonizzazione e della decolonialità diffusi nei vari continenti. Rispetto a quelle istanze il linguaggio usato da Peck non è certamente innovativo, piuttosto ricalca le critiche già elaborate in decenni di studi critici sul colonialismo. Appare significativo il continuo riferimento agli studi storici; un riferimento che da una parte ci dice come la storia abbia contribuito a costruire una idea del colonialismo eurocentrica e celebrativa della “conquista” e della “civilizzazione”, lontana dalla verità storica, ma dall’altra ci dimostra come la stessa storia abbia saputo, al suo interno, concepire e generare delle ricerche che stanno decostruendo quelle storie prendendo in considerazione le prospettive dei colonizzati. Di difficile classificazione, probabilmente troppo lungo e denso per poter appassionare, Exterminate All The Brutes è una riflessione sulle società contemporanee, sul razzismo che le innerva, sulle gerarchie economiche e sociali sulle quali si reggono ma soprattutto su quali sono le loro radici storiche e su come quelle radici siano state per troppo tempo nascoste sotto la terra.