cult

CULT

Quando la gentrificazione (fallita) lascia dietro di sé il degrado

Alessandro Barile, Barbara Brollo, Sarah Gainsforth e Rossella Marchini in “Dopo la gentrificazione. Un quartiere laboratorio dalla crisi economica all’abitare temporaneo”, Derive Approdi, Roma 2023, fanno il punto sulla storia e l’esito fallimentare della gentrificazione a San Lorenzo

Le città e i quartieri sono fatti di case, di persone vive e di fantasmi. Persino le rovine dirute sono composte di cose materiali e immateriali. Se nelle gallerie sotterranee di Dura Europos, sulla riva dell’Eufrate, si azzuffano ancora legionari romani e persiani sasanidi, immaginatevi quanto pesino nella gentrificazione contemporanea tracce, mitologie e aspettative più vintage, quando il ricordo letterario o un graffito provocatorio legittima l’attesa di un incremento della rendita fondiaria o di un vantaggioso esercizio commerciale. Matriciane da favola dove cospiravano i terroristi, apéros sopraffini dove si ergevano le barricate della Commune, qui ha girato Pasolini, lì ha cantato e si sballata Janis, è via dei Volsci come Belleville, il Pigneto come il Village o Chelsea.

Però anche la gentrificatione non è per sempre. Può mettere radici (cioè attrarre inquilini stabili di buon reddito e turisti solventi) oppure abortire dopo un inizio promettente. Non solo spostarsi per esigenze di mercato che inseguono il nuovo ma proprio sparire. Per inadeguatezza delle strutture portanti, fluttuazioni della popolazione, estinzione dei miti.

San Lorenzo, familiarmente Sanlo – dagli anni ‘60 del Novecento agli anni Dieci del secondo millennio – è stato il backstage dei movimenti politici che esplodevano nella limitrofa (e a lungo unica) università, il punto di partenza e di ritorno degli innumerevoli cortei di quegli anni, con tutto l’apparato di cori, scontri e fumogeni, la sede del primo e secondo ciclo dei centri sociali, dei “covi” di ogni specie, e la sua vita ha seguito le fasi alterne della lotta politica e della militanza, fino al graduale spegnimento  e al colpo di grazia inferto con la chiusura del cinema Palazzo  e il lockdown epidemico. Quello fu il long Covid dei movimenti e l’epilogo di un ciclo cui contribuirono molti altri fattori: dallo spopolamento del quartiere (dai 35.000 abitanti di fine anni ’50 ai 9.000 scarsi di oggi) alla micidiale penetrazione della droga negli spazi aperti dal disimpegno politico, secondo consolidati meccanismi di mercato e strategie di infiltrazione poliziesca. Chiaro che si tratta anche di un capitolo biografico più o meno lungo di alcuni fra gli autori e del recensore, non solo di un racconto oggettivo.

Il bel libro Dopo la gentrificazione, che A. Barile, B. Brollo, S. Gainsforth e R. Marchini (pp. 195 +17 di mappe e tabelle, 18 €)) hanno dedicato a San Lorenzo come “quartiere laboratorio” del fallimento di quel fenomeno, traccia le coordinate oggettive del processo che prima abbiamo descritto a un prevalente livello di immaginario. Ai limiti fisici – la ristrettezza di un perimetro bloccato da preesistenze inamovibili (Mura Aureliane, ferrovia, Ateneo, Policlinico, cimitero), la modestia del patrimonio edilizio originario – si sono aggiunti gli errori di pianificazione urbanistica e di politica degli alloggi. Svetta su tutti l’abitare temporaneo, mix di affitti brevi, Airbnb, sfruttamento selvaggio degli studenti fuorisede per anno accademico e settimanale o sub-settimanale per turisti, con  conseguente levitazione di prezzo della fascia sempre più ridotta degli affitti ordinari e delle vendite.

Gli effetti negativi che ciò comporta sulla vita di un agglomerato, sulla composizione, qualità ed esosità degli esercizi commerciali (la monocultura del food&beverage) non è compensata dal normale portato delle gentrificazione – cioè la sostituzione “etnica” di una popolazione povera con certi medi benestanti – proprio a causa di un target fluttuante per definizione (studenti e turisti).

Rossella Marchini, nell’introduzione generale e nel capitolo A San Lorenzo, seguendo le trasformazioni del quartiere, ricostruisce la storia di un insediamento nato nell’Ottocento a ridosso dell’importazione dei materiali da costruzione dall’area tiburtina e poi del sorgere delle ferrovie, con le relative officine di servizio, e di altri stabilimenti industriali, oltre che del fiorente e inesauribile artigianato collegato all’adiacente cimitero del Verano. Una storia dettagliata del posto di Sanlo nello sviluppo edilizio della capitale e nelle sue vicende politiche, gli Arditi del Popolo del 1922, l’antifascismo clandestino del ventennio, il terribile bombardamento del luglio 1943 e infine la Resistenza – fantasmi, oggi, quanto e più dei militi della legio III Scythica e dei fanti di Šāpūr I nell’assedio di Dura Europos, 256 d.C. Da quella mescolanza di immigrazione dalle campagne in un agglomerato improvvisato era tuttavia scaturito – e si era consolidato nel tempo – «un quartiere omogeneo per composizione sociale degli abitanti e qualità delle relazioni che si sono create tra di loro», il quartiere-paese. La trasformazione successiva ha fatto di Sanlo il simbolo, in uno spazio circoscritto, della frattura fra la città consolidata e la periferia sparpagliata, un simbolo accovacciato stancamente proprio alle Mura Aureliane. Marchini descrive in dettaglio come le politiche comunali e regionali (piani regolatori restati spesso sulla carta e leggi ahimè operative sulla casa, a cominciare dalla sciagurata normativa sancita dalla giunta Polverini a partire dal 2011, hanno mostruosamente dilatato le possibilità edificatorie, come dimostrato dai due casi di studio dell’ex-Dogana e della Soho House – scempi urbanistici, veicoli dell’incremento e abbreviazione delle locazioni nonché del (fallimentare) branding culturale di Sanlo.

«La mappatura commerciale del quartiere descrive una predominanza di attività di somministrazione indirizzate a una popolazione che non risiede a San Lorenzo, mentre si è ridotto il commercio di vicinato rivolto ai residenti […] La qualità dei locali attivi è molto bassa, si rivolge a un pubblico con scarsa capacità di spesa, non certo quello che ci si aspetta da un quartiere in piena gentrificazione (p. 6). Il tema è ripreso, con fitto apparato statistico, da Alessandro Barile nel secondo capitolo, Le molteplici scale del disfacimento urbano, dove la ripartizione degli esercizi commerciali al dettaglio, oltre all’alta densità (0,06 per abitante e 1.165 per kmq, contro 0,02 e 47 per kmq dell’intera città), evidenzia la loro concentrazione monoculturale sulla somministrazione di cibo e bevande per una popolazione esogena e transitante, che ne usufruisce in fasce orarie solo serali e notturne, invano compresse dalla normativa comunale e aggirata dal dilagare di minimarket, per lo più ”bengalini”, di fatto specializzati in alcolici da asporto. Con il risultato che di mattina le strade sono animate dalla declinante popolazione residente, nel pomeriggio sono deserte, la sera esplodono per i mal sopportati avventori esterni. Si noti che i servizi studenteschi, a fruizione diurna (copisterie, librerie, ecc.) si limitano agli spazi fra via Tiburtina e la Città universitaria e si addensano soprattutto a v. le Ippocrate e piazzale delle Province, cioè in tutt’altro quartiere, sempre adiacente all’Ateneo.

Nel quadro dell’anomala periferizzazione di Roma, la transizione di San Lorenzo, che si avvaleva di una mitologia popolare e bohémienne presto sbiadita, verso la gentrificazione è pervenuta da tempo a un binario morto, con conseguente perdita della qualità di vita dei residenti, degrado esteriore e scarsa attrattività per un radicamento stabile di ceti più abbienti. L’aumento vertiginoso della popolazione transitante (che comunque innalza il costo della vita) e l’uso di molti locali per affitti brevi studenteschi e per affitti brevissimi ai turisti rende impossibile affittare o acquistare case per uso “normale” e chiude il circolo vizioso dello spopolamento e del degrado fuori da isole privilegiate, ironicamente battezzate “borghetti”.

Aggiungiamo, off the records e sotto responsabilità del solo recensore, che l’attività di fatto che connota il quadrante fra la Tiburtina, le Mura e via dello Scalo, la Ztl dei poracci, è il piccolo spaccio di droga – come risulta da esplicite valutazioni sul web (neppure sul deep web) e nelle indicazioni cartacee affisse nei pressi della stazione autobus Tiburtina, snodo dei pendolari italiani e stranieri. La facilità di procurarsi droga per strada entra nel definire preferenze residenziali, certo non proprio dentro Sanlo, ma vicino a esso. Il consumo di droga è tipico della città gentrificata (e del suo entroterra, i quartieri alti e i palazzi della politica), ma si preferisce procurarsela in piazze specifiche, che non coincidono con le aree pregiate. Ogni gentrificazione genera un settore degradato che funge da magazzino di servizio – parliamo di spaccio stradale per il modico consumo quotidiano, perché per i ceti più abbienti, per quantità più significative e per certe tipologie predomina il servizio a domicilio, il delivery dello sballo affidato a rider fidati. Un elemento del degrado di Sanlo, legato alla sua storia recente di movida a buon mercato, è appunto l’essere diventato uno smorzo di “roba”, accentuandone la transitorietà e la spaccatura fra residenti e utenti occasionali (venditori inclusi). La conseguente militarizzazione del quartiere non ne alza certo il pregio e neppure contrasta il fenomeno, serve solo all’allarmismo sociale, cui contribuiscono anche alcuni stolidi residenti nell’illusione di esorcizzare l’evento.

Tornando ai dati ufficiali, Sarah Gainsforth, con il consueto acume investigativo, punta i riflettori sulle agenzie che trattano affitti – un campo sempre più sottratto alla contrattazione individuale e appaltato a mediatori che garantiscono ai proprietari la certezza di un introito modesto e speculano su arredamento, ristrutturazione e servizi accessori, escludendo così buona parte del fabbisogno abitativo, dato che studenti, lavoratori e famiglie non possono permettersi certi prezzi. Nell’ambito di un generale declino delle locazioni a Roma fra il 1971 e il 2001 (dal 61,5 al 28,3% del tasso di proprietà), la produzione di valore è passata dalla costruzione di nuove case alla rivendita e ristrutturazione di quelle esistenti, «rigenerando il costruito» (p. 109), ovvero mettendo in circolo capitali con il volano immobiliare. Fenomeno che riguarda ovviamente la città consolidata, anche nei suoi settori poveri e semi-periferici, quali Sanlo. Gli abitanti di Roma sono rimasti pressoché inalterati dagli anni ’70, ma con un imponente travaso (800.000 persone, un terzo del totale) dalla città consolidata alle periferie a ridosso del GRA. A fuggire sono stati soprattutto famiglie e giovani, cacciati dal costo delle proprietà e degli affitti e non certo dall’attrazione del vivere rustico e borghettaro. Lo spopolamento di Sanlo ne è un capitolo.

Le politiche governative non hanno fatto nulla in questi anni per invertire la tendenza né tanto meno per intervenire sul mercato degli affitti e della proprietà con la costruzione di case popolari o una qualche regolamentazione delle locazioni, anzi, defunto l’equi canone, ha da ultimo azzerato anche il fondo per la morosità incolpevole e accelerato la privatizzazione del patrimonio pubblico esistente. Avanza trionfale la coppia rigenerazione del costruito-promozione degli affitti di tempo medio (studentati e analoghi collegi) e breve (con il ritorno dei turisti dopo la crisi Covid). Se un piccolo segmento di popolazione mobile può usufruire di location per nomadi di lusso e convivenze fra simili – magari ricavando “borghetti” dai cortili condominiali –, «questo sfaldamento del tessuto residenziale sta producendo impoverimento più che un classico processo di gentrificazione» (p. 132). Siamo a Sanlo, non a Kreuzberg o a Raval.

Barbara Brullo, infine, nell’ultimo capitolo intitolato Mobilità e piattaforme digitali: l’abitare temporaneo a San Lorenzo, partendo dalle caratteristiche organiche del “dimorare temporaneo” come riorganizzatore delle popolazioni urbane e uso della mobilità per incrementare il reddito e accrescere le diseguaglianze, individua nelle piattaforme uno strumento potente per aggirare le spese infrastrutturali e di upgrading di un quartiere, sostituendo la popolazione senza accollarsi quegli investimenti continuativi che producono autentica gentrificazione. Nozze con i fichi secchi ­ vecchio detto e collaudata pratica nazionale. L’autrice passa poi in rassegna la penetrazione sanlorenzina di Airbnb, con minuziosa elencazione della distribuzione, dei prezzi e del fenomeno del multihosting e dell’affidamento ad agenzie, che delineano un panorama abbastanza preciso (per quanto sia possibile in un regime altamente informale) del ruolo della rendita fondiaria nel disordine programmato di una gentrification vantata quanto abortita.

Immagine di copertina di Emma Catherine Gainsforth