approfondimenti

ITALIA

Milano, un modello di metropoli incompatibile con la giustizia climatica

Un estratto, con speciale introduzione per l’occasione, da “MiM21, dieci anni d’informazione dalla parte giusta della barricata”, il libro che raccoglie alcuni scritti del sito di informazione indipendente MilanoInMovimento

Intro

Il 15 ottobre 2021, cadeva il decimo anniversario della nascita del sito di informazione indipendente “MilanoInMovimento“. Il sito infatti, iniziò a pubblicare proprio in occasione della battaglia di piazza San Giovanni, i duri scontri scoppiati dieci anni fa a Roma tra Forze dell’Ordine e manifestanti contro l’austerity. Proprio per celebrare questa ricorrenza quel giorno è uscito, pubblicato da Prospero Editore: MiM21, dieci anni d’informazione dalla parte giusta della barricata.

Il titolo del libro nasce da due riflessioni. La prima riguarda la scelta da parte di “MilanoInMovimento” di rinunciare a una pretesa e ipocrita oggettività dell’informazione parteggiando apertamente proprio per il movimento e i movimenti. Non è un caso che il libro si apra con una citazione di Oscar Wilde che critica l’idea che un’opinione possa essere oggettiva e che dice…..

La seconda riflessione si è sviluppata proprio in questi ultimi anni di dirette social dalle piazze dove alcuni importanti siti d’informazione, nei momenti di tensione, trasmettono sempre alle spalle delle Forze dell’Ordine. Ecco, una cosa del genere, a MiM non potrà mai succedere. Più di una volta infatti i redattori del sito si sono presi manganellate e lacrimogeni stando appunto dalla parte giusta della barricata.

Uno degli elementi fondamentali da segnalare è che si tratta di un’opera collettiva. Nell’epoca dei social dove l’IO la fa da padrone, per la redazione di “MiM” è stato importante poter parlare ancora come un NOI.

Il secondo elemento fondamentale è che il libro non è la storia dell’intero movimento milanese degli ultimi 10 anni. La redazione non avrebbe potuto né voluto arrogarsi il diritto di parlare per altri. Si è quindi scelto di parlare delle lotte spinte e attraversate da quelle collettività che, in questi anni, sono state più vicine a “MilanoInMovimento”.

L’inizio del libro è caratterizzato da una timeline che ripercorre gli eventi degli ultimi 10 anni arrivando fino a poche settimane fa. Vengono trattati sia i più importanti episodi di movimento sia a carattere cittadino che nazionale che i più importanti eventi politici e non solo a livello nazionale e internazionale. Vi si potrà dunque trovare sia la citazione di una manifestazione terminata con cariche a Milano come le elezioni americane, gli attentati di Isis e le vicende del Rojava e della Palestina.

I capitoli sono divisi in macrotemi e parlano di quelli che un tempo, sarebbero stati definiti “settori di intervento politico” delle collettività. Si va quindi dalla metropoli alla lotta per la casa e gli spazi, dal clima al genere, passando per l’internazionalismo e finendo con la pandemia. All’interno dei capitoli si possono trovare sia pezzi d’archivio di questi 10 anni che scritti prodotti per l’occasione sia dai redattori di “MiM” che da quelli che, in questi 10 anni, sono stati i collaboratori esterni del sito. All’interno del libro vi è anche un’ampia documentazione fotografica.

Insomma, si tratta di un libro capace di offrire a tante e tanti la possibilità di ritrovarsi all’interno di una storia collettiva che a Milano molti hanno attraversato e continuano ad attraversare.

Milano, un modello di metropoli incompatibile con la giustizia climatica

Nel momento in cui scriviamo queste righe sono passati due anni dall’esplosione del movimento per la giustizia climatica, da quel 15 marzo in cui milioni di persone sono scese in piazza gridando l’urgenza di un cambio di rotta sulle politiche ambientali ed economiche dei governi. Milano fece allora la parte del leone, con centocinquantamila persone in strada tra la manifestazione mattutina e quella serale.

Da quel giorno, dicevamo, sono passati sette scioperi globali, un’infinità di mobilitazioni e un proliferare di movimenti, campagne e approfondimenti sulle diverse sfaccettature della lotta per la giustizia climatica. Tuttavia, movimenti come Fridays For Future, nati in piazza e affermatisi a suon di partecipazioni numericamente impressionanti alle varie mobilitazioni, vivono ora un momento di parziale risacca a causa della pandemia globale di Covid-19.

Ma alle tante e tanti attiviste/i è chiaro come la pandemia rappresenti l’ennesima conseguenza della crisi ecologica, una manifestazione delle proporzioni enormi che potrebbero assumere gli effetti del collasso climatico, una nuova conferma di come la lotta ecologista sia la grande priorità, se la società vuole sopravvivere e continuare a chiamarsi tale.

Negli ultimi due anni anche le istituzioni non sono rimaste indifferenti a questa ondata di consapevolezza. Oltre ai diversi proclami dei governi e delle grandi corporazioni, un processo politico interessante per noi milanesi è quello che riguarda i sindaci e le sindache delle metropoli. Una riflessione che speriamo di stimolare con questo contributo è quella su come si possa effettivamente ripensare lo spazio urbano nell’ottica di affrontare seriamente il cambiamento climatico.

Da Barcellona a Parigi, da Lione a Lisbona, in Europa sempre più amministrazioni cittadine stanno basando o reinventando, a seconda dei casi, la propria identità politica mettendo al centro i temi ecologici. A Milano abbiamo certamente il più controverso esempio di questa “conversione” politica al tema dell’ambiente. La carriera di Beppe Sala prima di diventare sindaco è nota: supermanager dell’evento che più ha segnato la città nell’ultimo decennio, l’Expo 2015, ha sempre goduto di una fiducia “bipartisan” che ha unito l’intellighenzia sia di destra che di sinistra quando si è trattato di avere garanzie su questioni di interesse nazionale.

Alla fine del primo mandato dell’attuale sindaco di Milano, ecco la mossa che ha spiazzato un po’ tutta l’opinione pubblica, sia dentro sia fuori i movimenti: la presa di distanza di Sala dal PD e la sua adesione ai Verdi Europei, con tanto di dichiarazioni in pompa magna: «La questione ambientale riguarda il futuro nostro e dei nostri figli» e «Per me aderire ai Verdi significa prima di tutto fare meglio il Sindaco di Milano».

Questa scelta ha infuocato il dibattito interno alla sinistra, più o meno radicale, su quanto il sindaco sia green, con chi da una parte gli rinfacciava le scelte inaccettabili in termini di consumo di suolo e chi invece rilanciava sulla (vaga) idea di conciliare la sostenibilità con una realpolitik proiettata verso lo sviluppo e con una visione internazionali.

Non ci interessa, in questa sede, dare un voto al sindaco sulle materie ambientali, né è particolarmente interessante improntare un dibattito su una persona che ha fatto delle scelte che hanno anche alle spalle una matrice di tattica politica in termini di rapporti interni al centrosinistra.

Piuttosto troviamo stimolante costruire gli strumenti con cui fare queste valutazioni: cosa significa realizzare uno spazio urbano in grado di affrontare la transizione ecologica? Come vanno ripensati i trasporti, l’edilizia, l’energia? Quali sono gli impatti ambientali del processo di urbanizzazione cui va incontro la società tutta, se ve ne sono? È possibile invertire questo trend? Naturalmente non pretendiamo di dare una risposta a queste domande, ma vogliamo fare luce sulla necessità di affrontare concretamente questi punti.

Un elemento cardine attorno a cui si sono sviluppate le lotte in città riguarda il consumo di suolo: Milano è una città quasi totalmente priva di grandi aree verdi internamente al proprio territorio, e quelle esistenti sono continuamente minacciate ed eliminate per fare spazio a nuove costruzioni. Il fenomeno è talmente esteso è strutturale che nell’ultimo anno si è addirittura costituita una rete di comitati territoriali per la tutela del verde. Il tema del consumo di suolo è il primo a far emergere l’impossibilità di un cambio di rotta sull’edilizia da parte del Comune: il modello di trasformazione urbana della nostra metropoli, che già vede all’orizzonte la tappa delle Olimpiadi invernali del 2026, rende strutturalmente impossibile preservare gli spazi verdi.

Non si può smettere di costruire senza rimetterne in discussione le basi. L’attuale modello della Milano smart è semplicemente incompatibile con la giustizia climatica e non sarà qualche pista ciclabile a cambiare le cose.

Il cosiddetto “diritto alla città” riguarda la possibilità per tutte e tutti di vivere dignitosamente lo spazio urbano, avendo accesso ai servizi che la città offre a prescindere da condizioni economiche, sociali, razziali, di genere. In questo contesto è da affrontate, oltre che la questione del consumo di suolo, il tema della qualità dell’aria, a sua volta legato a doppio filo a quelli dei trasporti e dell’abitare. Un approccio alla mobilità che vada oltre le piste ciclabili e lo sharing, spesso e volentieri appaltato ad aziende e privo di un effettiva governance pubblica è assolutamente necessario.

Oltre a questo, va assolutamente affrontato da un punto di vista di riduzione delle disuguaglianze il grosso problema che gli immobili maggiormente inquinanti sono quelli delle periferie, i cui abitanti non possono permettersi la riqualificazione energetica, né comprensibilmente ne sentono particolarmente l’urgenza.

Dulcis in fundo, è necessaria la problematizzazione di cosa significhi in termini globali l’agglomerarsi delle persone in enormi metropoli e contesti urbani. La crisi climatica ci insegna come tutto sia interconnesso e come una società organizzata in enormi agglomerati abbia una serie di conseguenze in termini di meccanismi globali: il sistema della logistica, ad esempio, vive di questo tipo di organizzazione, basandosi su corridoi commerciali strategici e grandissimi hub di stoccaggio delle merci, che esistono solo in virtù delle necessità di trasportare enormi quantità di beni di prima necessità nei contesti urbani.

Assieme alla transizione energetica, il ripensamento della logistica è un’altra questione fondamentale se si vuole prendere sul serio la crisi ecologica, anche per il portato di lotte sindacali che stanno prendendo spazio in questo settore e che consentono la connessione immediata con il problema delle condizioni lavorative.

In questo quadro appare evidente come un soggetto cittadino risulti sostanzialmente impossibilitato ad autodeterminare le proprie condizioni di vita. La gestione dei trasporti e del mercato immobiliare è spesso delegata ad attori privati. E su questi due settori fondamentali per la vita dei cittadini non c’è nessuna possibilità di intervento né tanto meno di controllo da parte del pubblico.

Su questo le esperienze di mutualismo nate e cresciute durante l’emergenza sanitaria da Covid-19 hanno iniziato, pur essendo ancora lontane dalla conclusione, a tracciare la strada per nuove forme di autogoverno e lotta allo spreco basate su una solidarietà intergenerazionale, interraziale e anche interclassista che vive della condivisione dei beni materiali fondamentali come strumento per la creazione di comunità allargate e fortemente radicate nei territori.

Il percorso verso la sostenibilità appare dunque ancora lungo e pieno di ostacoli: l’individuare e conseguentemente l’affrontare il problema del collasso ecologico deve necessariamente implicare una presa di coscienza sullo stato comatoso in cui versano i nostri processi democratici.

Tutte le foto dalla pagina Facebook di “MilanoInMovimento”.