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L’essere e il sesso secondo Alenka Zupančič

“Che cosa È il sesso?” si chiede la filosofa e studiosa di psicoanalisi slovena Alenka Zupančič. Non una delle tante attività della nostra vita che possiamo conoscere, misurare e governare, ma un cortocircuito radicale la cui importanza filosofica non è ancora stata abbastanza affrontata. E che mette in una luce nuova i rapporti tra psicoanalisi, epistemologia e ontologia

– Vieni a casa mia domani alle tre
– Non posso
– Ti prego…
– È immorale…a che ora?
– Chi decide che cosa è morale?
– La moralità è soggettiva!
– Ma la soggettività è oggettiva
– I principi morali implicano attributi per contenuti che esistono solo nella dualità relativa
– Non come estensione essenziale di esistenza ontologica!
Sarebbe possibile non parlare tanto di sesso?

W. Allen, Amore e guerra

 

Nell’Introduzione a uno dei suoi lavori più importanti, La visione di parallasse, Slavoj Žižek fa riferimento, en passant, al documentario Derrida, dove, «alla domanda su ciò che avrebbe chiesto a un grande filosofo se lo avesse incontrato, Derrida immediatamente replica: “[Gli chiederei] della sua vita sessuale”». A tal proposito, il filosofo sloveno afferma: «Qui forse, bisogna integrare Derrida. Se ponessimo esplicitamente questa domanda, otterremmo con molta probabilità una risposta banale; ciò che bisogna cercare è piuttosto una teoria sulla sessualità al livello delle rispettive filosofie».[i] Žižek utilizza questo esempio, insistendo sul «carattere bizzarro» e sull’ «effetto […] spiacevole» che tale esercizio potrebbe produrre, al fine di specificare cosa significhi, secondo lui, «praticare un’universalità concreta», vale a dire porre «un’universalità di fronte al suo esempio ‘insostenibile’». Non è nostro obiettivo, in questo contesto, insistere su tale prospettiva, quanto piuttosto esaltare la specificità di un’operazione che crediamo possa rivelarsi ben più feconda, ovverosia domandarci cosa significa considerare la sessualità non solamente al pari di una questione filosofica o di un problema per la filosofia, bensì come un concetto (p. 10). Operazione a cui Alenka Zupančič ha dedicato il suo ultimo testo, intitolato, emblematicamente, What IS Sex? e recentemente reso disponibile anche al lettore italiano dall’editore Ponte alle Grazie in un’attenta traduzione a cura di Pietro Bianchi.

Come risulta chiaro sin dalle prime pagine dell’Introduzione, interrogare la questione della sessualità nel suo portato concettuale significa, per l’autrice, riconoscere a quest’ultima la qualifica di «questione squisitamente filosofica per la psicoanalisi» (p. 8) e porla, pertanto, in connessione con tutta una serie di sfere che si è soliti collocare all’interno del circuito della filosofia, come «ontologia, […] logica e […] teoria del soggetto» (Ibid.). È sufficiente concentrarsi sul titolo – Che cosa È il sesso? – per comprendere fino a che punto la questione ontologica sia presente all’interno del testo e ne permei lo sviluppo sin dalle radici. Proprio l’annodamento di sessualità e ontologia, infatti, sembra perimetrare lo spazio (e illuminare il destino) dell’incontro tra filosofia e psicoanalisi, nella misura in cui interrogare la questione della sessualità dal punto di vista dell’ontologia non significa costruire un’ontologia della sessualità, né, tantomeno, ricercare in un luogo, in una sostanza o in un essere, una possibile riposta alla domanda riguardante che cosa la sessualità sia.

Ci sembra di poter affermare che, al contrario, l’intera argomentazione di Alenka Zupančič imbocchi – a ragione – tutt’altra direzione. Infatti, le difficoltà che, a partire da Freud, chiunque abbia cercato di riflettere attorno allo statuto della sessualità ha incontrato sul proprio cammino, derivano dal fatto che essa non è qualcosa che è, ma piuttosto qualcosa che manca, o tuttalpiù – riprenderemo tale questione nell’ultima parte di questa recensione – qualcosa che c’è.

Divengono allora immediatamente chiare le ragioni per cui la sessualità costituisce il lieu o, ancor meglio, utilizzando un efficace neologismo coniato da Alain Badiou in Teoria del soggetto, l’horlieu, in cui il non-rapporto tra filosofia e psicoanalisi si risolve in un incontro che consente a entrambe di problematizzare il proprio statuto e i propri concetti. Infatti, è solo affrontando la questione prettamente filosofica della sessualità che la psicoanalisi può fare luce sulla struttura di quella che senza dubbio è la sua scoperta più importante, vale a dire l’inconscio – altro horlieu in cui il tessuto ontologico e quello epistemologico tendono a ripiegarsi l’uno sull’altro, nella misura in cui l’unico sapere possibile della/sulla sessualità è quello (dell’)inconscio. Un sapere in cui «si tratta di non sapere che sappiamo (…di non saperlo)» (p. 29), che può trovare una sponda nel sapere dell’analista, quello che Lacan definiva non-sapere e che non costituiva «una negazione del sapere, ma la sua forma più elaborata».[ii] Allo stesso modo, solamente facendo i conti con lo statuto della sessualità, la filosofia è costretta a confrontarsi con il Reale che tormenta ogni ontologia, con il suo (sotto)fondo hauntologico, si potrebbe dire, tornando a scomodare Derrida. La psicoanalisi rende visibile l’operazione attraverso cui «l’ontologia tradizionale» è costretta a recidere questo Reale, questo «qualcosa nell’essere che non appartiene all’ essere» (p. 68), affinché si possa rendere possibile un qualsiasi discorso sull’essere-in-quanto-essere. Un Reale che «non è un essere o una sostanza, ma la loro impasse e il loro punto di impossibilità» (p. 67). Un’impossibilità intimamente connessa a quella «negatività originaria ([…] rimozione originaria, senza-uno, meno, incrinatura, spaccatura)» (p. 179), dovuta alla «caduta necessaria [del] significante primo»[iii] e alle conseguenze che tale caduta reca con sé relativamente alla produzione di un soggetto che è al contempo «effetto del linguaggio e nome proprio» (p. 200) dell’impasse che lo scava dall’interno; alla “fissazione” di una crepa, un vuoto, nell’essere della struttura; alla definizione, infine, di quello che Lacan ha denominato oggetto a e che, da un lato, circoscrive il perimetro di tale vuoto e, dall’altro, ne rappresenta la «crosta» (p. 157), così da costituire, al contempo, l’oggetto verso cui una pulsione si dirige per trovare soddisfacimento e la “garanzia” della sua perpetua ripetizione.

Un’ontologia dopo la psicoanalisi, allora, non potrà essere pensata che nei termini di quella che, sulla scorta di un’affermazione che Lacan fa nel Seminario XX e con un evidente richiamo ai lavori più recenti di Lorenzo Chiesa,[iv] l’A. nomina «para-ontologia» e descrive come un’ontologia in cui «l’essere è collaterale […] alla sua impossibilità» (p. 203). Un essere e una realtà pensati, di conseguenza, alla luce della loro inconsistenza, degli antagonismi e delle contraddizioni che li attraversano, e della loro impossibilità. Un’impossibilità da cui l’A. trae una serie di implicazioni politiche che costituiscono, insieme a quelle filosofiche, l’altro piano fondamentale – forse meno evidente, ma, a nostro avviso, costantemente preso in considerazione – che scandisce l’andatura argomentativa del testo.

È seguendo questa doppia tramatura che si sviluppa, lungo i quattro capitoli di cui il testo si costituisce, il discorso dell’autrice riguardo alla sessualità e alla costellazione di concetti che a essa sono connessi, in un continuo confronto con autori classici della filosofia e della psicoanalisi, correnti filosofiche contemporanee (object-oriented ontology e realismo speculativo), ambiti di ricerca particolarmente fecondi (gender studies) e, infine, anche se in misura minore, classici dell’economia politica e della letteratura.

Dopo un primo breve capitolo nel quale l’A., a partire dall’interrogazione dell’“impresa” freudiana, del testo biblico e dell’iconografia cristiana, introduce la questione della sessualità nei termini con cui ci siamo riferiti a essa fino a questo momento, nel secondo capitolo sono prese in esame, esplicitamente, le implicazioni politiche del concetto di sessualità, alla luce della più ampia e complessa relazione tra psicoanalisi e politica. Una relazione che, a dispetto dei modi scorretti di praticarla, può trovare nuovo vigore solamente ponendo la questione della sessualità al centro della propria riflessione e della propria pratica, mettendo così in rilevo quanto essa reca con sé, vale a dire la centralità del Reale nella sua dimensione antagonistica che sola consente di pensare «una politica emancipatrice vera» (p. 39). Una centralità del Reale che l’A. prende in esame a partire da una rilettura estremamente convincente della celebre affermazione lacaniana secondo la quale non c’è rapporto sessuale e rilevando – attraverso un confronto originale con l’Anti-Sexus di Andrej Platanov – nell’abolizione di tale non-rapporto, e nel tentativo di rimpiazzarlo con un «Rapporto» armonioso, «la cifra di ogni repressione sociale» (p. 40). Più precisamente, l’A. distingue tra l’abolizione del non-rapporto come la forma in cui «i progetti politici autenticamente rivoluzionari del Novecento hanno spesso inteso il proprio progetto di emancipazione» e lo «sfruttamento» del non-rapporto da parte delle «forme moderne del potere» che si appropriano della «principale forma di negativo dell’ordine simbolico» – operazione che l’A. nomina efficacemente «privatizzazione del negativo» – nascondendo tale operazione sotto le spoglie di un Rapporto armonioso, l’unico in grado di proteggerci dal «caos incontrollato» del non-rapporto (p. 49); come nel caso del capitalismo, che l’A. prende in considerazione, rileggendo la teoria smithiana della mano invisibile alla luce di tali categorie. Una riflessione seria su cosa significhi pensare una politica dell’emancipazione alla luce del non-rapporto pare, pertanto, la strada da intraprendere per fuoriuscire dai Rapporti di dominazione attuali, senza replicare i «risultati catastrofici» (Ibid.) dei progetti rivoluzionari del ventesimo secolo.

Nel terzo capitolo, l’A. si confronta ampiamente con la questione del genere e del suo rapporto con il sesso, cercando di mostrare, in modo molto originale, e in controtendenza rispetto agli studi esistenti in materia, come una lettura della differenza sessuale e, più ampiamente, della sessualità, troppo incentrata sulle questioni di genere rischierebbe di non prestare attenzione alla connotazione Reale della sessualità stessa. Facendo ampiamente uso delle tavole della sessuazione di Lacan – delle quali fornisce una lettura coerente con la propria argomentazione – l’A. insiste su questo punto, dimostrando come la sessualità rappresenti proprio l’impossibile che, lungi dal poter essere eliminabile, continuerà ad abitare qualsiasi identità (di genere), scavando una crepa al suo interno. Ragione per cui «dal punto di vista lacaniano, “l’identità sessuale” è una contraddizione in termini» (p. 177). La sessualità è, al contrario, ciò che rende impossibile l’irrigidimento in una qualsiasi identità, dal momento che rende instabile ogni genere di identificazione. Nell’ultima parte del capitolo, poi, tale irriducibilità della sessualità all’ordine del significante continua a essere interrogata attraverso un confronto con le letture di Lacan fornite da Barbara Cassin e Alain Badiou, solitamente collocate agli antipodi, nella misura in cui la prima esalta la figura di un Lacan “sofista” e rileva nell’equivocità la cifra stilistica del procedere analitico, mentre la seconda esalta la funzione del matema e, tramite esso, del ruolo che la formalizzazione assolve all’interno della proposta psicoanalitica lacaniana. Ancora una volta in modo estremamente originale, l’A. si confronta con tali proposte mostrando come non solo esse esaltino delle peculiarità che sono entrambe riscontrabili all’interno del “gesto” lacaniano, ma più radicalmente come esse partecipino, in modi differenti, di un unico movimento speculativo teso a fare luce sulla presenza-assenza del Reale all’interno del regime dell’essere.

Infine, nel quarto e ultimo capitolo, il più corposo, l’A. compie probabilmente l’operazione più interessante del testo, stabilendo una correlazione tra sessualità e pulsione di morte e mostrando come la prima sia necessaria per comprendere la specificità dello statuto della seconda, senza incorrere in fraintendimenti. Più specificatamente, nella prima parte del capitolo, l’A. propone una critica estremamente originale del realismo speculativo, e, più precisamente, della posizione di Quentin Meillassoux, dalla prospettiva della psicoanalisi lacaniana, identificando nella differente concezione di Reale, il punto di rottura più significativo tra le due – che riflette, a sua volta, «la differenza fondamentale che […] esiste tra la psicoanalisi e la scienza» (p. 127). A questa prima parte, ne segue un’altra in cui l’A. propone un’interrogazione serrata della categoria di “animale umano”, volta a perimetrare, senza incorrere in banalizzazioni, il luogo in cui la “differenza umana” produce uno scarto significativo dell’uomo rispetto all’animale. Tale luogo è rilevato proprio all’altezza delle nozioni di godimento e pulsione di morte, non solamente nella misura in cui esse sono «più fort[i] del bisogno ‘naturale’», ma poiché «modifica[no] in modo fondamentale la natura stessa del bisogno naturale e lo divid[ono] dall’interno» (p. 136). All’analisi della struttura della pulsione di morte – in Freud, Lacan e Deleuze – è dedicata la quasi totalità della rimanente parte del capitolo. Analisi che si sviluppa attraverso un doppio movimento, che individua, da un lato, nella sessualità l’elemento che consente la transizione dal concetto freudiano a quello lacaniano di pulsione di morte e, dall’altro, nella possibilità che possa darsi, o meno, un’ontologia della pulsione di morte, la ragione principale della distanza tra Lacan e Deleuze. L’ultima parte del capitolo è, infine, dedicata a un confronto tra Lacan e Badiou. Se, infatti, da un lato, “ontologizzando” la pulsione di morte, vale a dire collocandola all’interno di quel complesso movimento attraverso cui differenza e ripetizione interagiscono all’interno di un essere univoco, Deleuze riesce a preservarne il carattere affermativo; dall’altro, secondo Lacan, affinché ciò sia possibile, e la ripetizione non venga catturata all’interno di un modello “nevrotico” che sancisce il sacrificio del godimento, è invece necessario l’intervento di un “significante nuovo” – che indica con la perifrasi enigmatica Il y a de l’Un (abbreviata in Yad’lun), C’è dell’Uno – a cui lo psicoanalista francese consacra tutta l’ultima fase della sua riflessione e che l’A. cerca di fare interagire con la nozione badiousiana di evento, rilevando, ancora una volta con grande lucidità, ampi fronti di dialogo, ma anche divergenze non di poco conto, tra le due posizioni.

Concentrando anche noi l’attenzione sulla medesima nozione vorremmo concludere questa recensione indicando quella che, più che una critica al testo di Alenka Zupančič, sulla cui originalità ci siamo già più volte pronunciati, vorrebbe costituire l’indicazione di una possibile pista di ricerca. Siamo, infatti, dell’avviso che interrogare ulteriormente la statura e le implicazioni di questo significante nuovo – di questo Uno, che non è nemmeno Uno, ma dell’Uno e che non è, ma c’è – consentirebbe di fare luce su alcuni scarti operati da Lacan nell’ultimissima fase del suo insegnamento – come quello del parlessere nei confronti del soggetto dell’inconscio o quello de lalingua nei confronti del linguaggio – verso i quali sarebbe produttivo rivolgere lo sguardo per compiere un nuovo attraversamento della riflessione dello psicoanalista francese in tutta la sua complessità e per continuare a interrogare la sessualità come questione filosofica, non solo nella misura in cui essa è qualcosa che manca, ma anche, e soprattutto, nella misura in cui essa è qualcosa che c’è.

 

[i] S. Žižek, La visione di parallasse, tr. it. di P. Terzi, il melangolo, Genova 2013, p. 21.

[ii] J. Lacan, Scritti, tr. it. a cura di G.B. Contri, 2 voll., Einaudi, Torino 2002, p. 353.

[iii] J. Lacan, Il seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi (1964), testo stabilito da Jacques-Alain Miller, tr. it. a cura di A. Di Ciaccia, tr. di A. Succetti, tr. della Postfazione di Lacan di A. Di Ciaccia, M. Daubresse e A. Succetti, Einaudi, Torino 2003, p. 247.

[iv] Cfr. J. Lacan, Il Seminario. Libro XX. Ancora (1972-1973), testo stabilito da Jacques-Alain Miller, tr. it. a cura di A. Di Ciaccia, tr. di A. Di Ciaccia e L. Longato, Einaudi, Torino 2011, p. 43 e L. Chiesa, The Non-Two. Logic and God in Lacan, MIT Press, Cambridge 2016.

 

Un versione precedente di questo testo è uscito su Universa, vol. 7, n. 1