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Cannes 1/ L’attualità di Cannes

Il Festival di Cannes che iniziato ieri proseguirà fino al 19 maggio si è aperto sotto una bufera di polemiche. Vediamo quali sono le principali novità di questa 71esima edizione a partire dalla rivendicazione del #metoo ripresa dalla presidente di giuria Cate Blanchett fino al braccio di ferro con Netflix

Anche Cannes si è adeguata al post-Weinstein, non solo perché per la prima volta il maxi produttore americano non calcherà il tappeto rosso, ma anche perché l’ondata del #metoo è stata assorbita all’interno di tutti gli statement di uno dei Festival più grandi del mondo – 20 milioni di euro di costi, partnership importanti come quella con Air France, Orange, Canal+ tra gli altri, più di 100mila addetti ai lavori che arriveranno in Costa Azzurra durante i dodici giorni di festival. Così già a partire dall’autunno il delegato generale Thierry Frémaux e il presidente Pierre Lescure avevano sottoscritto una dichiarazione in cui si dicevano «sgomenti» per aver appreso le accuse riguardanti Harvey Weinstein, per anni protagonista sulla Croisette, e in cui affermavano che azioni di questo tipo meritavano «solamente la più chiara ed inequivocabile condanna».  Anche la presidente della Giuria Cate Blanchett – per la decima volta su 71 edizioni del Festival sarà una donna a presiedere la decisione dell’assegnazione della Palma d’Oro – ha lanciato la sua accusa personale a Weinstein due giorni fa e ribadito che sulla questione dei diritti delle donne «non siamo al punto zero». Sulle stesse note ha anche aggiunto durante l’inaugurazione che spera che i film di quest’anno riescano a mettere in discussione le sicurezze delle proprie identità di genere.

La parola d’ordine del #metoo continua a essere ripresa all’interno dell’industria cinematografica – il che non significa che, nonostante la grande attenzione data dai media, i cambiamenti materiali all’interno di quel mondo siano stati fino ad ora soddisfacenti, anzi… anche  a Cannes quest’anno i film firmati da registe in Concorso sono solo 3 su 21 – mentre abbiamo visto che altri luoghi della società sono stati attraversati da ondate femministe di ben altra portata come è accaduto in Spagna, Argentina e Italia durante lo sciopero sociale dell’8 marzo quando l’individuale #metoo è stato rovesciato nel collettivo #wetoogether.

Il Festival, però, è stato nell’occhio del ciclone nelle ultime settimane anche e soprattutto per il contraddittorio rapporto che ha intrattenuto con le piattaforme di visione in streaming, che negli ultimi anni stanno rivoluzionando i sistemi di distribuzione del comparto audiovisivo. Le polemiche erano iniziate l’anno scorso, quando vennero presentati in concorso due film (Okja di Bong Joon-hoe The Meyerowitz Stories di Noah Baumbach) prodotti da Netflix. In quell’occasione, la FNCF, la Federazione nazionale del cinema francese che riunisce gli esercenti cinematografici nazionali, chiese che anche quei due film – come accade da regolamento per tutti gli altri che partecipano al concorso – venissero distribuiti prima in sala e solo dopo sulla piattaforma online. Per rimediare alla bufera, quest’anno, Thierry Frémaux è stato costretto a impedire ogni possibile deroga alla regola sulla priorità della distribuzione nelle sale francesi, e a pagare un “obolo” agli esercenti francesi nel loro tentativo di arginare lo strapotere di Netflix. Lo ha capito bene Ted Sarandon, lo chief content manager di Netflix, che un mese fa ha dichiarato che: «[Cannes] ha deciso di celebrare la distribuzione invece che l’arte del cinema. Noi invece sosteniamo al 100% l’arte del cinema, come d’altronde fanno tutti gli altri festival del mondo». Una stoccata molto pesante a cui è seguito il ritiro di tutti i film di Netflix dal programma del festival, compreso l’ultimo inedito di Orson Welles, The Other Side of Wind.

Nella polemica non si è fatta attendere la replica di Frémaux che è ritornato sulla personale guerra del Festival contro Netflix anche l’altro ieri durante la conferenza stampa di lancio. Il punto interessante è che anche Frémaux rivendica – esattamente come Netflix – di avere a cuore l’arte cinematografica: «Il festival è a Cannes, in Francia, un paese che continua ad amare il cinema che si vede collettivamente in sala. Netflix, come Amazon, sono novità che rispettiamo, ma per noi il cinema rimane il film in sala, e la sua poesia che è una cosa unica. Le serie – ribadisce non senza ironia – sono serie, un’altra cosa».

La posta in palio di quella che sembra una semplice bagarre tra due pezzi del capitale dell’entertainment è in realtà molto più alta. A confrontarsi ci sono due veri e propri modi di intendere l’esperienza delle immagini in movimento: l’una mediata da una collettività e da un luogo pubblico, come avviene per la sala cinematografica; l’altra, solitaria, individuale e privata, come invece accade per le piattaforme in streaming. Non è interessante fare le conta dei pro e dei contro dell’una e dell’altra, né ricordare che da una parte ci sono i ricatti dal sapore protezionistico di un cartello di esercenti francesi e dall’altra un modello insostenibile di capitalismo delle piattaforme che si basa su finanziarizzazione ed enclosure dell’attenzione collettiva. Infatti, Netflix più che vivere sui propri abbonamenti, vive sull’inflazione del proprio valore potenziale dato dall’essere diventata la piattaforma più vista in questo momento nel mondo.

Più che chiederci che cosa sta cambiando nel mondo dell’audiovisivo, dovremmo chiederci a cosa questi cambiamenti si riferiscano da un punto di vista più generale, che riguarda l’interezza della società. La crisi della sala cinematografica è infatti indice di un problema aperto e assolutamente politico: che cosa vuol dire «mediare collettivamente» un’esperienza nell’era della scomparsa dei luoghi di mediazione collettiva del moderno? Come si fa esperienza collettiva nell’epoca del capitalismo delle piattaforme? Nel proprio privato, che poi si rende pubblico sul social, oppure in uno spazio pubblico sempre più esiguo? Come si possono creare, più in generale, nuove forme di esperienza (e anche di visione) collettiva?

Altrove alcune risposte sono già state cercate e (forse) trovate. L’arrivo della stampa e degli ospiti al primo giorno del Festival di Cannes è stato reso molto più difficile dallo sciopero della SNFC che da più di un mese si sta mobilitando in tutta la Francia insieme agli studenti contro le privatizzazioni di Macron e la selezione all’ingresso nelle scuole e nelle università. Vedremo nei prossimi giorni se queste novità, ben lontane dalle commemorazioni astratte e stantie dei cinquant’anni del 68, riusciranno a fare effettivamente breccia anche sulla Croisette, portando quella ventata di innovazione di cui anche questo Festival ha sempre più bisogno.