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La via di Giangiacomo

In occasione della “Festa di Momo” che si terrà il 19 e il 20 settembre al CSOA La Torre per celebrare un anno di vita della casa editrice, apriamo una riflessione sul ruolo sociale dell’editoria contemporanea, a partire dalla rilettura di “Senior Service” di Carlo Feltrinelli

In questi giorni – ma ormai ciclicamente – i fatti di cronaca, in un modo o nell’altro, trascinano tutti a riflettere sulla cosiddetta “emergenza culturale” in cui appare sprofondato questo paese. Si discute di “ignoranza”, di rifiuto e degrado generazionale, di abbandono da parte delle istituzioni – e via cantando. Tale emergenza sarebbe particolarmente evidente e grave nelle periferie o nelle province, ma appesterebbe quelle stesse metropoli dove pochi giorni fa abbiamo potuto godere, si fa per dire, della visione dei “negazionisti” che in quanto a «ignoranza ed emergenza culturale» sembrerebbero proprio il top. Quando accadono queste cose – e anche quando appare la paventata “minaccia nera” – è sempre il momento di rispolverare la parolina magica: la “cultura”.

Ma vediamo un momento di allargare il ragionamento e rivolgiamoci direttamente, e ancora una volta, al mondo della produzione culturale, in particolare al mondo dell’editoria. Questa estate ho avuto modo di leggere, con circa 20 anni di ritardo, un libro fondamentale: Senior Service, scritto da Carlo Feltrinelli, il figlio di Giangiacomo. Un’opera incredibile e unica, frutto di un lavoro di archivio, di ricordi personali, di interviste e documenti, che ricostruisce la vita dell’editore.

Un libro, oggi, da prendere e rimettere al centro per ridiscutere tutto l’impianto della produzione culturale che viene fatta oggi: il come e il perché. Riparlare oggi del percorso culturale di Feltrinelli può essere uno stimolo importante per aprire delle riflessioni sul ruolo dell’editoria e non solo.

Spesso, negli ambienti della sinistra, si tende a sintetizzare e semplificare la storia di Giangiacomo con la sua fine e, quindi, con la sua latitanza fino alla morte e lo si fa o con la retorica ideologica della radicalità o, al contrario, con omertà e, quindi, non parlandone e basta. Sembra, infatti, che Feltrinelli sia un gruppo di librerie che produce e distribuisce libri ma sul nome che portano spesso si sorvola. C’è un grande rimosso e, laddove non c’è, se ne fa un uso strumentale. Ma di Feltrinelli editore – che è tra gli esempi più lampanti e geniali di lavoro editoriale – quando se ne parla?

La tendenza del senso comune è quella di separare i due ambiti: da una parte l’editore geniale che pubblica best seller, dall’altra le sue inclinazioni e scelte politiche. I due aspetti, invece, non sono affatto distinti e Senior Service lo spiega con chiarezza, delineando la continuità e la coerenza del ragionamento di Giangiacomo: il suo coraggio editoriale corrisponde coerentemente con il suo coraggio politico e le sue scelte.

Confinare la sua storia all’interno la lotta armata è un grosso errore che trascura il percorso culturale che Giangiacomo ci ha indicato. Un errore non solo nel cercare di comprendere la sua biografia ma anche nel tentare di capire meglio quelli che sono stati i cambiamenti e le tendenze di quegli anni, sulla cui complessità tutt’oggi abbiamo difficoltà a ragionare.

Farò una veloce ricostruzione, saltandone ovviamente alcune parti biografiche e tentando di riportare quelli che io credo siano stati alcuni dei passaggi più simbolici.

La scelta di fondare la casa editrice è decisamente la scelta di uno strumento. Giangiacomo inizialmente fa un lavoro incredibile di raccolta di documenti del movimento operaio ­– quella che sarà la Biblioteca Feltrinelli e che oggi sta nell’archivio della Fondazione – uno dei più preziosi archivi di sempre. Poi fonda la casa editrice ed escono i primi titoli. Il Partito comunista, che pretendeva di decidere l’indirizzo della casa editrice e del suo percorso culturale, piano piano capirà che Giangiacomo non voleva fare un lavoro di servizio del partito, ma arrivare con strumenti diversi “alle masse”.

Il dottor Živago, a cui il libro Senior Service dedica molte pagine e gli scambi in forma di lettera che si susseguono tra Feltrinelli e Boris Pasternak, rappresenta e ci mostra non solo l’intelligenza editoriale ma anche la sua indipendenza e coraggio. Scelte difficili che lo porteranno da una parte al successo editoriale mondiale, dall’altra a una rottura con il Pci che si concretizza in una distanza politica che negli anni coinvolgerà una parte sempre più ampia della sinistra. Anche in questo Giangiacomo anticipò i tempi, quando le critiche interne al partito e le delusioni erano da poco cominciate.

 

 

Più avanti ci sarà l’esperienza del gruppo ’63 – e qui non mancano gli episodi divertenti e gli aneddoti come il tentativo di arresto di Balestrini, mentre si recava a teatro, fermato da Giangiacomo all’urlo «è il mio redattore!» – ma soprattutto si comincia a intravedere l’idea di un’istituzione al servizio della produzione culturale di classe, la Feltrinelli. Per quanto strampalate e poco vendibili Giangiacomo comincia a dare spazio a produzioni varie, riviste, giornali, saggi, romanzi, roba autoprodotta dei tipi più diversi. La Feltrinelli sembra un po’, con le dovute differenze, come i racconti della Calusca di Primo Moroni, la fucina e la casa di tutti, solo in una forma più ampia e diffusa. Di cose ne succedono nella casa editrice e ne succedono nel mondo e in Italia, e Giangiacomo non fa altro che captare ciò che accade e cerca di mettere a disposizione il suo strumento, la casa editrice, per aiutare quei processi che reputa fondamentali.

Se si guarda ai titoli prodotti in quegli anni ma anche alle collane, i formati, le copertine, si ha un’idea dei suoi ragionamenti e quelli della sua redazione, il tentativo di tenere insieme le necessità commerciali con la volontà politico-culturale del pubblico a cui vuole rivolgersi, con qualità e contenuti ma senza confinarsi nella marginalità; allo stesso tempo si mettono in atto scelte quasi opposte, in apparenza molto più periferiche ma in realtà profondamente ancorate alla tendenza storica più che al mercato editoriale, tra cui i mitici “materiali marxisti”–  poi finiti tra i famosi “libri del rogo” dopo la sua morte.

Oggi dovremmo tutti interrogarci su quello che facciamo: siamo in grado e abbiamo voglia di ascoltare? Siamo disposti a metterci a disposizione? Oppure rincorriamo gli avvenimenti facendo la gara a chi produce il primo instant book? Ma soprattutto, qual è il progetto che abbiamo noi, operatori culturali?

Il percorso di Giangiacomo va avanti di pari passo con il suo percorso politico, l’incontro con Fidel Castro per la progettazione di un libro, gli incontri ai convegni internazionali con rappresentanti dei diversi paesi socialisti, le differenze, il tentativo di pensare a una “Cuba italiana” in Sardegna che non si concretizzerà e poi il rischio di un golpe di destra in Italia, le accuse che lo portano a scegliere la latitanza e infine la morte. Ancora una volta è la cronaca a entrare nella nostra memoria, il sangue e il traliccio, coprendo tutto ciò che c’era sotto.

Naturalmente, in oltre 500 pagine di libro ci sono molte altre cose importanti, elementi simbolici che possono essere presi in considerazione. Tra questi la definizione che dà Giangiacomo del lavoro dell’editore:

«L’editore è una carretta, uno che “porta carta scritta”, è un veicolo di messaggi […] senza sapere nulla deve far sapere tutto, tutto quello che serve […] servono strumenti e linguaggi nuovi perché tutto deve cambiare e cambierà”

Eccola qui, la migliore definizione che si possa avere del lavoro di un editore. Ma l’editore medio, oggi, indipendente o meno, come si percepisce? Spesso le figure che ci troviamo di fronte non sono né intellettuali né commercianti ma hanno i peggiori difetti di entrambi.

Giangiacomo, d’altronde, non si percepiva soltanto “una carretta”, lo era! – tanto da essere considerato un rozzo, un rude, un “non-intellettuale” che spesso chiudeva la porta in faccia ad alcuni di questi.

Ma non voglio qui parlare di quello che credo non funzioni nell’ambito editoriale, mi piacerebbe al contrario capire se da qualche parte esistono i presupposti e la volontà di immaginare percorsi culturali che non siano piegati a logiche conservative. Da una parte vediamo il problema, operatori che producono un tipo di “cultura” poco coraggiosa, che ripropongono gli schemi dominanti o ancor più ne fanno come strumento di pura propaganda. Dall’altra vediamo l’immobilismo di chi è riuscito a ricavarsi una posizione e si attesta su quella. La pandemia, purtroppo, non ha che confermato queste tendenze e in pochi si sono domandati se questi “strumenti” che avevano creato potessero acquisire un altro senso.

 

 

In una famosa comparsa televisiva a “Il tempo di leggere” in cui Giangiacomo Feltrinelli si trova a parlare di lettura con altri editori, il suo ragionamento sulla lettura va direttamente oltre e parla di miglioramento di qualità della vita delle persone, di tempo libero dal lavoro, avere cioè più tempo per leggere passando dalla settimana di 40 ore lavorative ad avere, oltre la domenica, anche il sabato per «riposarsi e distrarsi».

Oggi chi si occupa di cultura quasi sempre sembra dissociato dalla quotidianità, da ciò che accade socialmente. Ciò che gli importa è gestire il proprio evento, la propria “cosa”, senza intoppi, col massimo della visibilità e magari ritagliandosi il proprio ruolo personale: che questo alimenti un solo mercato e non si curi nemmeno di chi dentro quel mercato ci lavora e ne viene sfruttato non è di certo un problema.

Molti, su Giangiacomo, la fanno facile. Basta ricordare la sua provenienza da una famiglia ricca, un miliardario che si è ritrovato un patrimonio fin dalla nascita. Pregiudizio che, tra l’altro, sconterà per tutta la vita. Ma per fortuna nostra, lui riusciva a guardare molto oltre e a pensare che le sue ricchezze potessero essere messe a disposizione degli altri. Si capisce bene dai quantitativi di materiale, cibo e molto altro che fa arrivare in più parti nel mondo. Si capisce dai libri che regala a situazioni in lotta, si capisce dall’aver usato le sue librerie come spazi politici, il tutto senza mai dimenticare di essere editore.  Ma in particolare lo si legge nella dolcissima lettera che invia a suo figlio Carlo dalla latitanza appena iniziata. Gli scrive per il suo compleanno e, oltre alle parole di vicinanza e affetto, ci tiene a spiegargli perché si trova in quella condizione, in poche parole che riassumono il senso della lotta al capitalismo e la resistenza alle minacce di golpe che temeva in Italia.

Così tutti noi che oggi entriamo nelle librerie Feltrinelli, ignari di quella storia, dovremmo interrogarci non tanto se saremmo disposti oggi a far esplodere un traliccio, ma se pensiamo ancora che la cultura possa avere uno scopo strategico e, visto che la risposta è sì, come combattiamo questa guerra. Siamo disposti a rischiare per un libro (ad es. trasportandone illegalmente in giro per l’Europa delle copie), per un autore (facendosi arrestare dall’altra parte del mondo per sostenerlo), per noi stessi?

Di cultura, come dicevo in apertura, se ne parla spesso. Al netto dei cambiamenti a cui assistiamo, alla potenza di Amazon che durante la pandemia si è consolidata ed è pronta a conquistare il cielo, a un sistema librario che non sappiamo quanto possa andare avanti, alle emergenze sanitarie ed economiche e a tutto il resto: quanto siamo pronti a metterci in gioco? Forse, riprendere la via che ci ha mostrato Giangiacomo Feltrinelli non sarebbe poi così male.

 

Per partecipare a “La Festa di Momo” aderisci all’evento su FB. Ci vediamo il 19 e il 20 settembre al CSOA La Torre (via Carlo Giuseppe Bertero, 13, Roma)