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ITALIA

La comunità solidale si stringe attorno a Marah e alla Palestina: «Che questa tomba sia un punto di partenza, che il silenzio finisca»

Movimenti, collettivi, associazioni e sindacati al funerale di Marah, giunta da Gaza per curarsi, ma morta dopo poche ore per malnutrizione: troppa la famme sofferta a Gaza. Un funerale fra solidarietà e speculazione elettorale alla vigilia delle regionali

Oltre cinquecento persone si sono raccolte nel parco della pace Tiziano Terzani di San Giuliano Terme, provincia di Pisa, per dare l’ultimo saluto a Marah Abu Zuhri. La giovane ventenne, arrivata in Italia nella notte tra il 13 e 14 agosto con un volo dell’aeronautica militare partito da Eliat, è morta nella notte di Ferragosto a causa della malnutrizione indotta dalle pratiche genocidiarie di governo ed esercito israeliano.

Ai funerali hanno presenziato autorità civili e militari, rappresentanze istituzionali dei comuni della zona, tra i quali Campi Bisenzio e Sant’Anna di Stazzema, rappresentanti delle comunità islamiche della regione e l’ambasciatrice della Palestina in Italia Abeer Odeh. Assenti le amministrazioni locali di centrodestra. Un funerale che ha visto la partecipazione di una comunità sempre presente per portare la solidarietà al popolo palestinese. Movimenti sociali locali, coordinamenti studenteschi solidali con la Palestina attivatisi in Università e città in questi anni di mobilitazione, associazioni e sindacati. Tra questi, i collettivi Studentx per la Palestina e Al-tadamun, i movimenti No Base né a Coltano né altrove e Stop Rearm Europe, le associazioni Arci e Un Ponte Per, e le delegazioni del sindacalismo di base e del Collettivo di Fabbrica – GKN. Senza la loro costante presenza, anche la pur vicina morte di Marah Abu Zuhri, sarebbe stata solo l’ennesimo numero anonimo.

La cerimonia si è aperta con il monito del sindaco di San Giuliano Terme, Matteo Cecchelli, a «riconoscere lo Stato di Palestina» e l’invito alle istituzioni presenti a far sì «che Marah sia l’ultima. Che questa tomba sia un punto di partenza, che il silenzio finisca.» Dopo di lui, sarebbe stato previsto l’intervento di Abeer Odeh, il quale è stato invece affidato al proprio portavoce perché l’ambasciatrice «non ha ancora le credenziali di ambasciatrice presso il Presidente della Repubblica italiana». Dal microfono arriva il messaggio di un popolo spezzato dalla violenza genocidiaria ma non vinto, custode della «forza di continuare a vivere, ad amare, a reclamare un futuro in cui nessuna vita venga più spezzata dalla fame, dall’oppressione, dal razzismo e dalla discriminazione. Dignità per tutti i popoli del mondo e Palestina libera».

Poco dopo è intervenuta la madre di Marah Abu Zuhri, accolta da un lungo applauso. Un discorso sintetico e diretto il suo: «Ho lasciato Gaza per curare mia figlia, ma lei ha lasciato la vita terrena. Lascio una parte del mio cuore da voi. Essere vicino a lei significa essere vicino al popolo palestinese. Ho deciso di rientrare a Gaza, se mi sarà permesso.»

A questi sono seguiti altri interventi degli Imam di Firenze e Pisa, di AssoPace, e delle istituzioni locali. Per ultimo è intervenuto il presidente della regione Eugenio Giani, accolto dal pubblico con fischi e cori per la Palestina libera. Giani non ha perso occasione per rivendicare in piena campagna elettorale la recente approvazione della delibera per il riconoscimento dello Stato di Palestina da parte della Regione Toscana. Intervento certamente tardivo e strumentale, la cui benevolenza è stata tradita dalle risate fuori schermo – e fuori luogo – contornate da accattonaggi elettorali di Giani ed équipe di partito sulle elezioni regionali di ottobre.

La storia di Marah Abu Zuhri è forse una storia come tante, anzi troppe, viste da noi occidentali con la dovuta distanza emotiva che quando ci arriva vicina inizia a far rumore tanto da chiamare a raccolta un’intera comunità, da chi è sempre stato al fianco del popolo palestinese a chi si è avvicinato solo a ridosso della propria campagna elettorale.

Una storia come tante, una storia diversa

Marah Abu Zuhri è atterrata nell’aeroporto militare di Pisa con altri undici pazienti ed accompagnatori nella notte tra il 13 e 14 agosto. L’operazione di trasporto medico della 46° brigata aerea, composta principalmente da velivoli cargo da aviotrasporto C-130J, è stata accolta in pompa magna dalla stampa quasi a cercare di mascherare le operazioni militari con la ragione umanitaria; cercando di nascondere sotto al tappeto le comprovate complicità di forze armate, aziende militari e governo, con il genocidio palestinese.

Sette di loro sono trasferiti nell’ospedale di Massa, tre al Meyer di Firenze, ed una, Marah, all’ospedale Santa Chiara di Pisa. Ricoverata d’urgenza in condizioni critiche, la giovane è deceduta a Ferragosto per un arresto cardiaco in seguito a un rapido aggravamento del suo stato di salute. Tra le cause del decesso, il collasso degli organi interni causato dallo stato di malnutrizione. Una storia come tante quella di Marah, di quelle passate in sordina come un numero tra i tanti in questi decenni di genocidio, di cui solo gli ultimi due trasmessi in diretta; una storia diversa, capace di disvelare le ipocrisie occidentali quando la ragione umanitaria non basta a salvare la faccia davanti ad un genocidio che si sceglie di iniziare a vedere solo ora.

La diversità della storia di Marah, la capacità di far sentire a noi più prossima la piena gravità del genocidio in atto, si comprende dai dettagli. Subito dopo la notizia del decesso, le autorità israeliane hanno avviato la macchina della propaganda sionista dichiarando che la ragazza fosse affetta da leucemia. Un maldestro tentativo di salvare la faccia. Così Tel Aviv ha negato la morte per fame di Marah, ventenne di appena 36 chili.

Le elezioni alle porte

L’accusa di errata diagnosi è stata mossa contro la sanità regionale in seguito a un’operazione umanitaria, condotta da forze militari, che il governo nazionale aveva cercato di tenere nascosta. Il presidente della Regione, Eugenio Giani, in piena campagna elettorale per la rielezione, ha subito colto la palla al balzo per marcare il campo di distinzione con l’avversario sul piano ideologico. In una regione dove la destra ha tra i suoi capi bastione esponenti apertamente anti-islamici, come i leghisti Roberto Vannacci e Susanna Ceccardi, ed esponenti meloniani di spicco come Giovanni Donzelli e Raffaele Latrofa – ex capo del comitato No Moschea a Pisa –, lo scostamento discorsivo sul tema ha piena rilevanza. Restringendo ancor di più il campo al territorio provinciale, è esplicita la reticenza a non considerare il genocidio del popolo palestinese come tale da parte del centrodestra.

Il caso dell’iniziativa popolare promossa da “Pisa per la Palestina” per il riconoscimento dello Stato di Palestina e la rottura dei rapporti istituzionali con Israele presso il Comune di Pisa è esemplificativo di come funzionino gli schematismi in materia. Nella seduta di discussione il gruppo consigliare di centrosinistra ha appoggiato la proposta popolare pur mal sopportando la mancata condanna di gruppi terroristici come Hamas, mentre i consiglieri di centrodestra hanno attaccato frontalmente la proposta definendola «inaccettabile, [..] per i suoi contenuti fortemente ideologizzati, [..] perché chiudere gli occhi di fronte al terrorismo e proporre il boicottaggio di uno Stato significa prendere una posizione politica estrema e pericolosa.»

Se il rifiuto del centrodestra di riconoscere lo Stato palestinese era ampiamente atteso, il voto del centrosinistra è stato inaspettato. Una mossa che dimostra l’utilità contingente di un opportunismo politico che, sebbene tardivo, è utile al fine più grande del fermare il genocidio del popolo palestinese.

Il presunto distanziamento del centrosinistra toscano è tradito nei fatti dalle pesanti relazioni coltivate con Marco Carrai, presidente della Fondazione Meyer e di Toscana Aeroporti, nonché console onorario di Israele. Giani, si è mostrato sordo alle continue richieste di associazioni e movimenti di rimuovere Carrai dai ruoli di direzione a lui affidati, non rispondendo alle accuse addossate all’imprenditore di difesa dei crimini commessi da governo, esercito e coloni israeliani. Un peso difficile da rimuovere, tuttavia gestibile in una società civile a cui sembra mancare memoria dell’immediato passato e con un crescente astensionismo alle urne.

La ragione umanitaria sotto gli affari militari

La vicenda è una chiara fotografia dell’asincronia tra tessuto sociale impegnato a porre pressioni affinché cessino le complicità con lo stato di Israele e cessi il genocidio, un’economia industriale-finanziaria completamente asservita alla ragione bellica, ed un panorama politico-istituzionale quasi interamente piegato alla ragione imperialista imposta dall’asse USA-UE con i regimi amici dell’area medio-orientale. Il tentativo di legittimare le istanze economiche e politico-istituzionali con quelle sociali a mezzo dell’intervento umanitario attuato dalle forze armate, è oggi dato dalla necessità di recuperare consenso ad un montante rifiuto sociale della guerra e delle sue complicità.

L’intervento umanitario annunciato a mezza bocca dal governo arriva tardi, quasi a rappresentare una remissione dei peccati: mentre con una mano si lanciano aiuti umanitari sulla popolazione affamata da anni di genocidio e accerchiata dalle forze di occupazione, dall’altra si continuano a stipulare contratti miliardari con governo ed aziende israeliane.

Non solo. Entità, tardività e metodologie di distribuzione degli aiuti sono parte del problema. L’accentramento della distribuzione di aiuti umanitari nei quattro punti gestiti dalla Gaza Humanitarian Foundation è stato funzionale alla chiusura dei centinaia di siti d’aiuto gestiti da UNRWA, ONU ed associazioni; l’uso di contractor per il pattugliamento delle aree di distribuzione ha rappresentato la rottura di ogni logica di esclusività dell’uso della forza da parte degli Stati; lo sterminio conclamato del non-ebreo è ormai la norma, in una Palestina ormai divenuta tomba di centinaia di migliaia di persone e di qualsivoglia diritto o ordine internazionale.

Tutte le immagini sono dell’autore

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