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MONDO

La CIG giudicherà Israele colpevole del reato di genocidio?

L’avvocato Michael Sfard fa un quadro degli esiti possibili mentre la corte più importante del mondo decide se e come intervenire nella guerra di Israele contro Gaza

Alla Corte Internazionale di Giustizia (CIG) ha avuto inizio oggi un’udienza dalla portata epocale volta a determinare se la guerra devastante condotta da Israele contro Gaza possa essere considerata un genocidio. Potrebbero volerci anni prima che la Corte deliberi in tal senso, ma il Sudafrica, paese che ha intentato la causa, mira all’adozione di diverse misure provvisorie da parte della CIG, non escludendo la richiesta a Israele di cessare immediatamente le operazioni militari in corso; queste misure potrebbero essere adottate dalla Corte nel giro di alcune settimane. Ma non è detto che Israele si adegui.

In un documento di 84 pagine consegnato prima dell’udienza, il Sudafrica sostiene come Israele stia violando la Convenzione sul genocidio del 1948 – della quale entrambi gli stati sono firmatari – poiché l’attuale linea di condotta israeliana «ha il chiaro intento di distruggere una parte sostanziale» della popolazione palestinese di Gaza. Il bilancio delle morti perpetrate da Israele al momento dell’apertura dell’udienza è di 23.350 palestinesi. Israele ha inoltre causato la migrazione forzata dell’85% della popolazione della Striscia, nel corso degli ultimi tre mesi. La morte di civili in massa, per fame o malattie, è inoltre la conseguenza dell’inasprimento dell’assedio seguito all’attacco del 7 ottobre condotto da Hamas.

Con una mossa che interrompe una lunga tradizione di boicottaggio delle udienze nelle corti internazionali, Israele ha formato una squadra legale, incaricandola della propria difesa. Venti anni fa il paese ha rifiutato di partecipare alle udienze della CIG sulla legalità della barriera innalzata nel territorio occupato della Cisgiordania, ignorando inoltre i più recenti procedimenti relativi alla legalità dell’occupazione. Israele ha infine boicottato altre udienze riguardanti la sua condotta presso la Corte Penale Internazionale (CPI), tribunale distinto ma situato proprio di fronte alla CIG a L’Aia.

Michael Sfard, uno dei principali avvocati israeliani per i diritti umani, che si occupa soprattutto delle violazioni di Israele nei territori occupati, conosce molto bene questo contesto. Come molt3 altr3 avvocat3, è cauto nell’ipotizzare l’esito del procedimento. Ciò premesso, nel corso d un’intervista avvenuta nel suo ufficio qualche giorno fa, ha rivelato a +972 e Local Call che il Sudafrica può sicuramente raggiungere il numero di prove necessarie, in questa fase, per l’ottenimento di una misura restrittiva che ordini a Israele di fermare gli attacchi su Gaza. La Corte potrebbe inoltre emettere un ordine che chieda a Israele di dimostrare quali siano le azioni in campo per scongiurare il rischio di un genocidio e in che modo stia affrontando i vari episodi di incitamento all’odio perpetrati dai leader politici del paese.   

Anche se la CIG è, per molti versi, un «tribunale conservatore», Sfard ci fa notare che questa rappresenta comunque il mondo intero – di cui l’Occidente non costituisce la maggioranza. Pertanto, storicamente, la Corte ha mostrato empatia per le sorti dei popoli marginalizzati e oppressi,e ha avuto un ruolo fondamentale nella lotta per la fine dell’apartheid in Sudafrica. Oggi, in un atto di solidarietà con il popolo palestinese, il Sudafrica si fa promotore delle accuse contro Israele. La convresazione seguente è stata editata per esigenze di brevità e chiarezza.

Aiutaci a fare un quadro della situazione: cos’è la CIG e perché l’udienza si tiene presso questa Corte?  

«La Carta delle Nazioni Unite del 1945 – firmata da tutti I membri delle Nazioni Unite, tra cui anche Israele – statuisce che la CIG è l’organo giudiziario principale delle Nazioni Unite. La Carta assegna due poteri alla Corte: l’emanazione di pareri consultivi e la risoluzione delle controversie tra stati membri. Le sentenze della Corte sono vincolanti per gli stati che hanno firmato la Carta delle Nazioni Unite.  Ciascuno stato può prestare il proprio consenso affinché una determinata controversia venga discussa dalla CIG seguendo una procedura ad hoc, oppure invocare trattati firmati contenenti una clausola che stabilisce la giurisdizione della CIG sulle controversie relative a tali trattati.

Israele ha sempre espresso delle riserve sulla clausola di giurisdizione e non ha riconosciuto la giurisdizione della CIG in centinaia di trattati di cui è firmatario, ad eccezione di uno: quello sul genocidio. L’articolo 9 della Convenzione [per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio, ndt.] stabilisce che le controversie tra le parti contraenti relative all’applicazione o all’interpetazione della Convenzione siano sottoposte alla Corte Internazionale di Giustizia.

Le delibere della CIG trovano applicazione attraverso il Consiglio di Sicurezza. I capitoli 6 e 7 della Carta delle Nazioni Unite prevedono una serie di sanzioni contro quei paesi che non si adeguino alle sentenze della Corte, ad esempio sanzioni economiche, l’embargo sulle armi e l’intervento militare. Quest’ultima misura è rara ma ci sono stati casi passato, ad esempio durante la prima Guerra del Golfo». 

Perché Israele ha accettato la giurisdizione della CIG nella Convenzione sul Genocidio?

«Non mi occupo dell’evoluzione storica delle leggi; posso solo avanzare un’ipotesi. Israele è stato uno dei promotori del trattato e, applicando una prospettiva storica, il motivo per cui Israele possa aver voluto un trattato simile alla fine degli anni Quaranta e nei primi anni Cinquanta risulta chiaro. In secondo luogo, penso che allora non si fosse ancora diffusa l’opinione, ormai comune tra gli israeliani, per via della quale non permettiamo che siano i non ebrei a giudicarci. Stiamo parlando di un’epoca in cui il sistema internazionale aveva appena deciso di stabilire uno stato ebraico. Forse in quel momento ci si fidava di più di quel sistema.

Cosa potrebbe costituire una violazione della Convenzione?

Sullo sfondo della Convenzione c’è la Seconda guerra mondiale e in particolare l’olocausto delle persone di religione ebraica. Al contrario di quanto pensano molte persone, i nazisti non vennero processati per genocidio. Il genocidio come crimine non era previsto nell’ Accordo di Londra del 1945, sulla base del quale venne istituito il tribunale militare di Norimberga. Ma dopo Norimberga ci fu un ampio dibattito circa l’esaustività del crimine di sterminio e il fatto che non si attagliasse sufficientemente a uno sterminio di massa volto a cancellare uno specifico gruppo della comunità umana.  

Ci fu un confronto molto interessante tra due giuristi di religione ebraica, entrambi sopravvissuti all’Olocausto e originari di Leopoli, nell’attuale Ucraina: Raphael Lemkin, che coniò il termine “genocidio”, e Hersch Lauterpacht, creatore dell’espressione “crimine contro l’umanità”. I due erano in disaccordo sul fatto che uccidere un milione di persone in quanto appartenenti a un determinato gruppo e allo scopo di cancellarlo fosse più o meno grave che uccidere un milione di persone senza questo intento specifico.

L’interpretazione di Lemkin non venne presa in considerazione a Norimberga, ma in seguito le Nazioni Unite stabilirono che il genocidio venisse considerato come fattispecie particolare e a se stante, definendolo spesso «il crimine dei criminiı. Viene infatti definito come atto di sterminio o volto a creare le condizioni per l’annientamento di un determinato gruppo, con l’intenzione di cancellarlo sia in parte che interamente.  

La Convenzione, integrata nell’ordinamento israeliano nel 1950, stabilisce che anche un solo soldato o un civile che uccida una persona, benché una, sapendo che la sua azione fa parte di un’operazione di annientamento, è colpevole del crimine di genocidio. Secondo la legge israeliana, la punizione per questo crimine è la pena di morte. Questa legge trova applicazione anche nei confronti delle persone che cospirino al fine di perpetrare un genocidio, di chi incita al genocidio e di chi vi partecipa.

Su quali elementi si basa l’azione legale del Sudafrica?

Le accuse del Sudafrica si fondano su due elementi. Il primo è rappresentato dalla condotta di Israele. Vengono citati moltissimi dati circa gli attacchi indiscriminati e sproporzionati ai danni delle infrastrutture civili, l’alto tasso di mortalità per la mancanza di cibo, l’altissimo numero di persone ferite e la catastrofe umanitaria nella Striscia – cifre scioccanti delle quali il pubblico israeliano non sa praticamente nulla, perché qui i media mainstream non le riportano.

Il secondo elemento, quello più spinoso, riguarda l’intenzionalità. Il Sudafrica sta cercando di dimostrarla attraverso nove pagine piene di riferimenti alle dichiarazioni di funzionari israeliani di alto rango come il presidente, il premier, i ministri, i membri della Knesset, alcuni generali e i membri dell’esercito. Personalmente ho trovato più di 60 citazioni — con propositi di cancellare Gaza, raderla al suolo, sganciare una bomba atomica, dichiarazioni alle quali abbiamo fatto l’abitudine negli ultimi mesi.

Il caso del Sudafrica non si basa solamente sul fatto che i leader israeliani abbiano fatto dichiarazioni esplicite riconducibili a un genocidio. Il Sudafrica accusa Israele di non aver preso provvedimenti a fronte di tali dichiarazioni: queste non sono state condannate, nessuna delle persone che le hanno pronunciate è stata allontanata dal proprio incarico, non ci sono stati provvedimenti disciplinari e sicuramente non è stata avviata alcuna inchiesta penale. Quella del Sudafrica è un’argomentazione molto solida.

Anche se non abbiamo sentito il capo delle Forze di difesa israeliane o il generale del commando meridionale fare queste affermazioni e non ci sono ordini esecutivi che dicono «andate a distruggere Gaza», il fatto stesso che alcuni funzionari israeliani abbiano rilasciato queste dichiarazioni senza subire sanzioni o condanne è sufficiente per dimostrare la volontà di Israele.

Per farlo, il Sudafrica ha usato un escamotage giuridico, giusto?

Sì. La giurisdizione della Corte viene stabilita quando c’è una disputa tra le parti circa l’interpretazione o l’applicazione della Convenzione. Il Sudafrica ha inviato diverse lettere al governo israeliano dicendo: «state perpetrando un genocidio».  Israele ha risposto: «Non è vero». Perciò il Sudafrica ha detto, «Ok, abbiamo una disputa sull’interpretazione della Convenzione». Ecco come è arrivato all’autorità competente.

Cosa possiamo imparare da casi simili del passato, come il genocidio in Bosnia e in Myanmar?

Innanzitutto, questi casi ci dicono che l’onere della prova per iI Sudafrica è molto meno pesante ai fini dell’ottenimento di una misura provvisoria rispetto a quello necessario per provare una volta per tutte che Israele sta perpetrando un genocidio. Sappiamo anche che questa causa andrà avanti per anni: per la Bosnia ci sono voluti 14 anni; Gambia contro Myanmar è ancora in corso. Ma la procedura per ottenere una misura provvisoria è più rapida.

Il Gambia intentò la sua causa contro il Myanmar per conto dell’Organizzazione degli stati islamici. Il paese chiese una misura provvisoria che ordinasse al Myanmar di cessare le operazioni militari [contro il popolo Rohingya]. La Corte stabilì che, in quella fase dei dibattimenti, non era necessario determinare se fosse stato perpetrato un genocidio o meno. Ciò che occorre stabilire è se, in assenza di una misura provvisoria, sussista il rischio effettivo che le disposizioni della Convenzione sul genocidio vengano violate.

In quell’occasione venne emessa una misura provvisoria interessante che credo potrebbe essere applicata anche nel caso di Israele – la quale non riguardava le operazioni militari, ma l’intento. La Corte chiese anche al Myanmar di intraprendere le azioni necessarie e fare rapporto alla CIG e al Gambia sulle misure intraprese per impedire un genocidio. La questione relativa alla cessazione delle operazioni militari venne invece discussa dal Consiglio di Sicurezza, in seno al quale sia la Cina che la Russia minacciarono di esercitare il diritto di veto, ma i paesi dell’Occidente imposero comunque alcune sanzioni e l’embargo militare.   

Quindi, anche se il Sudafrica non riuscisse a ottenere dalla Corte una misura provvisoria per porre fine alle operazioni militari israeliane, potrebbe darsi che rispetto all’incitamento – che non riceve alcuna sanzione in Israele – la Corte decida che Israele deve prendere delle misure.

Come si difenderà Israele? Che dichiarazioni dobbiamo aspettarci?

Non credo che Israele possa negare I fatti [circa la sua linea di condotta]. In via del tutto marginale, potrebbe sostenere che «non sono stati distrutti 10.000 edifici, ma soltanto 9.700». Ma il teatro principale di questo scontro in punto di diritto verterà sulla natura dell’intento. Ad esempio, mi viene il sospetto che il trasferimento forzato di oltre un milione di palestinesi dalla Striscia di Gaza verso i territori del Sud verrà presentato da Israele per dimostrare la volontà di non mettere in pericolo i civili.

Mentre il Sudafrica sosterrà che il trasferimento mette a rischio le loro vite.  

Se obblighi qualcuno a migrare in un territorio dove non ci sono cibo né acqua, lo stai costringendo a spostarsi in un luogo dalle condizioni insostenibili che ne causeranno la morte; questo fatto, benché non configuri [strettamente] un omicidio, ricade comunque sotto la categoria del genocidio.

Israele dovrà svelare le sue regole d’ingaggio?

Se le regole d’ingaggio dell’esercito [attualmente segrete] prevedessero che non si può sparare a una persona con le mani in alto — ma non ne sono sicuro— sarebbe molto importante. Potrebbe minare la tesi secondo la quale l’esercito ha inteso spazzare via tutt3.

Le dichiarazioni di Israele circa gli sforzi sostenuti per autorizzare l’ingresso di aiuti umanitari a Gaza — anche se solo a parole — hanno creato quello che gli avvocati chiamano una “traccia documentale”. Ma Israele dovrà comunque rispondere delle dichiarazioni riconducibili al genocidio rilasciate dai propri funzionari, specialmente dai membri del governo

Dicendo che sono stupidi?

Sì. In generale, Israele potrebbe dire che [alcuni funzionari] sono degli sciocchi o che contano poco – che [il ministro delle finanze] Bezalel Smotrich e [il ministro della cultura] Amichai Eliyahu non hanno alcun impatto sulle operazioni militari condotte a Gaza. Israele dovrà ingigantire molto la ridicola ramanzina fatta da Netanyahu a Eliyahu [per aver dichiarato che Israele dovrebbe sganciare una bomba atomica su Gaza].  In quella sede fu dichiarato che Eliyahu era bandito dalle riunioni dell’esecutivo, riunioni alle quali poi Eliyahu ha partecipato comunque. Ma Israele dirà che Netanyahu ha condannato pubblicamente questa dichiarazione.

Israele parlerà dell’attacco condotto il 7 ottobre da Hamas?

Senza dubbio. Daranno un’interpretazione della guerra tutta loro: «Non è una guerra che abbiamo iniziato o voluto noi. Al contrario, avevamo un intero sistema umanitario per Gaza, i Gazaui lavoravano in Israele e loro ci hanno attaccato, massacrato, hanno stuprato le nostre donne e noi abbiamo intrapreso una guerra difensiva senza precedenti ma giustificata Quindi dire che c’è una specie di complotto per cancellare la popolazione palestinese equivale a mistificare il contesto in cui questa operazione militare si è sviluppata».

Ma anche ammettendo che non ci fosse alcun complotto per cancellare la popolazione palestinese prima del 7 ottobre, non si può escludere che questo desiderio sia stata una conseguenza del 7 ottobre.

Chi ci sarà per il Sudafrica?

Il Sudafrica ha incaricato Dikgang Moseneke, ex-vicepresidente della Corte Suprema del paese, come giudice ad hoc per questa udienza. Moseneke, attivista anti-apartheid nero, è stato detenuto per dieci anni nel carcere di Robben Island nello stesso periodo di Nelson Mandela.

Il capo del team legale è John Dugard, un professore bianco, oppositore del regime anche lui. È il fondatore del principale isitituto legale che negli anni Settanta si è opposto all’apartheid ed è stato Special Rapporteur per i territori palestinesi occupati negli anni Duemila – conosce molto bene l’occupazione israeliana. E, a dirla tutta, sono in ottimi rapporti con Dugard. Di recente ha pubblicato un’autobiografia in cui afferma di aver vissuto tre regimi di apartheid, nella sua vita: il primo in Sudafrica, il secondo in Namibia e il terzo in Israele e nei territori occupati.

Queste due figure arrivano alla CIG con la loro grande levatura morale. Questo vale anche per il Sudafrica: il nuovo Sudafrica si fregia di essere in prima linea nella comunità internazionale quando si tratta di rispetto del diritto internazionale. Credo sia l’unico paese al mondo ad aver incluso il diritto internazionale nei propri principi costituzionali.

E cosa ne pensi del fatto che Israele abbia scelto l’avvocato britannico Malcolm Shaw per la sua difesa e l’ex- presidente della Corte Suprema Aharon Barak come giudice ad hoc?

Shaw è professore di diritto internazionale, uno dei maggiori esperti in materia. Negli anni Ottanta ha scritto un libro che, facendo uno sforzo molto creativo, è stato intitolato Diritto internazionale ed è andato sei volte in ristampa – ne ho una copia qui, nel mio ufficio. Inoltre ha molta esperienza, avendo rappresentato diversi stati nei tribunali internazionali, spesso in conflitti relativi ai confini.    

Sulla nomina di Barak è stato già detto molto. Da parte di Israele, è una mossa geniale. Barak gode ovunque di grande prestigio. Gli attivisti israeliani per i diritti umani come me conoscono due versioni di Barak: quello al di qua della Linea verde, e quello al di là della Linea verde. Come dire,  il Dr. Jekyll e Mr. Hyde. Quale Barak si presenterà a L’Aia? Èuna bella domanda.

Il fatto che Barak sia un sopravvissuto dell’Olocausto è sicuramente importante. Lui, il genocidio, lo ha toccato con mano, non si tratta di qualcosa di puramente teorico o legale. Penso che chiunque lo abbia scelto fosse ben consapevole che, se c’è qualcuno che può far vacillare o convincere gli altri giudici nelle loro discussioni interne, è proprio lui. Il suo carisma, il prestigio legato al suo nome, il suo modo di interpretare la legge.

Peraltro, quelli che dicono che “rappresenta Israele” si sparano su un piede. Israele lo ha nominato ma, da quel momento in poi, egli è in teoria responsabile soltanto verso il diritto internazionale e la sua coscienza.

Ma se il suo giudizio non sarà favore per Israele, non avrà un posto in cui tornare…

Esatto.

So che gli avvocati non amano scommettere sull’esito delle udienze, ma se la CIG emetterà effettivamente una misura provvisoria, quali saranno le conseguenze per Israele?

Se la Corte emetterà un ordine, vedremo se Israele deciderà di eseguirlo oppure no. Conoscendo Israele, mi aspetto che non agirà in conformità, a meno che non riesca a far passare la cessazione delle ostilità come una misura presa di sua spontanea volontà, a prescindere da quanto stabilito dalla Corte.

Israele ha una serie di buoni motivi per farlo, perché disobbedire a un ordine della Corte internazionale di giustizia significa investire il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite della questione. È vero che gli Stati Uniti hanno il diritto di veto e quindi, molto probabilmente, una risoluzione che imponga sanzioni a Israele verrebbe bloccata. Ma porre un veto a un ordine della Corte internazionale di giustizia, che riguardi il genocidio in atto, avrebbe un prezzo politico enorme per il governo statunitense, sia a livello nazionale che internazionale.

L’amministrazione Biden vuole passare come governo fondato sui diritti umani. È quindi probabile che gli Stati Uniti pongano il veto a una risoluzione simile ma imponendo una pesante contropartita a Israele, come ad esempio permettere ai residenti della parte settentrionale di Gaza di tornare alle loro case, o avviare negoziati per la creazione di due Stati — non so.

Ma anche se gli Stati Uniti non eserciteranno il veto in tale situazione, un ordine provvisorio della CIG potrebbe avere gravi conseguenze per Israele.   

Esiste una sorta di “Stato profondo” nel diritto internazionale. Giudici e giuristi danno retta a quello che dicono i tribunali importanti.  E quando la CIG, nota anche come Corte mondiale, emette una sentenza, la maggior parte dei tribunali nazionali del mondo occidentale prende nota. Quindi, se la Corte internazionale di giustizia stabilisce che c’è il rischio che venga commesso un genocidio, è possibile immaginare che un cittadino britannico si rivolga a un tribunale britannico chiedendo che il Regno Unito cessi di vendere armi a Israele. Inoltre una sentenza della CIG come questa costringerebbe probabilmente il procuratore capo della CPI [Karim Khan] ad aprire un’indagine separata.

E cosa comporterebbe la vittoria di Israele?

Nel caso di una vittoria eclatante Israele raddoppierà, triplicherà, quadruplicherà, quintuplicherà l’hasbara [propaganda] riguardo ad altre accuse che potrebbero essere più facili da dimostrare, se paragonate a un genocidio. Perché, se qualcuno dirà a Israele: «State trasferendo i civili in modo forzato e sganciando bombe in modo indiscriminato e sproporzionato: questi sono crimini contro l’umanità», Israele risponderà: «Ancora queste calunnie dal sangue antisemita? Abbiamo già dimostrato che le accuse contro di noi sono false».

Quindi sia il Sudafrica che i palestinesi stanno facendo una scommessa?

Sì, è una scommessa. In ogni procedimento legale – che sia una causa per l’inadempienza di un contratto d’affitto o una causa sul genocidio – si corrono sempre dei rischi. Comunque, non è realistico pensare che Israele avrà una vittoria schiacciante poiché, almeno per quanto riguarda l’incitamento, Israele non ha buone argomentazioni da presentare alla Corte. 

Entro quando verrà emessa la sentenza?

Non c’è una regola precisa, ma nel caso del Gambia contro il Myanmar la decisione venne presa nel giro di un mese. Non dimentichiamo che il caso [di Gaza] andrà avanti anche dopo l’udienza per l’ordine provvisorio. Israele dovrà produrre le prove che lo scagionino dall’accusa di genocidio, ma nel farlo potrebbe avere problemi con la CPI. Per esempio, potrebbe dover spiegare che un certo luogo è stato bombardato in quanto obiettivo militare, ma in tal modo potrebbe fare affermazioni che costituiscano il punto di partenza per l’accusa di uso sproporzionato della forza militare.

E a livello personale, cosa pensa del fatto che Israele è accusato di genocidio?

Vengo da una famiglia di persone sopravvissute all’Olocausto e il fatto stesso che ne stiamo parlando e che l’accusa abbia fondamento mi spezza il cuore. Mio nonno, il sociologo Zygmunt Bauman, ha scritto della sindrome delle vittime che sentono a loro volta l’esigenza di rendere altre persone vittime e del perché bisogna sforzarsi di impedire che ciò accada. Temo che non ci siamo riusciti.

Una prima versione di questo articolo è stata pubblicata in lingua ebraica su Local Call. Leggila qui. Meron Rapoport è redattore per Local Call.

Pubblicato su 972mag in data 11 gennaio 2024. Traduzione in italiano di Benedetta Rossi per dinamopress

Immagine di copertina di Boris Niehaus Ambulance destroyed in Gaza Strip, 2014. Fonte: commons wikimedia