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Jean-Luc Nancy, l’inoperosa potenza del comune

Ripercorriamo la vita, integralmente consacrata alla filosofia, del pensatore francese, scomparso a il 23 agosto: dalla decostruzione della logica del fondamento sulla quale poggiano i sistemi totalitari alla riflessione sul corpo come luogo della distanza

Lunedì 23 agosto, nella sua Strasburgo – senza alcun clamore – ci ha lasciati Jean-Luc Nancy, un maestro del pensiero che ha accompagnato discretamente le vite, gli studi e le riflessioni politiche di molti di noi. Ricordarlo oggi significa non solo vivere questa perdita senza ricorso, ma soprattutto rendere omaggio a quell’«essere-in-comune» che ha tentato incessantemente di pensare, di ritracciare e di condividere al di là di qualsiasi essenza o trascendenza.

Foto di Georges Seguin da WikiCommons

Chi ha seguito il suo itinerario intellettuale conosce bene quale sforzo di pensiero abbia pervicacemente profuso nella sua vita a dispetto delle sofferenze e delle prove che l’esistenza gli ha imposto.

Il peso della sua assenza, della sua scomparsa, ci rammemora non solo l’umana esperienza della finitezza – quella che Jacques Derrida amava definire «ogni volta unica, la fine del mondo» – ma soprattutto l’impossibilità per ognuno di farsi carico della propria morte. Quella che pretendiamo possa essere la «nostra» morte non ci appartiene affatto, ma ci tocca, ci riguarda semmai il lutto al quale sopravviviamo con la morte dell’amico, dell’altro. A chi resta, il gravoso carico di rendergli quel che ora lui non può più sostenere.

La sua scomparsa segna un punto di non ritorno, una faglia, una ferita con la quale occorre misurarsi, tanto più quando in questione è la vita di un uomo che ha sempre cercato di «pesare» il pensiero con precisione e determinazione. Il suo sguardo sul mondo ci mancherà enormemente. E il peso di questa assenza sarà condiviso da tutti coloro che hanno avuto e avranno la fortuna di misurarsi con l’«opera» che resta al di là di qualsiasi inoperosità.

Nancy ha infaticabilmente mostrato come si possa condividere – sino alla fine – tutto quel che ci accade nell’immanenza, nel nostro essere-con, nel comune. «Essere» – come ci ha insegnato – va inteso come una forma verbale, non va né sostantivato né ipostatizzato se non si vuol ricadere nell’ennesima illusione metafisica, ma rinvia sempre a una «pluralità» di singolari che nascono e vivono la loro esistenza secondo la loro «forma di vita», di corpi che lavorano e lottano nella storia, in quella comune praxis di senso che è l’esistenza umana.

Con la sua biografia, Nancy ne ha dato una prova tangibile, con la sua ostinazione a non cedere ai pensieri semplici, ai sistemi onnicomprensivi, alle idolatrie consolatorie, con il rigore proprio di chi non accoglieva mai le verità particolari come fossero un dato ultimo ma come una configurazione determinata e transeunte del divenire.

Chi ha avuto il privilegio di conoscerlo personalmente e di tradurre i suoi testi sa bene come, con proverbiale generosità e umiltà intellettuale, nella sua corrispondenza, Nancy si congedasse con un semplice «avec amitié» oppure un «très amicalement». L’amicizia è stata certamente una cifra significativa dell’uomo che va forse ben oltre l’opera che ci lascia. Un’amicizia che affiorava nelle sue lezioni, nelle sue conversazioni, nella sua scrittura. La sua voce calma e discreta faceva dell’esigenza di comunicare e di condividere la passione per la ricerca filosofica, per la politica, per l’arte, per la vita, la sua urgenza più propria, al di là di qualsiasi vezzo accademico. La grande naturalezza che mostrava nell’esercizio del pensiero non gli faceva mai perdere tuttavia una personale riservatezza che a volte accompagnava il suo sorriso che si dava come un invito a proseguire nella riflessione, ad andare oltre e a cercare con pazienza nuove vie.

Nei giorni che seguono la sua scomparsa nulla è più difficile di tentare di ripercorrere una vita integralmente consacrata alla filosofia. Vi saranno altre occasioni per analizzare criticamente tutta la portata del suo pensiero, ma ci sembra un atto dovuto all’amico e al maestro provare a evocare almeno qualche snodo del suo itinerario intellettuale.

Più volte indicato come il maggior erede del post-strutturalismo o di quello che altri hanno definito come decostruzionismo francese, Nancy non ha smesso di fare del pensiero un’esperienza di vita, esposta all’inedito, sempre rivolta al con-loquium con l’altro. Pur riconoscendo – con grande onestà intellettuale – il suo debito filosofico (Rousseau, Kant, Hegel, Nietzsche, Marx, Heidegger, Derrida, Bataille, Blanchot, solo per citarne alcuni), Nancy si è rivelato un pensatore che ha coraggiosamente attraversato una pluralità di tracciati che costituiranno un’immensa risorsa per la filosofia.

Jean-Luc Nancy era nato il 26 giugno 1940 a Caudéran, non lontano da Bordeaux. Nel 1958 legge la Lettera sull’umanismo di Heidegger che gli offrirà la prima occasione per accostarsi alla questione dell’essere. Nel 1962, consegue a Parigi la laurea in filosofia, a cui segue l’anno successivo il Diplôme d’Études Supérieures sotto la direzione di Ricœur con un lavoro sulla filosofia della religione di Hegel e successivamente l’agrégation per i licei che gli consentirà di insegnare filosofia a Colmar fino al 1968.

Ingresso del Centro di ricerca filosofica sulla politica presso l’École Normale Supérieure di Parigi (foto di Emile Sorokine da FrWiki)

Dal 1968 al 1973 è assistente presso l’Università di Strasburgo. Il primo incontro che segna questo periodo sarà quello con Philippe Lacoue-Labarthe nel 1967 con il quale vivrà una «comunità» intellettuale e affettiva che lo accompagnerà fino alla scomparsa dell’amico nel 2007. In quegli anni i due si accostano insieme agli ambienti dei situazionisti attraverso l’amico comune Daniel Joubert.

Nell’autunno del 1968, grazie al sostegno di Lucien Braun, tengono insieme un seminario su Bataille la cui opera risulterà decisiva per l’intero percorso filosofico di Nancy. Il 1968 rappresenterà un punto d’intersezione cruciale nella sua biografia intellettuale e sul quale tornerà a riflettere nel breve saggio Vérité de la démocratie. A differenza di molti che ne ripudieranno i valori, Nancy ne evidenzierà la decisiva necessità storica per la rinascita dello «spirito democratico del tempo».

Nel 1970, avviene a Strasburgo un altro incontro decisivo, quello con Jacques Derrida e, grazie a lui, con Althusser e Michel Delorme, fondatore delle edizioni Galilée, dove uscirà il primo libro di Nancy e Lacoue-Labarthei. Sarà proprio l’amico Derrida a consacrare nel 2000 – con il suo Le toucher, Jean-Luc Nancy – la sua come «una straordinaria opera filosofica del nostro tempo».

Ancora Derrida gli offrirà la possibilità di svolgere dal 1972 al 1979 un’intensa attività di corsi e conferenze presso l’École Normale Supérieure di Parigi. Nel 1973, consegue il Dottorato di Ricerca in Filosofia con lo studio Le discours analogique de Kant, sotto la direzione di Paul Ricœur pubblicato poi nel 1975. Dal 1973 al 1988 è maître de conférences presso l’Université des Sciences Humaines di Strasburgo. Dopo la prima opera che si collocava in ambito psicoanalitico, esce la La remarque speculative (1973), prima pubblicazione dedicata a Hegel. Un lavoro ermeneutico che muovendo dall’analisi della quarta «remarque» [annotazione] che Hegel fa all’ultima sezione del primo capitolo della Scienza della logica sarà teso a rielaborare il cruciale concetto di Aufhebung.

Nella seconda metà degli anni Settanta le sue ricerche saranno dedicate soprattutto all’ambito teoretico-ermeneutico: risalgono a questo periodo Le ventriloque (1975), una meditazione sul nesso inscindibile tra le figure platoniche del sofista e del filosofo, e Le discours de la syncope (1976) secondo studio dedicato a Kant, del quale a più riprese indagherà il discorso filosofico scandagliando lo statuto ontologico del soggetto per elucidarne indecidibilità e aporie.

Nel 1978 con Lacoue-Labarthe pubblica L’Absolu littéraire: théorie de la littérature du romantisme allemand che affronta il ruolo avuto nella nascita del Romanticismo jenense dal milieu intellettuale sorto intorno ad «Athenaeum», rivista diretta dai fratelli Schlegel. Tali ricerche avranno un peso non secondario sulla critica del dispositivo mitografico che marca l’intera cultura tedesca romantica e che Nancy prolungherà con Le mythe nazi (1991).

I primi anni Ottanta si configurano nel percorso filosofico di Nancy come uno spartiacque soprattutto per quanto concerne la sua riflessione ontologico-politica. Nel novembre del 1980, con Lacoue-Labarthe fonda, grazie all’«ospitalità di Derrida e di Althusser», il Centre de recherches philosophiques sur le politique, presso l’École Normale Supérieure di Parigi. Dai lavori del Centre scaturiranno due importanti pubblicazioni collettive: Rejouer le politique(1980) e Le retrait du politique (1983).

La riflessione di Nancy assume allora una connotazione più propriamente politica, rilanciata dall’analisi del pensiero di Bataille sulla comunità e la sovranità. In questo lavoro di scavo – accostandosi alle analisi di Hannah Arendt – avvia una radicale decostruzione della logica del fondamento sulla quale poggiano i sistemi totalitari. «Ri-tracciare» il politico significherà per lui sottrarre il politico a ogni supposto fondamento. La riflessione sul soggetto si configurerà in tal modo come lo snodo decisivo per quella che diverrà la questione della politica intesa come «rapport des “sujets”».

Le ricerche svolte in questi anni confluiranno nel saggio che lo collocherà, sulla scena filosofica, come un riferimento imprescindibile per la riflessione novecentesca sulla comunità. La communauté désœuvrée viene pubblicata nel prima nel 1983 sulla rivista «Aléa», comparirà poi in volume edita da Christian Bourgois nel 1986 e nel 1990 sarà arricchita da altri saggi.

Foto di Gavin Stewart da Flickr

Il tema della comunità, di provenienza batailleana, rimetterà in gioco l’enorme questione della comunicazione, del comunismo e del comune proprio nell’epoca che avrebbe assistito alla caduta del muro di Berlino. La portata filosofica di quest’opera sarà tale da consentire a Nancy di riavviare un intero filone di ricerca su pensatori altrimenti eterogenei: Rousseau, Bataille, Heidegger, Blanchot, Hegel, Arendt. Decostruendo il concetto di «comunità», Nancy ne metterà a nudo origini e aporie che la marcano dagli esordi delle civiltà occidentali fino alle sue declinazioni contemporanee.

Con tale ricerca egli rilancerà un’inedita ontologia dell’essere-con o del comune che fornirà nuova linfa a tutto un indirizzo di studi, a partire da Blanchot con La communauté inavouable (1983) con il quale nascerà un dialogo filosofico e affettivo dal quale scaturiranno prima La communauté affrontée (2001) e poi La communauté désavouée (2014). Il tema della comunità solleciterà la riflessione sul comune in Francia con Badiou, Rançière, Balibar e in Italia con Agamben, Illuminati, Esposito, Negri.

A essere messi in questione, in tale processo, sono i maggiori termini del lessico politico della tradizione occidentale: nazione, polis, popolo, soggetto, partito, Stato, individuo, territorio, potere, gruppo sociale, classe. Di qui l’urgenza con la quale Nancy cercherà di rompere qualsiasi cerchio comunitario e collocare il suo punto di osservazione nell’intersezione tra singolare e plurale, in quel tratto inappropriabile che apre allo spazio della democrazia, tra individuale e collettivo. Lo spazio dell’intervallo come amava definirlo, quel tratto del con che solo può assicurare la co-esistenza e la libertà delle singolarità.

Nel 1987 gli verrà conferito a Toulouse il titolo di Docteur d’État, con una dissertazione dedicata al tema della libertà in Kant, Schelling e Heidegger, pubblicato l’anno successivo con il titolo L’expérience de la liberté. La riflessione sulla libertà è per Nancy inseparabile dall’incompiutezza dell’esperienza umana che lo costringerà ancora una volta a misurarsi, attraverso Kant, Heidegger e Bataille, con quella che definirà «un’ontologia dell’essere finito»ii. La finitezza come marca del nostro essere al mondo e quella del pensiero, di un’umanità che non può esimersi dall’interrogarsi sul senso dell’essere-insieme o di quella che qualificherà come La comparution (1991).

Foto di Matthias Mueller da Flickr

L’esperienza del limite si riproporrà a Nancy attraverso la riflessione sul corpo che si condenserà nel saggio Corpus (1992), una gemma che manifesta tutta la prossimità di Nancy al materialismo di Bataille. Un corpo che verrà sottratto a quella dicotomia corpo/anima che taglia l’intero pensiero occidentale. Un corpo che diviene lo spaziamento stesso dell’esistenza, il ci di quell’esserci che Heidegger non era riuscito a pensare fino in fondo. Corpo senza organi come Nancy amava ripetere in ogni occasione, ma al tempo stesso senza alcuna sostanza. Corpo come apertura, come passaggio dei molteplici sensi, dall’uno all’altro e ritorno. Il corpo che siamo e che non abbiamo, corpo senza segreto di cui Nancy farà il luogo della distanza, dell’infinita differenza che ci separa e ci accomuna al di là di qualsiasi tentazione fusionale. I corpi che resistono a qualsiasi sommatoria. Ogni corpo con la sua chance, con la sua occasione, la sua apertura.

Ma anche il corpo dell’uomo come esposizione nella sua infinita finitezza, ai suoi limiti, alla fragilità di un cuore che non può durare. Come il cuore stesso di Nancy colpito da una cardiomiopatia che lo aveva costretto nel 1991 a subire un trapianto. Tale esperienza sarà all’origine di un breve e illuminante racconto filosofico dal titolo L’intrus (2000) attraverso il quale si metterà a nudo e approfondirà il tema dello straniero, della venuta dell’altro, dell’estraneo, di ciò che ci preclude di riconoscere integralmente la nostra identità.

Questo dono inaspettato proveniente magari da una giovane donna nera – altra esperienza che lo costringerà a essere sempre molto attento alle identità/differenze sessuali – gli concederà una seconda vita e di poter estendere il suo sguardo ai fenomeni estetici, sociali e politici che si consumeranno nel Novecento, dal crollo del comunismo alle rivendicazioni identitarie delle guerre balcaniche.

Dei fenomeni connessi alla mondializzazione darà una sua originale lettura che evidenzierà come le disuguaglianze economiche del sistema capitalistico riproducano in maniera ipertrofica le disparità sociali, politiche e culturali. Ancora un’occasione per ribadire che la sola «misura comune» che le singolarità condividono resta «l’uguaglianza di tutte le loro origini-di-mondo»iii. Gli esordi del nuovo secolo che costringeranno l’Occidente secolarizzato a misurarsi con un’ondata di terrorismo internazionale del tutto imprevista, saranno l’occasione per Nancy di avviare una titanica decostruzione del monoteismoiv tesa a «scuotere l’edificio della tradizione filosofica».

In questi anni, Nancy ci ha insegnato come pensare e agire politicamente significhi resistere a qualsiasi logica dell’Uno, sia esso inteso quale dispositivo politico, metafisico o teologico-politico. Una resistenza del comune alla dittatura di quel «cattivo infinito» del nichilismo capitalista che tende a totalizzare l’esistenza dell’uomo sotto il segno di un’equivalenza mercatoria di ogni «valore» e a un indistinto omogeneizzante che riduce ogni differenza a un’identitàv, ogni altro allo stesso. Che fare? Si chiede Nancy in un saggio del 2016 riferendosi alle impasse della politica contemporanea?

Foto di Greg Webb da Flickr

Lo scenario globale lo porterà ancora a misurarsi con le «mutazioni» prodotte dal dominio di una techne senza controllo e sempre più pervasiva che occorre ripensare per scongiurare la catastrofe ecologica che incombe e i cui segni prognostici già emergono all’indomani del disastro di Fukushimavi. È il sordido volto di un capitalismo rapace che occupa indisturbato la scena del mondo, di questo «cattivo infinito» che ha la forza d’urto di annichilire territori, esseri viventi e civiltà. E torna ancora una volta l’appello a una «sociazione»che faccia del cum la propria legge e la ragion d’essere del suo partagevii. La pressante necessità di ripensare radicalmente il nesso che annoda comunità e comunismo lo condurrà in molti saggi e interventi a indagare ciò che del comunismo doveva ancora eventuarsi. Quella «condizione comune di tutte le singolarità» nella quale il comune si dà come «condizione dei non-comuni»viii.

Non è casuale se più volte Nancy abbia sentito negli ultimi anni l’urgenza di rilanciare la questione della democrazia, di un demos rivoluzionario sottratto a qualsiasi supposta sostanza, nostalgia identitaria o deriva nazionalista, e che potesse annodare l’égaliberté (per usare una felice creazione di Balibar) con quell’essere-in-comune che nessuna politica riesce più ad articolare. Una democrazia difficile da pensare e da praticare ma nonostante tutto da «reinventare» e che Nancy ha continuato a esigere hic et nunc fino alla fine.

«Democrazia vuol dire che né la morte né la vita valgono in se stesse, ma che vale soltanto l’esistenza condivisa in quanto si espone alla sua assenza di senso ultimo come al suo vero – e infinito – senso d’essere»ix.

Congedandosi da noi, con la generosità del suo lascito, con la discrezione del suo gesto filosofico, Nancy ci ha mostrato come il comune non debba mai rinunciare alla responsabilità del senso, a un agire concreto, a un rapporto che misura la forma propria dell’esistenza. Salutarlo con amicizia significa, per noi, ricordarci di tutto un tempo che con lui è stato più ricco e aperto alla venuta della «chance», di un possibile che non ha mai smesso di condividere, e che non smetterà di aprirsi dinanzi a noi e di «fare senso» gli uni con gli altri, in questa nostra compagnia.

«La vita – vegetale e animale – consiste nell’alterità: per quanto riguarda il vivente, si tratta sempre di numerosi viventi e dei rapporti tra loro; si tratta, dunque delle alterazioni degli uni attraverso gli altri, così come dell’alterazione di ciascuno attraverso la sua propria vita, che si espone agli accidenti dell’ambiente e alla sua stessa morte»x.

i P. Lacoue-Labarthe-J.-L. Nancy, Le titre de la lettre. Une lecture de Lacan, Paris, Galilée, 1972; tr. it. Il titolo della lettera. Una lettura di Lacan, a cura di S. Benvenuto, Roma, Astrolabio, 1980.

ii J.-L. Nancy, Une pensée finie, Paris, Galilée, 1991, p. 22; tr. it. Un pensiero finito, a cura di L. Bonesio e C. Resta, Milano, Marcos y Marcos, 1992, p. 22.

iii J.-L. Nancy, Être singulier pluriel, Paris, Galilée, 1996, p. 98; tr. it. Essere singolare plurale, a cura di D. Tarizzo, p. 103.

iv J.-L. Nancy, La Déclosion, Paris, Galilé 2005; tr. it. La dischiusura. Decostruzione del cristianesimo I, a cura di R. Deval e A. Moscati, Napoli, Cronopio 2007 e L’Adoration, Paris, Galilé, 2010; tr. it. L’adorazione. Decostruzione del cristianesimo II, a cura di R. Borghesi e A. Moscati, Napoli, Cronopio 2012.

v Cfr. J.-L. Nancy, Identité. Fragments, franchises, Paris, Galilée, 2010; tr. it. Identità. Frammenti, franchezze, in J.-L. Nancy, Politica e «essere-con». Saggi, conferenze, conversazioni, a cura di F. De Petra, Milano, Mimesis, 2013.

vi Cfr. J.-L. Nancy, L’Équivalence des catastrophes (Après Fukushima), Paris, Galilée, 2012; tr. it. L’equivalenza delle catastrofi, a cura di G. Tusa, Milano, Mimesis, 2016.

vii A. Barrau, J.-L. Nancy, Dans quels mondes vivons-nous ?, Paris, Galilée, 2011, p. 90.

viii J.-L. Nancy, Communisme, le mot, in A. Badiou, S. Zizek, L’idée du communisme, Nouvelles Editions Lignes, 2010, p. 208; tr. it. Comunismo, il termine, in A.Badiou, S. Žižek, L’idea di comunismo, tr. it. di F. De Petra, Roma, DeriveApprodi, 2011, p. 173.

ix J.-L. Nancy, Vérité de la démocratie, Paris, Galilée, 2008, p. 56; tr. it. Verità della democrazia, a cura di R. Borghesi e A. Moscati Napoli, Cronopio, 2009, p. 62.

x J.-L. Nancy, La sofferenza è animale, a cura di M. Filippi e A. Volpe, Milano, Mimesis, 2019.

Foto di copertina di Maria Moreno da Flickr.