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CULT

It’s a trap

Oggi tutti parlano di trap: i discorsi su questo genere musicale, che sembra essere entrato nelle nostre vite e nella nostra testa all’improvviso, sono sempre di più e molto contrastanti. Tuttavia è innegabile come la potenza di questo genere sia enorme

Quando ripenso a come mi sono immersa alla scoperta della trap, riesco solo a pensare a quanto questa musica, che all’inizio sembrava pressoché sconosciuta, sia entrata improvvisamente da un giorno all’altro nelle nostre playlist di spotify o nei nostri discorsi serali.

Anche se in Italia il boom è arrivato solo negli ultimi anni, nel resto del mondo la scena è nata agli inizi degli anni ’90, in particolare ad Atlanta dove il genere si sviluppò in rapporto all’urbanistica della città. La parola “Trap” deriva infatti da “Trap House”, che starebbe a indicare un appartamento abbandonato (solitamente nei sobborghi di Atlanta), dove gli spacciatori afroamericani cucinano e spacciano sostanze stupefacenti.

Sono molti gli elementi di novità musicale ed è possibile riconoscerli trasversalmente in tantissime espressioni di questo genere senza dover necessariamente svolgere un’analisi tecnica: le influenze di musica elettronica, come la dubstep; l’utilizzo di una metrica che ribalta i vecchi schemi della musica rap e non chiude più le rime entrando spesso fuori tempo dato che la musicalità viene data dalla base; il tanto contestato utilizzo del software Auto-Tune – criticato in una fase iniziale anche da molti rapper, giornalisti e fan. Ora, invece, a forza di sentire voci con l’Auto-Tune, le critiche che sostenevano che fosse un modo per permettere di cantare anche per chi non era capace sono scemate, perché si è riconosciuto il portato innovativo dell’utilizzo di questo strumento.

Parlando di trap in Italia, è poi impossibile non concentrarsi sul rapporto che questo genere ha con il rap e la cultura Hip Hop: nonostante artisti come Ghali, Tedua, Izi o Rkomi sentano di provenire da quel mondo, in modi diversi hanno deciso di sperimentare uno stile, un approccio e un modo di comunicare e fare musica che sono indubbiamente diversi. Per questo nonostante il rap continui ancora oggi a influenzare intere generazioni, alcuni giovani artisti emergenti, pur sentendosi legati a quella tradizione, hanno scelto di fare trap, inventando nuove forme e nuove modalità sonore.

Ghali, per esempio, partendo dalla sua soggettività specifica di migrante di seconda generazione è riuscito a conquistare un pubblico trasversale e a esprimere tramite la sua musica il suo vissuto personale.

I miei frate fuori come ombrelli nell’atrio
Affogo nel mio drink come Leonardo DiCaprio
Passaporto rouge valido per l’espatrio
Palme storte, copro la mia testa su un BMW

Fluttuo nell’aria uh-la-la (Rutabaga)
Di Goku ce n’è uno, sei Mr.Satan
Il tuo entourage frate è in ramadan (ocio)
Sparisci abracadabra Alakazam

L’industria è un tritacarne, io sono halal (salam aleikum)
Il flow è turbofuoco, scelgo Charliezard

Mi chiedi da dove vengo? Baggio boulevard
Karma è l’unica tipa che torna come un boomerang

Sto nella mia bolla, sto nella mia bolla
La mia mano è Jimmy, no non sono le corna
Ti sto insegnando a farlo, sputa quella gomma
Un po’ di rispetto insomma.

Oppure Tedua, cresciuto nei quartieri periferici multietnici di Genova, racconta la sua realtà, chiedendo riscatto e trovando nella musica uno strumento, un’arma, una lotta. 

Per non parlare dell’effervescente Spera Ebbasta, che con la sua preponderante personalità riesce a scrivere delle canzoni che pur essendo apprezzate da tutti esprimono un approccio anti-sistema e un viscerale odio per tutti coloro che lo fanno rispettare.

Mentre c’è anche chi ha scelto, per certi aspetti, di non distaccarsi, dall’uso tradizionale della metrica rap, pur apportandovi alcuni elementi di novità. È il caso di Rkomi, che con l’ultimo album “io in terra”, riesce a diversificare il suo stile e il suo linguaggio con un album che ha visto la collaborazione di artisti importanti sia della nuova che della vecchia scuola.

Per non parlare di tutti quegli artisti giovanissimi che, tramite questo genere e il suo momentaneo successo, stanno trovando uno strumento per poter fare musica autoprodotta in luoghi liberati, parlare delle proprie realtà e raccontare le lotte che ogni giorno affrontano e portano avanti.

Nonostante le differenze musicali, culturali, generazionali che si possono avvertire, vi sono delle trasformazioni del mondo che abitiamo che sono inevitabili e che ci mettono sempre di più alla prova e spesso sotto ricatto: come generazione, come soggetti e come comunità. Occorre immergerci in queste contradizioni, essere in grado di esplorarle e capire che cosa troviamo in questo mare infinito.

Al di là di tutte le differenze del caso (ad esempio tra la trap italiana e quella americana oppure della trap rispetto all’hip hop e al rap), è indubbio che nella trap si sia affermato un modo nuovo e creativo di esprimersi da parte di una generazione che ha ancora molto da dire, di sé, delle persone e del mondo che la circonda. E questo esperimento non è mai in linea con lo stato delle cose: c’è sempre la volontà di cambiare il reale, di voler trasformare le situazioni e costruire qualcosa che sia solo nostro, senza che nessuno ce lo possa togliere.