approfondimenti

EUROPA

Ilya Budraitskis: «Un passo indietro da parte di Putin»

«Nella decisione di riconoscere l’indipendenza delle repubbliche del Donbass, c’è forse la volontà di ridimensionare la crisi ucraina su una scala più locale», dice il politologo e attivista russo

Dopo un lungo excursus storico sull’impero zarista, l’evoluzione dell’Urss e l’“errore” da parte di Lenin di aver concesso troppa autonomia alle “realtà nazionali” presenti sul territorio russo, ieri Vladimir Putin ha comunicato la decisione di riconoscere l’indipendenza delle repubbliche di Donetsk e Lugansk in Donbass. Una decisione cui è prontamente seguito l’invio di truppe di peacekeeping dentro i territori orientali dell’Ucraina, staccatisi di fatto dal governo centrale nel corso degli eventi del 2014-2015.

Gli scenari che si aprono sono tanti e incerti. Sicuramente ciò che sta accadendo in queste ore rappresenta l’evoluzione più concreta dall’inizio della “crisi” in est-Europa, che sino a ora si era giocata soprattutto su un piano di richieste diplomatiche e minacciose mosse strategiche. Gli accordi di Minsk – che, nonostante non venissero rispettati da entrambi le parti, costituivano comunque l’unico quadro al cui interno era possibile cercare una soluzione per via negoziale alla situazione del Donbass – sono completamente stracciati. L’Ucraina afferma di non voler cedere alcun pezzo della propria terra, mentre Ue e Usa hanno dato il via alle sanzioni contro la Russia.

Eppure, non è detto che non ci si trovi di fronte a una sorta di de-escalation, di “ammorbidimento” del conflitto o almeno a un suo ridimensionamento su scala più locale e meno vasta di quanto poteva sembrare in precedenza. Ne abbiamo parlato con il politologo e attivista russo Ilyà Budraitskis.

Ti aspettavi un discorso di questo tipo da parte di Putin?

La logica di fondo espressa da Putin in questo discorso è stata quella di negare di fatto l’esistenza stessa dell’Ucraina su basi storiche, cioè di affermare che si tratti di una “nazione artificiale”. L’Ucraina, nella sua forma attuale, non sarebbe altro che una conseguenza degli errori di Lenin. E questo costituisce secondo Putin la base non solo per avviare un’ipotetica guerra contro il paese confinate, ma addirittura di “annientarlo” come entità a sé stante: proprio perché la sua esistenza non è giustificabile né dalle condizioni attuali né dalle evoluzioni storiche.

Partendo da qui, in un modo per certi versi strano, Putin è dunque arrivato al riconoscimento delle repubbliche di Donetsk e Lugansk, un segno che il suo discorso aveva anche altre sfaccettature e ambizioni. Esistono infatti indiscrezioni per cui il discorso sarebbe stato preparato prima dell’occasione di ieri nell’intento di giustificare un’invasione su larga scala dell’Ucraina, mentre la conclusione è stata cambiata in corsa per mettere in evidenza questa decisione (evidentemente più recente) di dare pieno riconoscimento alle repubbliche del Donbass.

Interessante che il discorso di Putin si è concentrato quasi esclusivamente sul passato, ma nulla o poco è stato detto riguardo al futuro, né rispetto alle repubbliche indipendenti né riguardo a cosa dovrebbe aspettarsi la popolazione russa. Quindi dobbiamo chiederci che cosa questo riconoscimento significa in realtà. Io penso che si tratta di una mossa da parte di Putin che intende certificare e salvaguardare ulteriormente una situazione che è già in essere. D’altronde, a Donetsk e Lugansk ci sono delle istituzioni di fatto indipendenti da Kiev, ci sono delle truppe russe sul territorio e gli accordi di Minsk non sono mai stati messi in pratica. Ecco che allora viene riconosciuto da parte del presidente russo questo stato di fatto.

Cosa potrebbe cambiare?

Dal punto di vista di chi vive nei territori delle repubbliche indipendenti – che si trova stretto fra i fuochi di entrambi le parti e senza che vengano implementati gli accordi di Minsk – questo riconoscimento potrebbe rappresentare qualcosa di positivo. A ogni modo, la situazione di non riconoscimento che si è protratta sinora è certamente qualcosa di negativo dal loro punto di vista: io credo che la maggior parte della gente speri appunto di essere finalmente integrata dentro una forma statale, che si tratti dell’Ucraina o della Russia. Non è un caso che molti degli abitanti del Donbass appunto si siano trasferiti da una parte o dall’altra. Penso insomma che la vera posta in palio per loro non sia l’indipendenza, ma la possibilità di diventare pienamente cittadini di uno stato già esistente: non siamo di fronte a una minoranza particolare, ma a un insieme di persone di identità mista.

E, d’altronde, in questi ultimi 8 anni l’idea di una repubblica indipendente ha perso considerevolmente popolarità e legittimazione: i leader dei movimenti pro-indipendenza sono scomparsi dalla scena (alcuni uccisi, altri rimossi dalle proprie posizioni e spinti a lasciare le repubbliche); da molti dei commenti che gli abitanti di Donetsk e Lugansk hanno postato su Internet durante la recente escalation è chiaro come non si fidino delle autorità lì presenti.

Ovviamente, il riconoscimento da parte di Putin significa la conclusione definitiva degli accordi di Minsk, la fine cioè dell’idea che sussistesse un conflitto interno all’Ucraina e che si potesse trovare un accordo fra il governo di Kiev e le autorità autoproclamatesi in Donbass. Quindi la domanda centrale rigurda la forma che assumeranno le relazioni fra questi territori e l’Ucraina. Dal punto di vista di Kiev, il riconoscimento da parte della Russia dell’indipendenza del Donbass (il riconoscimento formale, insisto, di ciò che è un dato di fatto da anni) potrebbe paradossalmente rappresentare qualcosa di utile. Non c’è infatti da parte di Kiev la volontà di reintegrare totalmente Donetsk e Lugansk perché si tratta di una regione oramai carente di infrastrutture e la cui popolazione è chiaramente poco “amica”. Inoltre, la posizione dell’Ucraina è sempre stata quella di non voler trattare con le autorità delle repubbliche indipendenti, poiché hanno sempre negato la natura di “guerra civile” di quegli avvenimenti, interpretandolo come uno scontro fra il proprio paese e la Russia.

Cosa ne viene allora a Putin?

Credo che dal punto di vista del presidente russo la decisione di ieri abbia rappresentato una sorta di “passo indietro”. Se ci ricordiamo le richieste mosse alla Nato lo scorso dicembre, la volontà sottostante da parte di Putin era quella di voler trattare alla pari con gli Stati Uniti su questioni di sicurezza su scala globale. Ora, invece, le dinamiche si stanno ricomponendo entro una dimensione liocale, che è quella del Donbass. C’è chi dice che si tratti addirittura di uno “spostamento del focus” concordato, o quantomeno discusso, preventivamente con Macron e Scholz (con cui Putin ha avuto conversazioni l’altro ieri). Per il presidente russo può risultare una via d’uscita dalla crisi molto vantaggiosa: al suo popolo riesce a presentare una de-escalation del conflitto che è però anche una sorta di vittoria, di conquista territoriale del paese.

Quali sono le reazioni in Russia?

Penso che Putin sia convinto che una larga fetta della popolazione russa abbia sinceramente a cuore le sorti “imperiali” del proprio paese e che dunque desidera per quest’ultimo una posizione di maggiore potenza nello scenario internazionale. Tuttavia, credo sussista una discrepanza. Stando ai sondaggi, sembra chiaro che l’attenzione della maggior parte della persone oggi in Russia va nella direzione delle questioni interne più che per quelle globali: la crisi economica, l’inflazione (molto esacerbata, non va dimenticato, proprio dall’escalation degli ultimi tempi)… E soprattutto i sondaggi indicano come il 60% circa delle persone ha paura della guerra.

Quindi credo che con la decisione di riconoscere l’indipendenza delle repubbliche di Donbass, Putin può presentare ai propri cittadine una sorta di vittoria, o di evidenza che stiamo difendendo le popolazioni russe oltre il confine, e allo stesso tempo mostrare come si stiano riducendo i rischi di un conflitto acceso. Comunque, se sul sentimento di paura c’è consenso, sulle interpretazioni della natura di questa guerra ci sono grosse divergenze: c’è chi pensa si tratti di un attacco della Nato, chi di un’iniziativa personale di Putin, ecc.

Nel suo discorso, il presidente russo ha sostanzialmente accusato le élite ucraine di essere dei pupazzi in mano ad altri…

Ovviamente questo approccio di Putin è sbagliato e totalmente pericoloso sul piano delle relazioni internazionali. Date queste premesse, si può andare avanti all’infinito: seguendo la sua logica, si può affermare che le repubbliche baltiche non esistono e che sono solo pupazzi in mano alla Nato, così come magari la stessa Italia è completamente in mano agli interessi atlantici, ecc ecc. In pratica, Putin riconosce piena sovranità e legittimità di dialogo ai soli Stati Uniti e vorrebbe trattare e discutere con loro qualsiasi questione, senza riconoscere come interlocutori quegli stessi paesi di cui magari si sta decidendo il futuro (vedi l’Ucraina).

Anzi, la sua strategia retorica sembra proprio spingere verso una sorta di “de-soggettivizzazione” e delegittimazione delle realtà nazionali europee e del programma di sviluppo europeo. Durante la riunione del Consiglio di Sicurezza (l’organo istituzionale forse più influente in Russia) che ha preceduto la conferenza stampa di Putin, il capo della Guardia Nazionale Zolotov ha sostenuto che la Russia confina a ovest non con l’Ucraina ma direttamente con gli Usa.

A tutto questo si aggiunge l’accento sulla “de-comunistizzazione”…

Putin ha espresso una visione storica molto chiara rispetto a come dovrebbe essere concepita la realtà russa secondo lui: secondo questa visione, l’Impero Russo rappresentava una realtà positiva, la Russia (compresa l’Ucraina) arriva da lì e Lenin ha compiuto un grosso errore perché ha creato le varie repubbliche nazionali. Le ha create perché aveva alcune idee utopiche e rivoluzionarie che erano completamente sbagliate e che ancora creano problemi nel presente.

Ma dopo Lenin c’è stato Stalin che, in questo senso, si è comportato in maniera più efficace perché ha governato l’Urss in maniera più centralizzata. Ciò che però non ha fatto è stato formalizzare questo accentramento nella Costituzione, sulla base della quale le élite nazionaliste si sono appoggiate per ottenere l’indipendenza al crollo dell’Urss nel mero intento di accaparrarsi il potere.

Sono idee che Putin ha espresso già da qualche anno e, in ogni caso, questa attitudine negativa verso la figura di Lenin è preoccupante: quando parla di “de-comunistizzazione reale” il presidente russo intende in sostanza che potrebbe esserci all’orizzonte una delegittimazione dell’ideologia comunista nel nostro paese. E, di conseguenza, una delegittimazione dello stesso Partito Comunista, che rappresenta comunque la principale forza d’opposizione a Putin al momento.

Esiste un dissenso rispetto a questa linea?

In Russia ora le possibilità di espressione del dissenso sono molto limitate. Le manifestazioni sono sostanzialmente illegali. Ci sono state in effetti alcuni presidi contro la guerra in Ucraina, ma si è trattato di qualche decina di persone a Mosca o a San Pietroburgo. Penso che la ragione di una così scarsa partecipazione non risieda in un generale consenso verso le mosse del nostro paese in Ucraina o in generale, ma perché la maggior parte delle persone semplicemente non ha un’idea chiara di ciò che sta accadendo.

I mezzi di informazione ufficiale danno interpretazioni molto confuse: da una parte si afferma che l’Ucraina è un nemico, dall’altra che la Russia è una nazione pacifica e che quindi non intende in alcun modo esacerbare il conflitto ma allo stesso tempo si dice che va garantita l’indipendenza delle repubbliche del Donbass anche a costo di un intervento militare e via dicendo. Insomma, c’è davvero fatica nel capire chi sta aggredendo chi e per quali ragioni e dunque nel posizionarsi politicamente.

Tutte le immagini da commons.wikimedia.org