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Il patto del Cazzareno

Rossobruni, leghisti, neofascisti, filosofi reazionari e anche qualche grillino in nome dell’opposizione alla “cultura gender”: cronaca di un convegno romano.

È un sabato mattina soleggiato e sto andando a teatro per sentire filosofi, saggisti, giornalisti e parlamentari tuonare contro l’avvento del post-umano.

La Sala Umberto che ospita il convegno si trova in una traversa di via del Corso, a Roma. Arrivo lì mezz’ora prima e giro l’isolato cercando un bar che faccia un caffè a prezzi decorosi. Così noto che alle spalle del teatro, dove c’è l’ingresso per gli artisti, si apre il famigerato largo del Nazareno, il cui patto, scoprirò poi, ha un ruolo anche nella giornata di oggi, funzionando come collante negativo delle variegate storie politiche presenti sul palco. Gli ospiti annunciati, infatti, delimitano un’area politica ancora da capire, che qualcuno potrebbe definire “populista”, qualcun altro “la nuova destra” e che personalmente chiamo “rossobruna”. C’è il professor Paolo Becchi, che ha presentato l’evento con un articolo sul Fatto Quotidiano e che in passato veniva indicato come l’ideologo del Movimento Cinque Stelle, c’è il marxista eretico Diego Fusaro, bambino prodigio dell’accademia italiana che ha appena pubblicato un saggio su Gramsci, c’è il francese Alain de Benoist, teorico della Nouvelle Doitre elogiato dallo scomparso Costanzo Preve, marxista eretico maestro di Fusaro, sempre dalla Francia arriva Erik Zemmour, firma importante di Le Figaro, molto noto nel suo paese e conosciuto in Italia per essere l’autore di “L’uomo maschio”, dall’università di Enna arriva invece Giuseppina Barcellona, studiosa della sovranità e dei diritti (vedremo poi cosa c’entrano col post-umano), inoltre ci sarebbero dovuti essere due parlamentari di movimenti ormai non tanto più segretamente legati: Tiziana Ciprini, cittadina portavoce dei Cinque Stelle e l’europarlamentare della Lega Nord Lorenzo Fontana che è stato trattenuto in Veneto da questioni più urgenti, ma in compenso ci hanno inviato un Mario Borghezio seduto in prima fila. L’evento è organizzato da l’Intellettuale Dissidente, un quotidiano online “di controcultura” qui incarnato nella persona del suo direttore, il giovane Sebastiano Caputo, e dal Circolo Proudhon, una collana editoriale dal nome impegnativo che dichiara di pubblicare saggi “critici verso la modernità”, diretta dal giovane Lorenzo Vitelli e vicediretta dal giovane di prima, Sebastiano Caputo (entrambi nati nel 1992).

Contro il post-umano, contro la teoria del gender, contro la modernità, insieme a Marx, insieme alla Lega, insieme all’uomo maschio: a chi si rivolgono queste persone? Provo a farmi un’idea osservando il pubblico. Il genere maschile predomina ma non in modo schiacciante. Molte signore accompagnano i loro mariti che hanno l’aria di conoscersi un po’ tutti, prima dell’inizio c’è tempo per strette di mano e fotografie commemorative, vedo Borghezio parlottare con un ristretto circolo di uomini e mi chiedo se gli stia insegnando nuovi metodi per “non essere etichettati come fascisti ma rimanere sotto sotto gli stessi”.

Ma ci sono anche tanti giovani, giovani quanto e più dei due organizzatori, mi siede davanti una comitiva composta da una dozzina di maschi in età da liceo che hanno l’aria di non essere proprio i più fichi della scuola: baffetti mal tagliati, capelli lunghi da metallaro, occhiali da vista non hipster, ricci con la forfora. Intuisco l’attrattiva che esercita su di loro una destra intellettuale che rimette i maschi al centro del mondo. L’unica fascia d’età non rappresentata sembra quella dei trenta-quarantenni, se escludiamo un piccolo gruppo di bonehead con Fred Perry e spille coi teschi che potrebbero stare sulla trentina, anno più anno meno.

Dopo una mezz’ora di attesa per il ritardo di Ciprini e di De Benoist, decidono che si può iniziare, nonostante latiti anche l’altro francese, Erik Zemmour che, ci informano, “sta passeggiando per questa magnifica città con sua moglie” e il leghista abbia rinunciato del tutto a presentarsi. La platea è quasi completamente piena e la cosa verrà celebrata da tutti gli oratori.

La prima introduzione la fa Lorenzo Borrè, che nel manifesto è segnalato come Presidente del Circolo Proudhon Roma, anche se non è presente nel colophon del sito. È l’unico tra gli organizzatori ad avere l’età per votare il senato. Dal suo discorso emerge cosa si nasconde sotto l’evanescente tema del post-umano. Il bersaglio è l’ideologia dei diritti che “crea, manipola e mercifica” l’essere umano. Più specificatamente questi diritti civili si configurano nell’azione congiunta della teoria del genere e dei movimenti LGBT che “ha coniato il termine omofobia contro la famiglia tradizionale”. Caspita. Eppure fin qui non è stato detto niente che non potrebbe venire dalle sentinelle in piedi, dal giornale di Adinolfi o da quei grotteschi video che allertano i genitori contro l’educazione sessuale a scuola.

Ma ecco il passaggio teorico che rende particolarmente interessante questo convegno: gli studi di genere e la lotta all’omofobia si saldano “all’ideologia della forma-capitale” che per imporsi deve distruggere le singole sovranità degli Stati, iniziando dalle formazioni tradizionali che resistono al suo relativismo: la famiglia e l’idea di uomo e di donna così come la Natura e/o Dio li hanno voluti. Questa articolazione di piano geopolitico e piano etico verrà poi rideclinata da tutti i relatori ed è l’essenza più profonda del rossobrunismo: la tratta in cui i valori morali della destra si vendono a sinistra e i modelli economici del marxismo vengono riscoperti dai reazionari.

La seconda introduzione dell’intellettuale dissidente Caputo fornisce una nuova giustificazione delle strane coppie presenti oggi ed è più mondana e urgente. Si rivolge alle poche coscienze progressiste del pubblico e affronta la loro perplessità pronunciando la parola RESISTENZA tutta maiuscola. Se abbiamo invitato i Cinque Stelle e la Lega, dice, è perché si trovano al di fuori del Patto del Nazareno e la nostra RESISTENZA prospera contro quell’infame accordo.

La terza e ultima introduzione è affidata a Lorenzo Vitelli che, in qualità di moderatore, rimarrà sul palco per tutta la durata della conferenza, pur limitandosi a presentare i vari profili intellettuali. Vitelli riassume i motivi di questa adunata mettendoci al corrente che, come già tentarono di fare i totalitarismi, la sinergia di capitalismo e tecnica vuole fondare una nuova antropologia ed è nostro dovere impedirlo.

Cede la parola a Paolo Becchi che è il primo a parlare e l’unico a prendere questa storia del post-umano dal suo lato più fantascientifico. Becchi è preoccupato dallo sviluppo della tecnologia: dai trapianti, dagli innesti, dalle operazioni al cuore, dall’allungamento della vita, dalle gambe di Pistorius, e soprattutto da certi robot sviluppati a Genova che sono troppo intelligenti per i suoi gusti. Dipinge lo scenario Matrix delle macchine che schiavizzano la razza umana. Verso la fine, resosi conto che non siamo venuti qui per prendercela con i robot ma con i gay, aggiunge che l’idea di natura umana non è assediata solo dalle intelligenze artificiali ma anche da questa maledetta ideologia dei diritti. Essa vuole mettere in crisi l’immagine atemporale dell’uomo, voluta da Dio, che maschio e femmina li creò. Su questa eco dell’inno di Mameli si chiude il discorso e scatta l’applauso come all’inizio delle partite: “Sì!”.

Il secondo a parlare è Alain De Benoist che si produce in una sintesi, abbastanza onesta devo ammettere, della storia degli studi di genere. Propone un’evoluzione di un primo femminismo che chiama “identitarista” o “differenzialista”, il quale difendeva un’idea positiva di femminilità e gli stava piuttosto simpatico, nel nuovo femminismo degli anni Settanta/Ottanta, segnato dagli studi di genere, poi formalizzato compiutamente nell’opera di Judith Butler. Ma il diavolo sta nei dettagli e solo distorcendo gli obiettivi di questo nuovo femminismo (quello comunemente chiamato “della terza ondata”) può poi attaccarlo di conseguenza. Secondo Alain de Benoist la decostruzione degli stereotipi di genere non porterebbe a una liberazione dell’individuo, capace di sviluppare tutte quelle attitudini e tutti quei caratteri prima ritenuti o maschili o femminili, in una qualsiasi combinazione, ma piuttosto alla creazione di un unico individuo omologante che detiene tutti questi caratteri o forse nessuno di questi, non lo specifica. In questo modo, lui che difende una società che prescrive solo due identità possibili, quella maschile e quella femminile, può presentarsi come un avvocato delle differenze che combatte l’omologazione post-umana fantasticata dalla terribile teoria del gender. Purtroppo a nessuno sembra venire in mente che la decostruzione di due modelli limitanti apre un campo di possibilità invece di fondare un impensabile individuo totale, che dovrebbe essere sempre contemporaneamente dolce e aggressivo, assertivo e remissivo, sensibile e razionale. Invece tutti ridono alla boutade, forse persino involontaria, dei marxisti che non riuscendo a creare un mondo senza classi hanno creato un mondo senza sesso. Sulle matte risate dei comunisti che non scopano finisce l’intervento del francese e passa la parola alla dottoressa Barcellona.

Il suo è un discorso molto tecnico, quasi una lezione di filosofia politica. Affronta i problemi che i diritti, al contempo universali e individuali, pongono alle sovranità nazionali fondate su una collettività delimitata. Se non fosse inserito in un contesto del genere, si farebbe fatica a cogliere la tesi centrale perché l’argomentare della Dottoressa Barcellona risente di quella timidezza teorica tipica dei testi accademici di un ricercatore che si muove sulla scia del suo ordinario di riferimento e eredita il loro potere soporifero. L’unica persona particolarmente attenta sembra essere la signora che siede dietro di me, affetta da una sindrome che si contrae sui banchi di scuola, quella del secchione insicuro, il quale, non avendo il coraggio di alzare la mano e dare la risposta, la sussurra al compagno di banco sperando di essere sentito dall’insegnante. Così quando dal palco si sente “Zygmunt…” lei subito completa con “…Bauman!”; se si parla di modernità liquida, si affretta a dire al marito che si tratta proprio di Zygmunt Bauman.

Chiusa la parentesi seriosa della dottoressa Barcellona ci aspetta qualcosa di decisamente più eccitante e così ci viene presentato. Zemmour ha finito il giretto per Roma e si dà il cambio con de Benoist sul palco (apparentemente non può esserci più di un francese seduto a quel tavolo). Il moderatore Vitelli mette in guardia il pubblico affamato di politicamente scorretto che stiamo per sentire qualcosa di molto politicamente scorretto e fa bene perché, quando accenna all’idea del giornalista francese sulle donne che hanno troppo potere, la platea si gela; uno spaesamento generale sottolineato dal “noooo… questo no” della signora dietro di me che ora contesta l’insegnante.

In effetti le idee di Zemmour sui problemi della società contemporanea entrano in contraddizione con quelle finora sostenute in questo convegno. È in atto, a suo dire, una femminilizzazione della società che sostituisce i valori tipicamente femminili come la pace, la prudenza, il consenso, la dolcezza, a quelli tipicamente maschili cioè la guerra, l’audacia, l’autorità, la forza. Non quindi un’abolizione delle differenze fondamentali tra uomo e donna, in vista della creazione di un individuo post-umano indifferenziato, come sosteneva Alain de Benoist e sosterrà Fusaro, ma la vittoria di alcuni valori su altri. Tuttavia neanche lui sembra consapevole di questa contraddizione e quando parla di “dominio della norma omosessuale” dichiara di riagganciarsi a quanto detto dal suo connazionale francese. Lanciato in una comparazione storica plurimillenaria, Zemmour ci ricorda che tutte le società decadenti sono state descritte con tratti femminili come la Roma antica e la Francia dell’ancient regime e, con una temeraria contorsione teorica per un reazionario come lui, presenta la rivoluzione francese come una rivolta contro il potere eccessivo delle donne nella società. Purtroppo non è detto che siano gli uomini valorosi di uno Stato ad abbattere dall’interno il matriarcato della loro società, come accaduto con i giacobini; il nostro destino potrebbe essere quello di Roma, vale a dire la conquista da parte di popolazioni barbare che mantengono una virilità in grado di travolgerci. I Germani di oggi sono chiaramente i musulmani, in primo luogo, seguiti da russi e cinesi che deridono l’Europa quale “continente di Venere”.

Pare che Zemmour si sia preso troppo tempo perché ora il moderatore Vitelli informa i due relatori rimasti che il teatro sta per chiudere e che dovranno esporre con una certa rapidità.

Qualcuno, con l’ora di pranzo che si avvicina, comincia a defluire dal teatro proprio quando è il turno di Diego Fusaro, il personaggio che sussume meglio tutte le contraddizioni politiche di questa mattinata. Incalzato dal moderatore, Fusaro post-umano entra in modalità uomo-macchina e srotola con voce atona, che poi definirà “stile impressionistico”, gli estremi del suo pensiero. La sua voce si concede un po’ di colore solo quando è il momento di citare Hegel, del quale vengono letti diversi passi riguardanti la famiglia borghese, declamati come un testo sacro, declamati con più enfasi di chi i testi sacri li ha citati sul serio. Ad ogni passo di Hegel segue la parafrasi di Fusaro che ha il solo scopo di illustrare una verità già data, proprio come nelle letture che si fanno in chiesa.

La rivalutazione dei modelli borghesi secondo questo marxista è oggi rivoluzionaria, come già affermava il suo maestro Costanzo Preve, perché è l’unica forza in grado di resistere al capitale. Come il maestro crede nel superamento della dicotomia destra-sinistra ma la adopera per mostrarne l’inefficacia e, nel farlo, mostra anche cosa è costretto a intendere per destra al fine di non ricaderci dentro. Infatti dice che dobbiamo immaginare il neoliberismo come “un’aquila a doppia apertura alare” (ne esistono delle altre?), l’ala sinistra ci mette i vituperati valori sessantottini, l’ala destra ci mette il denaro; l’ala sinistra ci mette l’ideologia del genere, l’ala destra ci mette ancora il denaro; l’ala sinistra ci mette l’ideologia LGBT, l’ala destra ci mette sempre il denaro. La destra di Diego Fusaro si riduce a questa confidenza con i soldi, sembra non esistano valori di destra, cioè quelli che stiamo ascoltando da ormai tre ore; gli unici ad avere dei valori sono quelli di sinistra e sono tutti sbagliati. Così il sistema assiologico della Tradizione con la T maiuscola, che è sempre stato il cuore della destra, almeno di una certa destra, può essere presentato qui come uno strumento neutro contro il flusso del capitale, rassicurando le poche coscienze progressiste preoccupate di questa platea.

L’ultima a esporre è l’onorevole Ciprini, membro del comitato per le pari opportunità della camera. È un peccato che l’inizio del suo intervento corrisponda a un esodo di massa dal teatro, forse per i crampi della fame, forse per l’insospettabile sessismo di qualcuno dei presenti, perché la cittadina portavoce mette il giusto cappello paranoide alla mattinata post-umana. Si parte con la solita giustificazione storica dei ruoli di genere che questa volta si spinge fino alla preistoria, con pericolose incursioni nella linguistica e nelle scienze cognitive. Apprendiamo, per esempio, che le donne sono multi-tasking perché dovevano badare al villaggio mentre gli uomini andavano a caccia ed erano costrette a fare mille cose insieme, tipo raccogliere le bacche, educare i figli, stirare e piegare le camicie. D’altro canto gli uomini, focalizzandosi solo sul mammuth da predare, hanno imparato a fare una sola cosa per volta ma a farla da Dio. Richiamandosi a alcune somiglianze tra le lingue indoeuropee, solitamente usate proprio per dimostrare l’esistenza di una protolingua indoeuropea, Ciprini ci informa che in TUTTE le lingue del mondo la lallazione infantile produce le sillabe “ma” e “pa” di modo che, non solo nella testa dei pupi ci sta già la famiglia borghese, ma ci stanno pure i nomi universali che definiscono i ruoli. L’Unione europea, con l’ormai noto trucchetto dei diritti civili, vuole spazzare via questa gerarchia millenaria, degradando l’uomo senza elevare realmente la donna (sta comunque parlando chi dovrebbe occuparsi di pari opportunità, ricordiamocelo).

La decostruzione dell’uomo non passa solo per vie culturali ma viene attuata anche con mezzi biologici, l’aspetto complottista e paranoico di cui accennavo sopra. Dopo un anno e mezzo di prese per il culo, ai grillini sono state fornite delle carte di Taboo con le parole da non dire e una lista di sinonimi per alludere all’innominabile. Ciprini ne tiene in mano una con scritto “SCIE CHIMICHE” e ci spiega che la virilità del maschio viene avvelenata “dal tabacco, dall’alcol, dallo smog e dall’inquinamento” e che tutto questo è un piano di alcune “elite finanziarie” (carta GRUPPO BILDERBERG) associate all’Europa dell’austerity e della Troika. Infine sembra che negli ospedali stia aumentando vertiginosamente il numero dei bambini intersessuali, dipinti dalla parlamentare con tratti mostruosi, e non è possibile pensare sia un caso. Rientra tutto in un disegno di destabilizzazione collettiva che, tra le altre cose, fa vendere anche tante “pilloline antidepressive” alla Big Pharma. Ai burattinai mondiali non sfugge niente.

Con le visioni distopiche sul Nuovo Ordine finisce la giornata; mi avvio verso l’uscita superando la nutrita folla che vuole tesserarsi Intellettuale Dissidente o comprare il Libro verde di Gheddafi edito dal Circolo Proudhon. Cerco di dare le giuste proporzioni a quanto visto e sentito oggi, di mettere in prospettiva il laboratorio teorico-politico che è andato in scena alle spalle del patto del Nazareno.

L’innesto di elementi marxisti in una retorica destrorsa non è nulla di nuovo e quelli che oggi si chiamano rossobruni, negli anni settanta erano detti “nazimaoisti”. A guardare più da vicino, è una tendenza comune a molti neofascismi porsi come un superamento degli opposti estremismi al fine di combattere il capitalismo, rimaneggiando attrezzi culturali di sinistra; basta pensare a cosa significa Terza Posizione o all’operazione “riprendiamoci tutto” che fa Casa Pound oggi. Ma se non sono cambiati loro è forse cambiato il contesto in cui si muovono.

È esemplare la storia delle diverse vite vissute dal maestro e dall’allievo, Costanzo Preve e Diego Fusaro. Il primo ha pagato con l’emarginazione culturale la vicinanza coi fascisti, il secondo ha fatto delle eresie del maestro un brand filosofico che gli ha aperto tutte le porte, da quelle universitarie a quelle televisive. Ma non si parla solo di filosofia, queste riflessioni sono recepite da movimenti populisti di massa come la Lega, che da sempre “ruba gli operai ai comunisti”, e il Movimento Cinque Stelle che ha costruito la sua identità proprio sul superamento della dicotomia destra/sinistra. A fare la fortuna delle elaborazioni rossobrune è anche la congiuntura storica in cui viviamo: in periodo di crisi le destre sono costrette a parlare di economia e le istanze rivoluzionarie del marxismo fanno molto comodo quando non si è al governo. Basta qualche modifica antropomorfizzante e la lotta contro il capitale diventa la lotta contro i banchieri, la lotta di classe diventa la lotta dei popoli e così via. Se bisogna essere rivoluzionari in campo economico, si può rimanere conservatori in quello etico continuando così a parlare la lingua del popolo, il gergo della famosa pancia degli italiani. Abbiamo visto che si sta tentando proprio un’articolazione di questi piani di modo che l’uno giustifichi l’altro: non siamo razzisti, omofobi o sessisti, stiamo combattendo la stessa guerra contro gli oppressori eurocratici e capitalisti presa sotto un altro aspetto.

È brutto dirlo ma la capacità di questa teoria di mobilitare contemporaneamente la rivolta contro i poteri forti e le pulsioni del buon senso comune da maschio bianco eterosessuale, potrebbe portarla molto lontano.