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ITALIA

Gkn, convergere per insorgere. Tesi dal teatro Puccini

Un’analisi dei temi emersi dall’assemblea cittadina dei lavoratori e delle lavoratrici Gkn, tenutasi lo scorso 28 ottobre al teatro Puccini di Firenze. Hanno preso parola, tra gli altri, la vertenza di Alitalia, attiviste di Fridays for Future e delegati sindacali di grandi aziende, con l’intento comune di realizzare una reale convergenza delle lotte

“Se sfondano qui, sfondano ovunque: dunque insorgiamo”. Sono queste le prime parole con cui il Collettivo di fabbrica-lavoratori Gkn si è presentato sulla scena italiana all’alba del primo sblocco dei licenziamenti voluto dal governo Draghi. Non una semplice chiamata alla solidarietà per fermare il licenziamento di 500 lavoratori della piana di Campi Bisenzio, ma un vero e proprio monito a tutto il paese. Basta leggere i loro post su facebook, passare qualche minuto dalla loro occupazione o scambiare poche parole con qualunque operaio per apprendere che la Gkn – azienda che produce semiassi per utilitarie, auto di lusso e, soprattutto durante la pandemia, veicoli commerciali impiegati nella logistica –  sia un unicum, rispetto alla media italiana, per quanto riguarda i diritti dei suoi operai: alti salari, alti standard di sicurezza, un’organizzazione della produzione codificata per limitare l’usura fisica, assenza di strumenti di sorveglianza invasivi sulla forza lavoro. Tutto ciò è frutto di conquiste maturate nel tempo e di un alto livello di sindacalizzazione.

Dunque, se lo sblocco dei licenziamenti riesce ad aggredire una situazione con rapporti di forza così favorevoli, figurarsi cosa può succedere altrove, sia questo “altrove” o l’insieme dei posti di lavoro o la biosfera: se sfondano qui, sfondano ovunque. Cristallino.

Ciò che colpisce di questa vertenza – o meglio, di questa assemblea permanente di lavoratori – non si riduce alla poesia e fomento dei loro cori o alla capacità di richiamo dei loro spezzoni e al numero di persone e solidali mobilitati per i loro cortei; all’elaborazione di una proposta di legge contro le delocalizzazioni tanto avanzata quanto semplice; all’essere un’avanguardia nata dentro l’ambito della produzione manifatturiera, rimasta produttiva ed essenziale durante la pandemia. C’è anche altro, ovvero il tentativo di realizzare una convergenza delle lotte come opzione strategica, come punto di arrivo e non solo come strumento per accumulare forze con cui difendere se stessi. In particolare, tenendo insieme i movimenti ambientalisti, studenti, ricercatori e docenti universitari e, ovviamente, vertenze simili riconducibili all’ambito delle crisi aziendali (Alitalia e Whirlpool).

Foto di Andrea Tedone

Se riprendiamo i termini del motto citato all’inizio, questi hanno finito per invertirsi. Se in un primo momento l’orizzonte strategico era quello di difendere l’occupazione degli operai Gkn per creare un precedente contro l’offensiva emanata da Draghi – per volontà di Confindustria, con l’aiuto dei confederali –, difendendo un “qui” e così salvaguardare un “ovunque” meno tutelato, oggi le cose stanno in maniera leggermente diversa. Innanzitutto, si va ridefinendo l’altrove, la cui unità di misura non è esclusivamente il mondo del lavoro; successivamente, si tratta di mettere a disposizione la propria energia, intelligenza e notorietà mediatica – i portavoce usano spesso l’invito: “utilizzateci” – per far comunicare le parti che compongono quell’altrove, nell’ottica di costruire nuovi rapporti di forza non riducibili al mondo lavorativo e, solo così, scongiurare la delocalizzazione voluta da Melrose, il fondo inglese di investimenti proprietario della Gkn di Campi Bisenzio. In una battuta: «Convergiamo per insorgere, insorgiamo per convergere».

In questo modo, l’obiettivo rimane quello di difendere l’occupazione di chi lavora in Gkn, certo. Tuttavia, sembra che quest’ultimo finisca per essere riassorbito nell’ambizione di incidere su un maggior numero di livelli e problematiche. Ecco perché si parla di ottenere uno “sciopero generale generalizzato”.

Il primo momento per avviare questo cambio di passo è stata l’assemblea pubblica al Teatro Puccini di Firenze tenutasi giovedì 28 ottobre. Presentata come un incontro per riconoscere l’apporto decisivo dei solidali via via cresciuti di numero da quel 9 luglio, nonché come momento di avvicinamento al corteo contro il G20 – il collettivo ha organizzato 11 pullman per scendere a Roma, tutto a proprie spese – questa è stata lo spazio in cui pensare e praticare l’insorgenza come convergenza e fare della vertenza in Gkn un prisma da cui vedere e affrontare la totalità delle sfide poste dalla post-pandemia.

Foto di Renato Ferrantini

LE TESI DEL TEATRO PUCCINI

Che l’assemblea sia stato un tentativo di praticare la convergenza è stato reso manifesto, innanzitutto, dai soggetti che si sono succeduti negli interventi. Il primo, quello di apertura, è stato un monologo scritto e recitato da una lavoratrice dello spettacolo, introdotta a sua volta da un intervento preliminare sul luogo in cui tutto stava per svolgersi, un teatro, e sugli spazi che la vertenza attraverserà nelle prossime settimane. A tal proposito, l’Insorgiamo tour scandirà le sue tappe in luoghi che la gestione della pandemia ha chiuso senza interrogarsi sui costi sociali di questa scelta: luoghi della cultura – teatri e università – luoghi del mutualismo – circoli Arci e non. Da qui, hanno preso parola il portavoce del Collettivo di Fabbrica Dario Salvetti, la vertenza di Alitalia, seguiti da attiviste vicine al movimento di Fridays for Future, delegati sindacali di grandi aziende come la Piaggio e del trasporto pubblico, l’associazione che chiede giustizia sulla strage di Viareggio e il Coordinamento Donne Gkn. E tanti e tante altre.

Proviamo adesso a sintetizzare le principali tesi venute fuori da questa moltitudine di voci.

1. Ripensare l’opposizioe al sistema degli appalti. Buona parte dell’intervento di Salvetti si è concentrato sulle lavoratrici delle pulizie della Gkn, chiedendo al pubblico: «Sapete cosa significa pulire il bagno di una fabbrica di soli uomini?  Questi sono luoghi dove si scaricano le proprie patologie, ansie e solitudini più brutte». Da qui, la sincera provocazione: sono lavoratrici che andrebbero pagate più degli stessi operai. Infatti, hanno lavorato durante tutta la pandemia per sanificare i bagni, le postazioni di lavoro e le sale comuni. Ma il punto, dice Salvetti, non è solo quello di chiedere la re-internalizzazione e l’aumento dei salari: scardinare il sistema degli appalti significa ripensare la gerarchia della fabbrica. Sono molti gli ambiti di una fabbrica dove si scarica lo sfruttamento e i principali sono quelli dove le posizioni contrattuali finiscono per inasprire le scale della subordinazione. Questo è funzionale a ridurre le tutele e il potere delle lavoratrici coinvolte nelle mansioni che, pur meno visibili entro la catena produttiva, sono essenziali e quotidiane, rendendole disponibili a un più alto tasso di sfruttamento e riducendo gli spazi di alleanze politiche entro la fabbrica.

Da quando è cominciata l’occupazione operaia, sono le lavoratrici a coordinare le pulizie, adesso svolte dagli operai, garantendo un ambiente più sano, pulito e più ampi margini di coinvolgimento nelle prospettive della lotta: «Per vincere, dobbiamo inventare un mondo diverso da quello che ci ha chiuso».

Foto di Luca Mangiacotti

2. La “nazionalizzazione” è un concetto vuoto. Il collettivo di fabbrica auspica una ripresa della produzione, preferendo – lo dicono senza mezzi termini – la nazionalizzazione onde evitare di ricadere sotto il controllo di un fondo di investimenti, che per sua natura agisce in maniera maggiormente sconsiderata data la distanza delle loro sedi finanziarie e, soprattutto, dato l’interesse a vendere non appena l’andamento delle borse lo suggeriscono. Tuttavia, si dice a chiare lettere che «nazionalizzare vuol dire tutto e nulla», con un immediato riferimento ad “Alitalia”, nazionalizzata per aggirare le stesse leggi dello stato. Quando gli operai parlano di nazionalizzazione, pretendono che lo stato si limiti all’acquisto dell’azienda, ma la sua gestione deve essere subordinata all’assemblea generale dei lavoratori che, raccogliendo intorno a sé il territorio circostante, definiscono cosa è utile produrre e per quali obiettivi.

Nonostante le difficoltà della questione, il percorso della vertenza arriva all’assemblea del Puccini con una postura diversa dalle prime uscite: la riconversione è un’ipotesi che bisogna provare a immaginare, soprattutto nell’epoca della crisi climatica.

3. La transizione ecologica è dare potere ai chi lavora. Il tema più atteso, e discusso, è quello della transizione ecologica che nei prossimi anni investirà in particolar modo le fabbriche legate all’industria dell’auto. E la vertenza Gkn è, probabilmente, la vicenda politica più interessante del panorama conflittuale italiano proprio perché si è assunta la responsabilità di interrogarsi sul tema della crisi climatica, consapevole dell’incidenza che su questo problema ha la mobilità privata e l’attività produttiva delle grandi fabbriche. Sulla transizione si dicono due cose molto semplici: è una menzogna, perché resta uno iato profondo tra la piena elettrificazione della mobilità privata e la disponibilità del capitale a cambiare l’assetto produttivo affinché questa si massifichi e non ricalchi le attuali divisioni di classi – solo i più ricchi potranno permettersi una mobilità più sostenibile; sarà utile a giustificare i tagli dei posti di lavoro. Da qui, l’invito a rifiutare la transizione ecologica del PNRR, perché non può esserci alternativa tra giustizia ambientale e giustizia sociale.

Entrambe queste affermazioni fanno il paio con una premessa di fondo: il piano di transizione ecologica non porterà a un reale incremento dell’occupazione.

A rimarcarlo, tuttavia, non sono i portavoce della vertenza, ma una giovanissima che, senza mezzi termini, dichiara dal palco che la promozione di un’autentica giustizia climatica non è questione di produrre nuova occupazione, ma di conferire maggiore potere decisionale ai lavoratori e alle lavoratrici sui processi produttivi e su cosa viene prodotto, dato che conoscono quello che fanno e perché non sono solo lavoratori/trici, ma persone che vivono l’ambiente fuori dalla fabbrica, dove gli effetti della crisi climatica ricadono con maggiore violenza.

Foto di Renato Ferrantini

Questo passaggio di parola dagli operai a una giovane sensibile alle questioni ambientali illumina la sostanza dell’insorgiamo come convergenza, permettendoci di comprendere il perché della continua ricerca di comunicazione con movimenti non strettamente operai: non si tratta di assommare temi, ma di stringere alleanze tra movimenti e vertenze che reciprocamente si contaminano, rafforzando e arricchendo i loro contenuti e l’intelligenza della cornice entro cui ascrivere la propria lotta particolare. D’altro canto, questo passaggio di parola vale anche all’inverso: viene riconosciuta centralità a un soggetto, i/le lavoratori/trici dipendenti, che fino a oggi non era stato compreso nell’immaginario e partecipazione ambientalista.

E solo a partire da queste alleanze sarà possibile affrontare gli altri nodi del conflitto tra ambiente e società, come quello scottante dell’incremento delle bollette e del costo della vita, rispetto al quale lo Stato italiano agisce coprendo l’innalzamento dei costi attraverso la spesa pubblica, ovvero le nostre tasse, senza imporre calmierazioni alle multinazionali e così rinunciando a soldi che, tra le tante cose, avrebbero potuto rafforzare strumenti come il reddito di cittadinanza, sotto attacco proprio in questi giorni.

4. Sindacalismo critico. Altro elemento trasversale a molti interventi è quello di un atteggiamento di forte sfiducia nei confronti dei sindacati confederali. I delegati Rsu nella Gkn, pur essendo in quota Fiom, esibiscono grandi critiche nei confronti delle scelte fatte dai vertici nazionali e locali della loro organizzazione di appartenenza. Rivendicano sì di appartenervi, ma non nascondono importanti critiche, approfondite dagli interventi dei lavoratori Piaggio e Alitalia. Su due questioni in particolare. La prima, riguarda la negazione di copertura e appoggio per quelle vertenze e lavoratori che appartengono al sindacalismo di base – ci si riferisce, tra le tante cose, a quanto avvenuto al presidio dei SI Cobas davanti alla Dreamland di Prato. La seconda, riguarda la cronaca politica di questi giorni: Landini promette di indire uno sciopero generale di 8 ore contro il ritorno alla Fornero. Per l’assemblea del Puccini, questa è una scelta divisiva: uno sciopero fatto esclusivamente sul tema delle pensioni rischia di tagliar fuori i tanti temi e bisogni che vengono agitati dalla società: licenziamenti, taglio del reddito di cittadinanza, aumento della precarietà e crisi climatica. L’unica ipotesi che vale la pena percorrere è quella di uno sciopero generale generalizzato.

Foto dall’archivio di Dinamopress

IL NODO DELLO SCIOPERO

Il cosiddetto “sciopero generale generalizzato” è immaginato dall’assemblea del teatro Puccini come una giornata di silenzio «perché oggi c’è talmente tanto chiasso che si è finito per silenziare le morti sul lavoro, il ciclone che sta devastando Catania e l’affossamento del Ddl Zan». Più nel concreto, dovrà essere una giornata dove bisognerà tornare a riempire le piazze non solo a partire da tutti i posti di lavoro (generale), ma da tutti gli ambiti di problemi più urgenti, come la crisi climatica, la precarietà, il caro vita e i diritti della comunità Lgbtqi+ (generalizzato).

Da questo punto di vista, una data di sciopero generale deve avere l’ambizione di essere un punto di ricaduta per la convergenza di tutte le lotte.

Dal Teatro Puccini, non viene dichiarata una data. Sia perché la convergenza bisogna costruirla e le date non bastano a se stesse; sia perché, mentre procedeva la discussione, i giornali rilanciano l’intenzione dei confederali di chiamare uno sciopero generale contro il ritorno alla legge Fornero voluto da Draghi. Ma al di là di tali questioni, credo valga la pena discutere alcuni nodi che derivano dal prendere sul serio l’indicazione degli operai Gkn di “stargli appiccicati” e di insorgere in ogni ambito e in ogni tema.

Seguire questa indicazione non significa rendere la classe operaia, o pezzi di questa, un oracolo o monumento. Si tratta, piuttosto, di rendere conto di due questioni. In primis, l’elemento strettamente materiale per cui, in questa fase di riaperture, una possibile scintilla per un conflitto capace di generalizzarsi non può non fiorire a partire da quegli attori sociali che durante il blocco pandemico hanno attraversato luoghi di incontro, come le fabbriche e ambienti lavorativi rimasti aperti e considerati essenziali, in cui l’incontro e l’elaborazione tra gli sfruttati ed esclusi non è stato sospeso, seppur a caro prezzo. In secundis, la posizione occupata da chi chiama l’insorgenza: lavoratori e lavoratrici interessati dalla più importante aggressione della classe dirigente, ovvero lo sblocco dei licenziamenti, e afferenti ai settori giudicati essenziali durante la pandemia.

Foto di Andrea Tedone

Veniamo ai nodi.

Sciopero produttivo: lo sciopero generale generalizzato sembra essere pensato come astensione dal giorno di lavoro. Ecco alcune questioni: come si fa lo sciopero di tutti e tutte se l’ambito produttivo non è il campo immediato di espressione di moltissimi sfruttati e di coloro che sono rimasti esclusi dal passaggio della pandemia? Penso, ad esempio, alle centinaia di migliaia di donne rimaste disoccupate, ai settori lavorativi dove l’assetto contrattuale e dell’organizzazione del lavoro minano di fatto il diritto di sciopero, ai giovani e alle giovani rimasti privi di luoghi di incontro e afferenti al mondo della formazione. Una possibile soluzione potrebbe essere quella di ripensare la collocazione temporale dello sciopero, optando per occupare le giornate del tempo libero, strappandoli al consumo e restituendogli caratura politica, come la manifestazione dei 40.000 a Firenze del 18 settembre, o i week-end a presidiare la Gkn, i sabati dei Gilets Jaunes, o le giornate internazionali contro la violenza sulle donne indette da Non Una di Meno. E così regalarsi piazze affollate dove ritrovarsi, riconoscersi e conoscere la propria forza.

Una giornata di sciopero: dotarsi di una data di sciopero come punto di ricaduta per diverse istanze, ci offre un orizzonte in cui far confluire e collegare tutte le esperienze, saperi e lotte che da molti anni incrinano la pace sociale italiana. L’ambientalismo, la violenza maschile e del mercato del lavoro contro le donne e soggetti Lgbtqi+, i conflitti nel tessile, nello spettacolo e nella logistica: un punto di ricaduta per ritrovarci tutte e tutti. Bisogna chiedersi, tuttavia, se questo schema riesca a rendere conto fino in fondo del fatto inconfutabile che alcuni tra i più importanti movimenti degli ultimi anni siano sorti da una prassi della ripetizione, come i venerdì dei Fridays For Future o i sabati dei Gilets Jaunes. Tra questi, credo non si possa non annoverare anche la modalità delle piazze milanesi dei No Greenpass. Movimenti molto diversi, accomunati dall’aver costruito la propria crescita e forza seguendo uno schema della ripetizione. C’è da chiedersi se, essendo in ballo la convergenza, qualcosa che per sua natura va costruito, questa non vada costruita guardando al ritmo di queste esperienze.

Immagine di copertina di Andrea Tedone